Claudio Capo (1995) è attualmente dottorando in Scienze Giuridiche e Politiche (XXXIX ciclo) presso l’Università “Guglielmo Marconi” di Roma e laureando in Scienze Filosofiche presso l’Università Roma Tre. Si è laureato nel 2022 in Antropologia culturale presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna. Le sue ricerche si focalizzano sul socialismo rivoluzionario italiano della prima metà del Novecento. I suoi interessi principali concernono l’analisi storico-filosofica delle forme spirituali, culturali e sociali dalla modernità alla contemporaneità. Ha pubblicato diversi contributi presso il mensile di attualità metapolitiche «Diorama Letterario».

Recensione a: E. Fornari, Cybercapitalismo. Fine del legame sociale?, Bollati Boringhieri, Milano 2024, pp. 112, € 14,00.

Spesso la cinematografia non si limita a raccontare la realtà, ma la precede e ne occulta le trame più profonde sotto l’egida della finzione. Ma se il virtuale è «la realtà e la realtà è meno reale della televisione» (D. Cronenberg, Videodrome 1983) cosa succederebbe se osservassimo il capitalismo contemporaneo con le lenti speciali di John Nada, protagonista dell’iconico film di Carpenter, Essi Vivono (1988)? Probabilmente, non diversamente da Roddy Piper, scopriremo sgomenti un mondo molto diverso da ciò che appare. Emanuela Fornari nel suo Cybercapitalismo (2024), ci indica una strada per “uscire dal cinema” e comprendere appieno il processo di trasformazione e definizione del capitalismo del nuovo millennio. Il saggio prende per le corna il toro di Wall Street che, dissimulandosi dietro colorate narrazioni e smaterializzandosi attraverso codificazioni finanziarie, inaugura una nuova fase della sua storia, anticipata molti anni prima dal Manifesto del ’48: «tutto ciò che è solido svanisce nell’aria; tutto ciò che ha consistenza evapora».

Il volume è una vera e propria storia della metamorfosi che, muovendo dalle prime analisi marxiane sul feticismo della merce, riesce a cogliere l’essenza di un soggetto astratto capace di invertire tutti i rapporti e stabilire nuovi valori. Sin dalla quarta di copertina si può scorgere l’assunto centrale del lavoro della Fornari secondo cui il capitalismo «perde ogni caratterizzazione produttiva, iniziando ad acquisire i caratteri del dominio» (p. 15). Mentre sotto il profilo antropologico il capitale esercita la propria egemonia generando soggettività “dividuali” – termine preso in prestito da Deleuze, scomponibili e ricomponibili secondo l’appetito dei mercati, dal punto di vista storico, ad una logica di mera produzione – propria delle prime fasi del capitalismo industriale – sembra subentrarne una capace di riscrivere a proprio piacimento i tratti somatici della società. La totalità dei processi individuali e collettivi su cui si estende il dominio capitale spinge l’Autrice ad interrogarsi seriamente: siamo di fronte alla fine del legame sociale così come lo conosciamo? Per rispondere a questa domanda la Fornari ricostruisce meticolosamente una «genealogia del presente» che cercheremo di ripercorrere nella sua diacronia.

Il capitalismo che si sviluppa a partire dalla Seconda rivoluzione industriale conserva in potenza un «tipo speciale di ordine prodotto dal mercato» (F. A. Hayek, Legge, legislazione e libertà, p. 112) che viene compiutamente realizzato proprio nel cybercapitalismo. Ma qual è quest’ordine che viene intuito da Weber a Baudrillard, passando per Sombart e che pretende la naturalizzazione? Come analizzato da Marx nella Seconda Sezione de Il Capitale, la formula Denaro-Merce-Denaro – successivamente portata all’estremo dall’eliminazione dell’intermediazione della merce (D-D’), segnerebbe la prima tappa di un gigantesco processo di mercatizzazione dell’esistente. Mentre nel capitalismo fordista il mercato intercettava i bisogni e proponeva merci in grado di soddisfarli, ora quella stessa istituzione avvia un processo di induzione artificiosa dei desideri che anticipa la domanda. Se nel passaggio da un’economia di sussistenza ad un’economia capitalistica le merci avevano visto subordinare il proprio valore d’uso a quello di scambio, ora subiscono un’ennesima torsione e diventano ripetitori di un sistema di significati che pone di volta in volta i propri presupposti. «È proprio la caduta di ogni telos a far sì che la produzione si traduca in mera riproduzione insensata. Assistiamo alla fine simultanea della dialettica tra valore di scambio e valore d’uso che permetteva la produzione sociale e della dialettica segno-referente che dava luogo alla linearità del discorso» (p. 45). Il valore della merce viene ora a coincidere con un sistema di segni adatto a sfamare il Moloch del mercato. E, così come il vecchio demone dei cananei, anche questo richiede sacrifici umani o, meglio, dell’umano. Il capitalismo che esce dal lungo e doloroso travaglio del Novecento è un sistema che trascende le sue dinamiche iniziali e comincia un processo di universalizzazione dei propri contenuti. Nel nuovo assetto sociale determinato dal consumo, si impongono indirettamente specifici modelli di comportamento funzionali alla riproduzione uniforme del sistema. Sotto la spinta dei mercati vengono ridefinite le relazioni sociali su modello del rapporto tra consumatori e oggetti di consumo. Questo risultato sembra essere dovuto principalmente alla colonizzazione, da parte dei satrapi di Wall Street, dello stazio libero ed autonomo che consentiva agli individui di strutturare un rapporto autentico. Il “dividuo” è eterodiretto dalla volontà dei mercati e l’intera realtà sociale assume sempre più la forma di un “campo di coltivazione” dell’essere umano. Pertanto, in questa nuova fattispecie storica, le differenze che intercorrono tra il soggetto e l’oggetto si confondono fino all’annullamento e al definitivo rovesciamento dei rapporti fino ad oggi stabiliti. Lo stregone non è più in grado di dominare gli spiriti che ha evocato: «l’animazione delle cose, permeate dal fantasma del valore che trova il suo compimento nel denaro corrisponde a una alienazione o estraneazione degli uomini ridotti a pure maschere economiche, Charaktermasken come le chiamava Marx, sottomesse al feticismo quasi religioso che permea la società capitalistica» (p. 12).

Ed eccoci giunti finalmente ai giorni d’oggi dove gli spiriti dello stregone si emancipano e assumono i volti della globalizzazione liberalcapitalista. Quest’ultima fase della bürgerliche Gesellschaft si esprime in una tensione perpetua verso la configurazione di un modello di sviluppo che richiede ad un individuo ormai alienato e non più in grado di porsi al rango di soggetto agente, l’adeguamento alle norme canoniche del mercato. Il capitalismo finanziario, attraverso potenti mezzi di persuasione e coercizione, impone al singolo il carattere della merce. La ridefinizione del concetto di identità sembra essere fondamentale nel processo di estensione del mercato sull’umano. La relazione con la comunità viene lacerata e scompare favorendo «l’individuo scomposto e rimodellato dalle nuove forme di dominio e di potere» (p. 23). A questo proposito appare estremamente chiara l’immagine dello sciame nell’opera di Bauman, Consumo quindi sono (2008). L’individuo atomizzato del XXI secolo sviluppa una psicologia collettiva basata sulla forza del numero: nella convinzione che la direzione del volo sia stata scelta bene, vista che è un’imponente massa a seguirla, e nell’idea che non si possa ingannare contemporaneamente un numero così massiccio di esseri umani che pensano – o, meglio, credono di pensare – in totale libertà, lo sciame è la configurazione archetipica della nuova società civile.

Tuttavia, già Tönnies, elaborando la coppia dicotomica di Gemeinschaft e Gesellschaft, aveva messo in guardia sulla trasformazione dell’intero pianeta una «società» di individui sempre più alienati. Un altro campanello d’allarme viene suonato da Louis Dumont, secondo cui la società occidentale, dalla modernità in poi, è caratterizzata da un rapporto di ordinazione sociale che tenderebbe, per sua natura, ad anteporre l’individuo alla comunità. Un individuo formalmente libero ed eguale che si definisce non tanto attraverso i rapporti con gli altri, ma soprattutto attraverso il rapporto con l’oggetto. Che fare, quindi, per rispondere ad una dimensione d’immaterialità mai sperimentata e penetrata con forza fino alla sfera dell’immaginario e dell’ideologico? Rispolveriamo qualche vecchio tomo presente in libreria. È con lo Hegel dei Lineamenti di filosofia del diritto (1821) che si è avuto il massimo tentativo di ricondurre la società e la politica al di fuori del paradigma individualistico e privatistico dell’intera tradizione contrattualistica – progenie filosofica dell’attuale capitalismo cibernetico. Hegel afferma, sulla scia della Politica di Aristotele, la priorità del Tutto sulla somma delle parti, dello spirito del popolo (Volksgeist) sul singolo. Lo Stato viene a rappresentare il momento di massima eticità, il luogo in cui il popolo esercita il suo ethos e realizza le proprie possibilità di vita. La critica hegeliana della società borghese è diretta contro la concezione liberale della società civile quale “stato di necessità” atto a preservare l’interesse particolaristico di un individuo che ha reciso il legame con l’altro. La società borghese è la riduzione della comunità ad un sistema dei bisogni dove il singolo sperimenta il suo massimo grado di astrazione e separazione – presupposto della moderna concezione di libertà. L’egoismo del singolo, che serve a realizzare il cittadino privato nel sistema dei bisogni, è ben tratteggiato ne La ricchezza delle nazioni (1776) di Adam Smith secondo cui: «Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse». L’eticità immediata che si sperimentava nella famiglia viene smarrita nella società civile. In questo ci sembra di individuare i primi scricchiolii del legame sociale. All’epoca del cybercapitalismo dove «La finanza intesa come potere si sostituisce ai meccanismi della sovranità statale […] e invade infatti la nostra quotidianità più di quanto facesse lo Stato hobbesiano, avvalendosi di un potere onnipervasivo ancora più intensivo di quello trascendente e assoluto del Leviatano» (p. 85), opponiamo fermamente l’idea di Stato hegeliano, cui compito è ricomporre la frattura integrando in maniera organica e articolata la parte nell’insieme. Una nuova alleanze tra singolo e comunità dove l’individuo è ricondotto secondo la propria la misura in un tutto che lo precede e lo supera e, in funzione di questa integrazione, sperimenta e potenzia la propria individualità. Da questo, e solo da questo, la ricomposizione del legame sociale non sembra più un miraggio.

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