Laureato in Scienze Politiche al «Cesare Alfieri» di Firenze, si interessa di storia del periodo fascista e dell’Italia repubblicana. Sul fascismo apuano ha pubblicato Al gancio del Negroni. «Il Popolo Apuano» di Stanis Ruinas. Fascismo rivoluzionario e Regime nella provincia del marmo (Solfanelli 2016) e Fascismi di provincia. Pontremoli e l’Alta Lunigiana 1919-1925 (Youcanprint 2019). Ha pubblicato saggi e articoli su riviste di studi storici («Rassegna Storica Toscana», «Nuova Antologia», «Diacronie») e sulla rivista on line del Centro Studi Geopolitica.info.
Recensione a
L. Zanatta, , Il populismo gesuita. Perón, Fidel, Bergoglio
Laterza, Bari 2019, pp. 152, €16.00.
Il populismo di cui parla Loris Zanatta nel suo Il populismo gesuita. Perón, Fidel, Bergoglio non è certo il termine usato nella polemica politica corrente, generalmente in senso spregiativo e delegittimante. Si riferisce al fenomeno studiato dalle scienze sociali e storiche, quelle formule politiche che hanno come riferimento il “popolo” ritenuto un aggregato omogeneo depositario esclusivo di valori positivi, specifici e permanenti. Di esso Zanatta spiega subito la sua accezione: «Penso che il populismo esprima il rimpianto di un’unità smarrita, un’innocenza perduta, un’identità dissolta; e che ambisca a restaurarle. Il populismo è un fenomeno d’origine religiosa; o meglio: è un modo religioso d’intendere la vita e la storia. Come tale, prima ancora che un regime o un movimento, il populismo è un immaginario: una vaga galassia di credenze e valori, pulsioni e aspettative, eterea ma radicata, che si esprime in una mentalità» (p. 8; i numeri di pagina citati si riferiscono all’edizione Kindle).
Zanatta si sofferma sulla versione del populismo che impregnò l’ispanità cattolica a lungo dominante l’America Latina, del quale furono attivi esponenti i gesuiti. Non tutti i gesuiti furono o sono populisti, ma il populismo cattolico ha trovato tra di essi i più zelanti sostenitori. I suoi caratteri distintivi sono l’unanimismo, che deriva dalla concezione organicista secondo la quale la comunità è un’entità che supera gli individui che la compongono, ha identità e vita proprie che si impongono ai singoli, i quali acquistano una propria esistenza solo in quanto membri di essa; il corporativismo, ossia l’appartenenza del singolo a gruppi costituiti con codificate funzioni utili alla comunità; la struttura gerarchica e in fondo elitista, dove l’élite svolge una funzione di guida e guardiana della comunità.
L’ispirazione di fondo è moralista, lo scopo è non tanto e solo il rivolgimento sociale quanto la rivoluzione antropologica, ossia la creazione di un «uomo nuovo» animato da valori alternativi a quelli delle società liberali “materialiste e individualiste”. La realizzazione della Città di Dio in terra. Il nemico dei populismi gesuiti è «la nascita dell’individuo moderno che minò l’unanimità della comunità organica, la rivoluzione scientifica che infranse l’aura sacra del creato, la razionalità illuminista che incrinò la simbiosi tra fede e ragione, il liberalismo che sciolse la fusione tra sfera spirituale e sfera temporale, il capitalismo che incensando la prosperità esaltò l’egoismo. Tutto ciò causò disordine, conflitto, pluralità: cose che nella visione redentiva del populismo non sono la fisiologia della condizione umana, ma patologie che attentano all’organismo sano chiamato popolo» (p. 9).
Da qui l’ostilità al capitalismo e al profitto che lo governa, la critica del diritto di proprietà che ne costituisce la base giuridica, l’esaltazione della povertà garante di eguaglianza nella comunità, l’anatema del denaro sterco del demonio: «Un’equa povertà era ciò che conveniva a un ordine morale, la povertà “dignitosa” era il più nobile fine di una comunità cristiana» (p. 49).
La comunità organica dei tempi delle riduzioni gesuite, rese celebri, con non poche licenze cinematografiche, dal film Mission di Roland Joffé, sono «ovvie progenitrici dei “populismi gesuiti”» (p. 13). Il populismo gesuita è divenuto secondo l’autore il filo conduttore del populismo latino-americano anche nelle versioni laiche del Novecento. Nel tempo la comunità organica sarà chiamata stato, nazione, classe, ma sempre ci sarà dietro il riferimento al popolo, mentre l’élite guida della comunità non saranno più i sacerdoti gesuiti, ma i militari della Giunta rivoluzionaria o i burocrati del Partito, nuovi sacerdoti guida della comunità.
Zanatta rinviene i caratteri del populismo gesuita in esperienze politiche diverse, sulle quali si sono innestate le ideologie secolari, religioni politiche che hanno sostituito quella trascendente, ma nondimeno intrise di un compito salvifico moralista: rifare l’uomo. In questo filone, troviamo Juan Domingo Perón in Argentina, in equilibrio conflittuale con le istituzioni democratico parlamentari, ma che si ricollega all’ispanità cattolica con l’esaltazione del popolo umile e povero, che trovò nell’“evitismo”, il mito di Evita Perón, la sua manifestazione più mobilitante; Fidel Castro, nel quale il marxismo sopraggiunge su un’educazione ricevuta nel collegio gesuita Belèn all’Avana; Hugo Chavez, con il suo populismo antiparlamentare e antiliberale. Esperienze diverse, determinate dalle differenze di tempi e paesi in cui si sviluppano, saltuariamente in conflitto con le gerarchie ecclesiastiche, ma che spesso hanno riscosso simpatie nel clero gesuita.
Giustizialismo, castrismo e bolivarismo condividono l’organicismo e il moralismo del populismo gesuita, tutti ostili al liberalismo pluralista, individualista e capitalista, alle sue colonne, il mercato e soprattutto la proprietà privata, negata nella versione castrista, subordinata nelle altre alla comunità, cioè all’élite che la guida. Tutti nazionalisti nell’esaltare la comunità nazionale e la sua sovranità contro il nemico comune: gli Stati Uniti, patria del liberalismo con le sue libertà individuali, il suo pluralismo e la sua democrazia, che disgregano l’unanimismo della comunità organica. Non mancheranno conflitti tra questi regimi e le gerarchie ecclesiastiche, inclusi i gesuiti, ma il filo rosso del populismo gesuita rimase, tenendo con sé il nemico comune, il liberalismo figlio del razionalismo illuminista.
Nel populismo gesuita Zanatta infine inserisce l’attuale pontefice, Jorge Mario Bergoglio, del quale non studia le direttive ecclesiastiche o l’indirizzo teologico, ma l’identità culturale di esponente dell’ispanità cattolica latinoamericana. «Il suo popolo è unito da un collante morale e spirituale, non da un patto politico razionale» (p. 100), come tra i cittadini della società liberale. L’identità e unanimità di fede del popolo è minacciata dalla «globalizzazione liberale» che causa perdita di identità. «Da un lato v’è l’Occidente scristianizzato, egoista e consumista, dall’altro il “povero” globale, puro e innocente; un eterno minore, come i guaranì di un tempo» (p. 104). Il nemico è lo stesso di tutti i populismi gesuiti: il liberalismo. La perdita di fede dell’Occidente sarà compensata da «una robusta immissione di popolo incontaminato e impregnato di valori religiosi per sanarlo. Tali sono i migranti: la più potente forza per riconquistare il mondo secolare» (p. 106).
Il libro di Zanatta aiuta ad uscire dalle semplificazioni polemiche, da una parte degli esaltatori strumentali del papa, “arruolato” in battaglie sociali (si pensi all’immigrazione) ma “glissato” in altre morali (aborto), dall’altra dei detrattori che indulgono allo stereotipo semplicista del “papa comunista”. Zanatta avverte: il populismo gesuita è sì il filo rosso di esperienze politiche moderne, ma il comunitarismo bergogliano non è comunismo (come lo stesso pontefice ha voluto precisare di recente dopo una sua ennesima critica della proprietà privata). Bergoglio non scivolò su indulgenze verso il marxismo o la teologia della liberazione, il marxismo era anch’esso figlio del peccato originale della modernità, il razionalismo illuminista, e ammonì che era il comunismo ad aver imitato il cristianesimo, non certo l’inverso. Il libro di Zanatta offre un punto di vista originale, utile al confronto con altre letture di un pontificato controverso.
Il libro ha il taglio del pamphlet e Zanatta non nasconde la sua opinione, quando imputa al retaggio dell’ispanità cattolica, di cui il populismo gesuita è figlio, il sottosviluppo latinoamericano, sia economico sia politico, di una democrazia incerta, sempre contrastata da rivoluzioni o putsch militari. Tuttavia, il libro resta un saggio storiografico, assistito da numerosi riferimenti bibliografici, su un fenomeno che caratterizza la storia moderna dell’America Latina.