Alberto Giovanni Biuso è Professore ordinario di Filosofia teoretica nel «Dipartimento di Scienze Umanistiche» dell’Università di Catania, dove insegna anche Epistemologia e Filosofia delle menti artificiali. Tema privilegiato della sua ricerca è il tempo, in particolare la relazione tra temporalità e metafisica. Si occupa inoltre della mente come dispositivo semantico; della vitalità delle filosofie e delle religioni pagane; delle strutture ontologiche e dei fondamenti politici di Internet; della questione animale come luogo di superamento del paradigma umanistico. Il suo libro più recente è Chronos. Scritti di storia della filosofia (Mimesis Editore, 2023). Il suo sito web è www.biuso.eu

Recensione a: C. Badano, Il giovane Bakunin e la filosofia classica tedesca, Orthotes, Napoli-Salerno 2023, pp. 480, € 30,00.

Di Michail Bakunin è assai noto il ritratto fotografico che intorno al 1860 gli scattò Felix Nadar, quando il politico russo si avviava verso i cinquant’anni. Assai meno conosciuto è un autoritratto in acquarello del 1838 che lo raffigura ventiquattrenne nel 1838. Bakunin non ha la barba e tiene in mano non un bastone ma quello che probabilmente è un suo scritto. Gli occhi sono gli stessi: grandi, attenti, scrutatori, implacabili.

Al pari del ritratto giovanile vengono per lo più ignorati i primi scritti e soprattutto la formazione di Bakunin, che si svolse tutta nell’ambito del cristianesimo ortodosso e della filosofia idealistica. Claudio Badano, invece, studia le opere e la vita dell’aristocratico russo tra il 1834 e il 1843, gli anni che di Bakunin plasmarono carattere, interessi, studi. Le sorprese sono molte e altrettanto significative sono le conferme. Entrambe ruotano intorno a un elemento anch’esso spesso sottovalutato ma che costituisce il nucleo intorno al quale si addensano l’agire e il pensare del fondatore, insieme a Proudhon, dell’anarchismo moderno. Questo nucleo è la filosofia.

Bakunin fu anzitutto un filosofo. Un filosofo tout court prima che un pensatore politico. Lo slancio del giovane studente è tutto indirizzato verso le domande radicali, prime e ultime, che della filosofia costituiscono genesi e motivo. Se l’obiettivo di Badano consiste nel «restituire a Bakunin la dignità intellettuale che egli merita» (p. 10), esso è pienamente raggiunto. Basandosi su un’ampia bibliografia internazionale, lo studioso mostra infatti come la passione per la conoscenza accompagnò sempre la vita di Bakunin, il quale sino alla fine, anche malato, «è ancora animato da una forte curiosità intellettuale e voglia di studiare. Nel novero dei suoi interessi teorici vengono ora ad aggiungersi – in assonanza con le circostanze di vita – anche richiami di tipo esistenziale: raccomanda ad una giovane studentessa russa, che gli si è avvicinata, la lettura di Pascal, mentre la lettura di Schopenhauer diviene, fino agli ultimi giorni, frequentazione quotidiana» (p. 16).

Dopo aver studiato soprattutto i classici antichi, deluso dall’esperienza militare – una delle possibilità offerte ai giovani aristocratici, insieme alla carriera nell’amministrazione zarista o alla cura dei beni di famiglia -, dalla fine del 1835 Bakunin si dedica con grande rigore allo studio della filosofia tedesca, apprendendo la lingua tanto da diventare capace di scrivere dei saggi in tedesco. L’ordine cronologico è quello che tutti conoscono, scandito dalle tre figure di Fichte, Schelling e Hegel. A essere fondamentale è comunque l’assimilazione del pensiero di Schelling, al quale si devono alcuni degli sviluppi post-hegeliani (e non soltanto precedenti Hegel) in una direzione non più soltanto idealistica ma anzi di impronta materialistica ed esistenzialistica.

Due elementi che convergono nella visione mistico-panteistica che Bakunin condivide appunto con Schelling e che non lo abbandonò mai. «L’apprendistato filosofico del giovane Michail avviene interamente in ambito schellinghiano» (p. 80). Seguendo le lezioni del filosofo dopo il passaggio di Schelling a Berlino nell’ottobre 1841, Bakunin assimilò «la critica allo Stato come struttura meccanica», un «motivo presente in Schelling anche nell’epoca precedente la tarda filosofia positiva. […] Schelling riconosce nell’umanità una tendenza a superare lo Stato; la vera chiave conclusiva della storia è il mondo avvenire della giustizia umana» (p. 231). E in effetti «Schelling ha denunciato lo Stato come una struttura coercitiva con una durezza di accenti raggiunta solo dai manifesti anarchici di Bakunin e Proudhon» (p. 235).

Il contemporaneo e successivo grande interesse nutrito da Bakunin verso la filosofia hegeliana non cancellò mai questo imprinting, questa formazione insieme religiosa e olistica. Di Hegel Bakunin divenne il primo traduttore in Russia; delle opere del filosofo di Stoccarda il giovane studioso russo compilava riassunti, sintesi e anche ampie analisi, dedicandogli saggi di notevole finezza storiografica e teoretica, in particolare negli anni 1837-1839.

Nell’Appendice Badano traduce quattro di questi saggi. In uno del 1839-1840 dal titolo Sulla filosofia si trovano riconoscimenti senza riserve nei confronti del rigore, della profondità e della completezza del sistema hegeliano. Scrive infatti Bakunin: «La filosofia è quindi la conoscenza della verità. Hegel, quando corona con il suo sistema il maestoso edificio della nuova filosofia tedesca, dice che è arrivato ora il tempo in cui la filosofia – da amore della saggezza, della verità – si deve trasformare in effettiva conoscenza della verità» (402). Se

la filosofia è dunque conoscere l’assoluto» (p. 405), «è al grande Hegel che è toccato portare scientificità nel campo del pensiero puro, logico; egli ha creato la logica speculativa utilizzando i materiali raccolti dai predecessori e le categorie, rimaste fino a lui nell’oscuro campo dell’empirismo; egli le ha elevate nella limpida sfera della riflessione pura, speculativa, ove sono state integrate in un solo – organico e necessario – sistema. […] Il pensiero riceve i fatti dall’empirismo, ma li comprende e li comprova autonomamente, grazie al suo proprio immanente movimento dialettico (p. 460).

Con chiarezza storiografica ed ermeneutica, Badano così riassume l’itinerario teoretico del pensatore russo:

Nel corso della sua vita, Bakunin ha mutato il proprio atteggiamento rispetto alla filosofia in corrispondenza delle diverse fasi di sviluppo del suo pensiero: convinto idealista negli anni giovanili; critico dell’intellettualismo al momento della sua prima attività rivoluzionaria; acceso antiidealista nell’ultimo periodo corrispondente al suo ritorno in Europa dopo la prigionia. […] Come lo stesso Bakunin riconosce, vi è una traccia spiritualista che non scompare nel suo pensiero anche dopo la svolta antimetafisica, che egli dichiara come fondamentale giro di boa del suo percorso (pp. 378-379).

Appare infatti evidente che l’assimilazione profonda e pervasiva della filosofia classica tedesca si innesta sulle radici cristiane del pensiero di Bakunin. Radici che sono chiarissime nelle tante lettere che il giovane studioso invia ai numerosi fratelli e sorelle, ai quali lo legava un affetto sincero ed espresso con toni fortemente sentimentali. Sempre nell’articolo dedicato alla filosofia, Bakunin sostiene che «la rivelazione cristiana strappa l’uomo alle apparenze dell’essere sensibile e lo trasporta nel Regno eterno dello Spirito, ove si trova la sua vera patria e la sua unica beatitudine» (p. 428). In uno scritto già intriso di anelito prassico, Sul comunismo del 1843, aggiunge che «quel che costituisce l’essenza propria del cristianesimo» è «il vero comunismo» (p. 465), vale a dire una concezione universale, egualitaria e fraterna dell’umanità.

In questo stesso testo è molto interessante, anche alla luce dei successivi rapporti e conflitti tra il pensatore anarchico e Marx, la dichiarazione di Bakunin di non essere comunista poiché quella delineata dai teorici di questo progetto

non sarebbe una società libera, non sarebbe un’autentica comunità vivente di uomini liberi, ma piuttosto un regime di insopportabile oppressione, un gregge di bestie messo insieme dalla costrizione, che non avrebbe di mira se non le soddisfazioni materiali e non saprebbero nulla di ciò che è spirituale e di tutte le gioie dello spirito. […] Peraltro, siamo assolutamente convinti che il comunismo contenga in sé degli elementi che sono per noi della massima importanza ed ancor di più. Esso è fondato sui più sacri diritti, sulle più umane rivendicazioni, ed è questo che spiega questa potente attrazione, fantastica e sorprendente, che esso esercita sulle anime (pp. 462-463).

L’ermeneutica dell’idea comunista presente in nuce in queste pagine si mostra ancor oggi capace di illuminare sia le ragioni del fascino che il progetto comunista ha esercitato su individui e masse diversi nello spazio e nel tempo sia le motivazioni della sua ricorrente caduta o trasformazione in altro.

L’ampio studio di Badano costituisce un fecondo strumento di comprensione della complessità dell’idea anarchica, nel suo iniziatore moderno ma anche prima e dopo di lui. L’anarchismo tende infatti a presentarsi come una filosofia della storia totalmente immanente e soprattutto come una pratica politica materialistica, ma esso conserva sempre la vibrazione trascendente che in Bakunin risulta assai chiara. In una lettera a Heliodor Skórzewski della fine 1848-inizio 1849 il giovane rivoluzionario scrive: «Io cerco Dio negli uomini, nel loro amore, nella loro libertà, ed ora cerco Dio nella rivoluzione» (p. 321).

Si tratta quindi di una fede anche religiosa, la fede che Michail aveva assimilato dalla sua famiglia (una vera e propria piccola comunità di vita, di preghiera e di studio) e che si trasforma in fede nell’umanità senza però mai perdere l’energia che ogni fede in dio dà. La stella della rivoluzione della quale parla nello scritto sul comunismo è sempre una stella d’altri cosmi: «Siamo nati sotto la stella della Rivoluzione, noi viviamo ed agiamo sotto la sua influenza e noi tutti, che viviamo oggi, moriremo – senza eccezione – sotto questo segno» (p. 469).

L’anarchismo ha avuto sempre anche la forza di una fede incondizionata nella libertà e continua ad averla in chi tuttora lo pratica.

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