Università di Pisa

Recensione a
N. Sombart, Ernst Jünger. Un dandy nelle tempeste d’acciaio
a cura di L. Siniscalco, Bietti, Milano 2020, pp. 44, €4,99.

J. Evola, Ernst Jünger. Il combattente, l’operaio, l’anarca
a cura di RigenerAzione Evola, saggio introduttivo di M. Rossi, Passaggio al Bosco, s.l. 2017, pp. 166, €12,00.

Senza dubbio il Trattato del Ribelle, la cui frase più nota è «tra il grigio delle pecore si celano i lupi, vale a dire quegli esseri che non hanno dimenticato che cos’è la libertà», è il testo da cui si evince maggiormente il valore di quest’ultima. Il libro è stato scritto nel 1951 in tedesco con il titolo di Der Waldgang e tradotto in italiano nel 1990, si può considerare uno dei più lungimiranti saggi di argomento storico-politico. Secondo Evola tratta unicamente di quella che può essere la posizione dell’individuo dell’epoca di un totalitarismo diretto verso il mondo immaginato da George Orwell in 1984.

Assieme ad Über die Linie (Oltre la linea), Der gordische Knoten (Il nodo di Gordio) e Der Weltstaat (Lo Stato mondiale) costituisce una tetralogia di scritti in cui l’autore analizza in modo spietato tutte le contraddizioni delle società dei paesi occidentali da poco usciti dal secondo conflitto mondiale. Helmuth Kiesel, il biografo ufficiale di Jünger, definisce il Trattato «la Magna Charta della disobbedienza civile in un’epoca di governo parlamentare». In buona sostanza la libertà si trova proprio nella lotta e nella resistenza, come si può dedurre dall’analisi di Riccardo Paradisi esposta nel suo Un’estate invincibile (2017).

Merita riportare nella loro interezza un paio di pagine jüngeriane, sempre tratte dal Trattato:

«Il motto del Ribelle è: “Hic et nunc” – essendo il Ribelle uomo d’azione, azione libera ed indipendente. Abbiamo constatato che questa tipologia può comprendere solo una frazione delle masse, e tuttavia è qui che si forma la piccola élite capace di resistere all’automatismo e di far fallire l’esercizio della forza bruta. È l’antica libertà in veste moderna: la libertà sostanziale, elementare, che si ridesta nei popoli santi ogniqualvolta la tirannide dei partiti o dei conquistatori stranieri opprime il paese. Non è una libertà che si limita a protestare o emigrare: è una libertà decisa alla lotta».

«La libertà è preziosa ed esige un tributo al tempo, forse proprio l’individualità, o forse, addirittura, la pelle. Ciascuno deve sapere quale peso dare alla libertà – se attribuire più valore al modo di essere o alla pura sopravvivenza. Il vero problema è piuttosto che una grande maggioranza non vuole la libertà, anzi ne ha paura. Bisogna essere liberi per volerlo diventare, poiché la libertà è esistenza – soprattutto è un accordo consapevole con l’esistenza, è la voglia – sentita come destino – di realizzarla. Allora l’uomo è libero e questo mondo, proliferante di tirannie e tiranni, da quel momento in poi deve servire a rendere visibile la libertà in tutto il suo fulgore – come le grandi masse delle rocce primitive che con la loro stessa passione producono i cristalli. La nuova libertà è quella antica, assoluta, che riappare nella veste del tempo; farla trionfare sempre, eludendo le astuzie dello spirito del tempo: questo è il senso del mondo storico».

I concetti scritti da Jünger nel 1951 sono sempre attuali anche in questo XXI secolo, tant’è che sempre nel 2017 sono stati giustamente riproposti e sviscerati in un’antologia di scritti che Julius Evola ha dedicato tra il 1943 e il 1972 al pensatore tedesco: Ernst Jünger. Il combattente, l’operaio, l’anarca. Il barone romano approfondiva anche il concetto di libertà trovandosi d’accordo con lui: al concetto malsano di essa presente nell’epoca contemporanea entrambi contrappongono la visione di libertà come di un vincolo a un compito superiore, come gerarchia, come potenza del dovere e del servizio.

In East and West, nel 1954, Evola associava la libertà all’autocontrollo: nello specifico, nel Nitisara ci si chiede di spiegare come colui che non riesce a dominare se stesso (il proprio manas) possa dominare altri uomini e nell’Arthashastra l’esercizio delle funzioni regali è concepito come tapas, ossia ascetismo (ascetismo del potere). La libertà “superiore” è tale da sdrammatizzare e da rendere chiaro lo stesso gettare la propria esistenza finita, se le circostanze lo richiedono. Attorno a questo concetto cardine di spirito orientale e occidentale dei volontari alla morte Evola ripercorre le storie di persone (appartenenti a questi due mondi) diventate pian piano simbolo di abnegazione e sacrificio, e cioè l’Ordine degli Ismaeliti, i Gesuiti (il cui motto era Perinde ad cadaver), i Kamikaze (termine usato, purtroppo, a sproposito dalla falsa informazione odierna) e coloro i quali compivano il rito della devotio nella Roma antica. La persona, dunque, deve orientarsi verso quel realismo eroico descritto da Jünger nell’Operaio: significa impegno totale nella vita, essere interamente in atto e al di là dei vincoli, delle condizioni e dalle antitesi della semplice esistenza individuale, esattamente come scrisse il Evola in L’Operaio nel pensiero di Ernst Jünger nel 1960.

Ad ogni modo, Evola non incontrò mai lo scrittore tedesco, tuttavia queste due intelligenze hanno condiviso idealmente lo stesso fonte (spirituale) con tutte le differenze del caso dovute a esperienze, sentimenti e nazioni di provenienza. Il progetto RigenerAzione Evola, nato nel 2015, si è occupato proprio di condensare le tre figure protagoniste degli altrettanti testi di Jünger Nelle tempeste d’acciaio (1920), L’Operaio (1932) e Il trattato del ribelle (1951), testi che il Barone fece in certi casi conoscere per primo in Italia, traducendole o diffondendole. Suddetto progetto ha reso disponibili alcuni suoi brani tratti dal Roma (datati 28-04-1960 e 21-11-1972) in cui egli metteva sì in luce il legame fra la fisica e la libertà, ma si dimostrava scettico in quanto secondo lui la scienza matematica e della natura difficilmente può dare un contributo per la risoluzione di problemi spirituali e speculativi.

Quest’anno, per i tipi della Bietti Edizioni è uscito un agile libro intitolato Ernst Jünger. Un dandy nelle tempeste d’acciaio: trattasi della prima traduzione in italiano del ritratto che per il centenario ne fece Nicolaus Sombart, uscito su Der Tagesspiegel il 29 marzo 1995. Da esso si può dedurre l’anima dandy, per l’appunto, da collegarsi alle anime in precedenza spiegate (anarca, ribelle, soldato), ivi analizzata da un importante studioso della Konservative Revolution in senso letterario, sociologico, storico e perfino psicologico. Pur rifiutandone l’orizzonte politico e il mito del Lavoratore, apprezza l’aspetto da romanziere ed è affascinato dal suo essere un maestro di stile ed estetica. Il dandy, dunque, appare come una persona pienamente antimoderna in senso sia filosofico che letterario e, in questo caso specifico, diventa quadridimensionale perché interiorizza il motto hic et nunc in precedenza sviscerato.

A Jünger è lecito attribuire la definizione di cronista di un secolo di storia tedesca in quanto ha interiorizzato eventi come la prima guerra mondiale, il nazionalsocialismo, la seconda guerra mondiale e la successiva disfatta tedesca. Attenzione, però: non è certo opportuno definirlo un voltagabbana o un conformista (anche perché, comunque, ha sempre rigettato le logiche mainstream). Può essere paragonato anche a un sismografo in quanto è sempre stato in grado di indicare una disposizione emotiva fondamentale. Suddetto paragone gli è stato affibbiato da Ernst Niekisch, che con lui ha condiviso molto (su un piano biografico, politico ed intellettuale). Nella sua persona si condensano ben quattro anime, e cioè l’ufficiale tedesco dall’etica aristocratica, il giovane componente della Germania segreta, il Waldgänger e il ricercatore indipendente; il tutto è tenuto assieme dal fil rouge del dandismo, che, in questo caso, consiste nel sublimare la famosa volontà di potenza (ampiamente studiata da Nietzsche) in volontà di stile.

Non ha bisogno di alcun pubblico in quanto il suo unico spettatore è lui stesso, men che meno si sente in dovere di seguire le mode (casomai le anticipa), ed è proprio la sua peculiarità di dandy a innalzarlo oltre il livello di mediocre narratore tedesco di boschi e prati, fondandone la natura di fuoriclasse internazionale, e a fargli sovrastare i suoi rivali Stefan George e Thomas Mann.

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