Federico Leonardi (1973) ha svolto attività di ricerca e insegnamento a Milano, Firenze e Londra ed è docente ordinario di Filosofia e Storia nei Licei. Oltre a vari saggi in italiano e in inglese, ha scritto le seguenti monografie: Tragedia e Storia (Aracne, 2014); World History (con Luca Maggioni; Rubbettino, 2015), Aristotele: sapere storico e scienza politica, saggio introduttivo ad Aristotele, Scritti politici (Rubbettino, 2020), prima edizione italiana integrale degli scritti politici dello Stagirita, di cui è anche il curatore; Nel cuore dell'Eurasia. Storia di Russia e Ucraina (Aracne, 2022); Le pietre di Roma(Ensemble, 2024). Collabora con RAI Cultura-Filosofia.

«Grazie per il vostro aiuto, è davvero importante per noi», ci accoglie una cameriera nel ristorante ucraino a Cracovia, nella Piazza del Mercato, cui rispondiamo, imbarazzati: «E di che?». «Senza il vostro Paese noi non potremmo resistere alla guerra», continua, a mo’ di spiegazione. Il suo sorriso si allarga, cozzando con lo sguardo triste.

Effettivamente, l’immensa Piazza del Mercato, sorta attorno al monumentale mercato coperto, è popolata di giovani ucraini, riconoscibili dalla bandiera, che chiedono donazioni a supporto del proprio Paese. Senza cercarla, la guerra ci accoglie già a Cracovia.

La città offre le più svariate bellezze, all’altezza della sua fama. Anzi, è talmente bella da sembrare finta. Una gioia di forme e colori. Un anello di verde, il parco che attornia la città vecchia, invita a indulgere in ogni momento. La Vistola largheggia e s’insinua, divisione tra l’antica e nuova Cracovia. Si respira il Medioevo nei vicoli su cui torreggiano ancora interi tratti delle mura medievali, ma il resto sa di Italia e Mediterraneo. I re polacchi volevano lo stile italiano e importarono lo stile rinascimentale.

Non abbiamo più bisogno di andare all’estero, oggi la Polonia è in grado di offrirci tutto quello che desideriamo. Lo vedete nelle nostre città, il cui livello è analogo al resto d’Europa. Nei decenni successivi alla caduta dell’Urss abbiamo riempito la Gran Bretagna e la Germania e vivevamo delle rimesse dall’estero. Ora i nostri giovani possono rimanere qui.

Così un manager chiosa la fine di una lunga conversazione in un locale nell’ex quartiere ebraico, riferimento della vivace vita serale.

Cracovia è il simbolo della nuova Polonia, occidentale nell’economia, ma ancora alla ricerca di un’identità.

Il Wawel o l’essenza della Polonia. La collina del Wawel non è soltanto il luogo più panoramico ma il più simbolico, dedicato a rappresentare l’essenza della Polonia. Sede del castello dei Re e della cattedrale che ne ospita le salme. La capitale fu spostata a Varsavia nel 1569, poiché l’espansione del Paese richiedeva una capitale più centrale. Dopo la fatidica data del 1989 i polacchi non hanno avuto dubbi e alla fine della lunga dominazione sovietica hanno voluto che quella collina tornasse a raccontare la loro storia. Infatti, sulla via che mena all’entrata si scorgono le mura punteggiate di infinite targhe sui muri: i nomi di tutti i cittadini che hanno donato una cifra dal 1989 in poi per il suo restauro, come a dire che l’intera Polonia con le unghie e con i denti ha strappato la propria storia da un’umiliazione secolare.

Dal 1795 al 1989 la Polonia, salvo i trent’anni tra le due guerre mondiali, fu umiliata da dominazioni straniere. Prima di quei due secoli che l’hanno oscurata, la Polonia non era soltanto una Grande Potenza ma anche un’eccezione. Mentre gli altri stati europei diventavano monarchie assolute, lei aveva decentrato le mani nel potere dei nobili in un senato che eleggeva il re; mentre gli altri diventavano imperi, la Polonia era una confederazione con la Lituania. Mentre da altre parti si scannavano in guerre di religione e gli Ebrei venivano perseguitati, la Polonia li accoglieva e sarebbero saliti fino al dieci per cento della popolazione. Dominava anche su Bielorussia e metà dell’Ucraina, cui lasciò una certa libertà religiosa. Arrivò a occupare Mosca nel 1610 quando la Russia era nel caos, ma non seppe lasciare la stessa libertà alla popolazione russa che si rivoltò. La Grande Polonia, tollerante e federale, avrebbe potuto essere un’alternativa alla Grande Russia imperiale, nata un secolo dopo, mentre la Polonia decadeva e sprofondava, spartita e oscurata.

Nowa Huta, il comunismo e la Polonia odierna. Grigio ma bello, desertico ma umano, fatiscente ma arioso: questa è l’impressione mista che avevamo, passeggiando per Nowa Huta, lo sterminato quartiere d’epoca sovietica, voluto da Stalin come nuova Cracovia. Difatti ha le stesse dimensioni delle Città Vecchia:

Nowa Huta vince tuttora premi come modello di urbanistica, perché in ogni blocco doveva esserci verde per lo sport e gli spazi comuni dovevano essere maggiori di quelli dedicati alle case private.

Ci racconta la nostra guida spagnola, David Hariadis, uno studioso di storia, nonni serbi e austriaci, moglie polacca. Sottoterra c’è un bunker antiatomico, in difesa della guerra nucleare che quasi sicuramente il nemico occidentale avrebbe mosso prima o poi. La statua di Lenin non c’è più e la piazza è stata dedicata a Reagan. Un cambio netto di campo, i polacchi non avevano dubbi, come non ne hanno oggi. Di comunista non deve rimanere niente, il sentimento antirusso ha portato a un negazionismo assoluto verso quel passato. Molte case recano simboli antisemiti, che le gang del quartiere disegnano ma nessuno si prende la briga di cancellare. Continua David:

Del resto, dal movimento Solidarnosc di Walesa, l’eroe dell’indipendenza dall’Urss, sono usciti sia la Destra dei Kaczynski sia la Sinistra di Tusk. La liberazione dalla morsa sovietica viene prima di tutto, come il sentimento antirusso.

Il nostro tour finisce presso l’Arca, una chiesa a forma di nave, che non poteva però né sembrare né esser chiamato chiesa. L’aveva voluta la popolazione fin dal 1957, che comunista non voleva essere. Oggi il quartiere si va riempiendo di studenti e famiglie che cercano prezzi popolari in una Cracovia sempre più cara e occidentale.

Auschwitz: i segni dell’antica Israele e il problema tedesco. Cracovia non sarebbe Cracovia, purtroppo, senza una visita ad Auschwitz-Birkenau. Sul pullman verso il campo di concentramento ci ricordano che il doppio nome è dovuto all’occupazione tedesca. Il piano nazista era chiaro: in pochi anni la storia doveva essere corretta, la parte tedesca della Polonia e dei Paesi Baltici tornare nelle mani della Germania, l’intera Europa Orientale, una sorta di vera e propria Israele di fatto, in grado di ospitare, per almeno due secoli precedenti l’Olocausto, la stragrande maggioranza della popolazione ebraica. Erano 6 milioni e 700mila sui 9milioni e 500mila totali. Era quasi uno Stato di fatto, risultato della cosiddetta Zona di Residenza, creazione zarista. All’indomani della spartizione della Polonia tra Russia, Austria e Prussia nel 1795 la zarina Caterina la Grande si trovò con un’area immensa tra Mosca e il confine tedesco, comprendenti anche i territori ucraini e bielorussi. Alla Polonia fu lasciata l’indipendenza formale ma la sua identità repressa, all’Ucraina tolta col nuovo nome di Piccola Russia. La parte polacca (in realtà, con una maggioranza ucraina) spettante all’Austria si trovò come capitale non Cracovia, lasciata decadere, ma Leopoli, città polacca oggi in Ucraina. Quest’area consentì alla Russia di ottenere il triplice scopo di creare un cospicuo cuscinetto dalla minacciosa Germania in crescita, umiliare mescolandole le due identità polacca e ucraina, senza dimenticare quella bielorussa, soltanto meno numerosa, infine creare una sorta di Stato per gli ebrei. In questa nuova casa gli ebrei si troveranno tuttavia bersagliati da crescenti pogrom, persecuzioni periodiche che i loro coinquilini non ebrei erano legittimati a operare. Erano periodici sfoghi di rabbia, con una vera e propria pianificata operazione da capro espiatorio. La Russia entrava in crisi, aveva bisogno di sfoghi.

La visita dei campi di concentramento è lunga e dettagliata, le spiegazioni della nostra guida particolareggiate e chiare. Non è così sorprendente la frase con cui ci congeda, salutandoci: «Purtroppo oggi fatti simili accadono non lontano, qui oltre il confine ucraino, durante l’attuale invasione dei Russi».

La Storia qui è tutt’altro che finita, l’aria che si respira è diversa dall’Occidente.

(fine seconda puntata)

Prossima puntata. Wroclaw, Gdansk, Varsavia, due città dal passato tedesco, ovvero Breslau e Danzica, e la nuova e attuale capitale polacca, segni del drammatico rapporto con la Germania. A Danzica, oggi Gdansk, cominciò la Seconda guerra mondiale, a Breslau, oggi Wroclaw, terminò. Ma anche con Rzeszow, città ormai base militare per la guerra in Ucraina, e l’immenso stabilimento Fiat, quasi una città a sé stante.

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