Jacopo Marzano (1999) ha conseguito la laurea triennale in Scienze Politiche per la Sicurezza Internazionale e quindi la laurea magistrale con lode e menzione d'onore in Investigazione, Criminalità e Sicurezza Internazionale sempre presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT). Si occupa di minacce ibride, guerre economiche, cognitive e geopolitica delle migrazioni, prediligendo la ricerca e l’analisi sul campo. È analista per l'area Medioriente e Nordafrica per "Geopolitica.info" e analista di geopolitica e difesa per "Formiche".
Le democrazie liberali europee, più generalmente quelle occidentali, sono oggi sotto attacco cognitivo. La pressione ibrida delle operazioni ostili e sottosoglia evidenzia uno spostamento del conflitto dal dominio cinetico tout court a quello cognitivo, informativo ed emozionale. Possiamo fornire un primo elenco, sommario ma, tutto sommato, esauriente: le micro-incursioni russe nei cieli europei, gli attacchi cibernetici, le campagne di disinformazione e di manipolazione delle percezioni e, ancora, i sabotaggi delle infrastrutture critiche sottomarine e logistiche, aeroportuali e digitali, le operazioni di boicottaggio delle elezioni negli Stati democratici europei, l’utilizzo di criminalità locale e di singoli individui devianti come agenti “usa e getta” di spionaggio o come vettori di violenze e destabilizzazione. Quella che può sembrare una lunga lista di eventi tra loro scollegati, è in realtà un processo di normalizzazione graduale dell’anomalia. Una dissoluzione progressiva delle soglie concettuali tra vero e falso, guerra e pace, informazione e manipolazione o, ancor peggio, tra informazione ed emozione.
La guerra ibrida è oggi un attacco alla misura, nel senso filosofico del termine: un’erosione lenta, costante e sistematica della capacità individuale e collettiva di discernere, verificare, pensare, reagire.
L’attacco alle democrazie
La democrazia non crolla solamente per i colpi di Stato teorizzati, analizzati da numerosi scrittori e politici, di ieri e di oggi: da Malaparte a Luttwak, da Machiavelli a Kissinger. L’impianto democratico liberale di oggi sta crollando sotto i colpi, non immediatamente evidenti ma costanti, di una profonda erosione epistemica. Ad essere sotto attacco sono i processi collettivi: l’attenzione è sovraccaricata, l’ambiguità moltiplicata. La verità o, meglio, la realtà viene confusa con la plausibilità. Non menzogne sistematiche ma saturazione del dubbio, produzione di confusione.
Nessuna democrazia implode però all’improvviso. Molti sono i moti di preavviso, le formazioni sociali, politiche e culturali che ne preannunciano le evoluzioni. Mai come oggi, però, queste evoluzioni non sono più socialmente e storicamente determinate dall’interno, ma orchestrate dall’esterno.
La metafora della rana bollita, se intesa come paradigma dell’assuefazione sistemica, suggerisce come ogni piccolo abuso, in apparenza irrilevante, possa rivelarsi fatale. La guerra sottosoglia, ibrida, indirizzata alla tenuta democratica europea agisce seguendo questo schema: non distrugge, piuttosto modifica lentamente il contesto percettivo. Gutta cavat lapidem, fino a quando l’anomalia non diviene normalità. Trovando nelle piattaforme digitali i “fornelli cognitivi” che regolano e surriscaldano, o raffreddano, la temperatura del consenso.
Come nel mucchio di Hegel, nel paradosso del sorite, la somma di piccole variazioni quantitative produce, oltre una determinata soglia, un cambiamento qualitativo. Questo è quanto accade alle democrazie oggi. Centinaia, migliaia di piccoli disturbi, di micro-distorsioni, eccezioni, abusi, menzogne, formano un regime informativo di incertezza permanente, strutturale.
L’attacco alla politica
Si tratta di nebbia percettiva e ritenere che possa avvolgere solamente il singolo utente o il lettore individuale è un grosso errore. Ogni crisi, dalla pandemia alle guerre in atto, fino alle crisi politiche europee, ha prodotto sfiducia pubblica – a livello nazionale, europeo e, ancora, occidentale – nella capacità delle istituzioni di dire il vero e di rappresentare la necessità costante della popolazione di risposte, di chiarezza informativa, di vicinanza. Ad ogni crisi, una linea di faglia. Ad ogni linea di faglia, nuovi spazi per minacce ibride, per la loro penetrazione.
Le democrazie liberali, avvolte dalla nebbia, si svuotano così del loro nucleo vitale. Mantengono la forma deliberativa e perdono il contenuto. Populisti, algoritmi, slogan e formule. Semplicità e non complessità. La politica, intesa come la gestione degli affari degli uomini, fatta dagli uomini per gli uomini, diviene un mero atto performativo. Qui s’innesca il cambiamento qualitativo: il sistema democratico continua a funzionare, ma non crede più a sé stesso.
Il confronto tra sistemi
I tempi viviamo sono la fotografia, quanto mai violenta, di un confronto non nuovo ma mai così amplificato: quello tra sistemi. Se le democrazie si consultano, dibattono, si interrogano; le autocrazie orchestrano, agiscono, decidono verticalmente, velocemente.
Questa differenza sistemica assume maggior rilievo nel momento in cui le minacce divengono agili, rapide, dinamiche. Attaccare risulta sempre più economico, conveniente, facile. Difendersi, viceversa, risulta economicamente svantaggioso, politicamente disagevole.
Per le democrazie europee, la regola dell’unanimità si trasforma in un veto strutturale, un blocco tanto politico quanto fisico. Ogni indecisione, ogni rallentamento, diventa teatro operativo per attori ostili, per le autocrazie, che si muovono più veloci e con vincoli minori. E la lentezza decisionale assume il valore di una vulnerabilità strategica.
L’attacco alla misura hegeliana, dunque, si traduce attraverso operazioni ibride per disattivare la soglia cognitiva delle società aperte, i loro meccanismi decisionali. Si tratta di un moral bombing che, evoluto dalla teorizzazione del generale Douhet, non colpisce ponti o edifici al di fuori del campo di battaglia, ma impatta sulla dimensione epistemica delle società democratiche. L’obiettivo rimane prima civile e poi istituzionale e militare: la saturazione del pensiero produce una democrazia esausta, iperstimolata, paralizzata e polarizzata.
Quale risposta
Continuare a misurare gli avvenimenti attraverso logiche binarie (guerra/pace, vero/falso), significa restare nella pentola ed accorgersi, tardi, della propria impotenza. La via d’uscita sta nella ricerca, e nell’individuazione, della misura. Ricostruire soglie, proporzioni, responsabilità: una politica della verità che si articoli attraverso formazione critica, ricostruzione della fiducia, reti di verifica informativa. E, ancora, l’istituzione di apparati di intelligence cognitiva.
La mente come campo di battaglia non è certamente un concetto inedito. Intorno al V secolo a sfidarsi nell’agorà, negli spazi pubblici, erano i sofisti. Maestri di dibattito, di retorica, artigiani della realtà. Ma duellare, oggi che le agorà sono digitali, è possibile solo se armati e addestrati a combattere. Se la mente è il campo di battaglia occorrono menti curiose, capacità di pensiero, strumenti di verifica delle informazioni.
La democrazia sopravvive solo finché la realtà resta verificabile e diffusa da una politica che, per vocazione, faccia del proprio popolo il più virtuoso e ricordi, così come era chiaro nel V secolo a.C. e, oltre un millennio dopo, a pensatori quali Machiavelli, Hobbes e molti altri prima e dopo di loro, che uno Stato, per agire, deve sopravvivere.
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