Nicolò Bindi (1991) si è laureato in Filologia Moderna all’Università degli studi di Pisa, discutendo una tesi su “Teoria e pratica del futurismo. Palazzeschi, Marinetti, Soffici”. Interessato principalmente agli aspetti stilistici, metrici e linguistici, sta concentrando le sue ricerche letterarie soprattutto sugli autori delle avanguardie storiche e del modernismo italiano ed europeo. Collabora con diverse associazioni culturali. È docente presso l'Istituto "Francesco Datini" di Prato.
Premessa
Purtroppo non è una storia autobiografica. Purtroppo non è ambientata in Meridione. Purtroppo non ha alcuna morale dall’agrodolce sapore sociale. Purtroppo è parca di emozioni. Purtroppo non credo che se ne potrà fare una fiction. Sono comunque sicuro che quest’opera abbia molti altri difetti apprezzabili.
Capitolo uno
Ovvero come nasce uno scrittore
Il sedici marzo del 1992, verso le 17:30, Francesca Villari ricevette tra le braccia il frutto dei suoi titanici sforzi creativi. Dato che era maschio, gli dette nome Alfredo.
Fornendo già prova di estrema sensibilità, il pargolo stava piangendo a dirotto.
Capitolo due
Giovine Alfredo, genio compreso
Fu per esprimere tutta la sua spiccata emotività, che Alfredo imparò a scrivere alla tenera età di quattro anni e mezzo. Un giorno andò da sua madre, e le disse:
«Mamma, ho scritto questo per te!»
«Oh, che amore che sei!» la mamma prese il foglio in mano «Ma non si capisce nulla, che c’è scritto?»
«Ah boh, che ne so? So scrivere, mica leggere.»
Quando, un paio di anni dopo, imparò pure a leggere non ce ne fu più per nessuno. Ancora oggi Alfredo ricorda con molto affetto la poesia che scrisse per le vacanze di Pasqua alla tenera età di otto anni, e che tanto piacque alla maestra. Il testo era breve, ma intenso.
In virtù di quell’encomio scolastico, i versi furono recitati da Alfredo a tutta la famiglia:
« Se nel mondo esistesse un po’ di bene
e ognun si considerasse suo fratello,
ci sarebbe meno pensieri e meno pene
e il mondo ne sarebbe assai più bello.»
Doveroso intermezzo meditativo ispirato alla semplice profondità di questi versi
A questo punto, un autore che si rispetti deve per forza aprire una parentesi meditativa, per esplicitare anche al lettore meno sveglio il profondo significato di quello che ha appena scritto. Ora, queste parti sono, assieme alle descrizioni, quelle più lente in una narrazione. Dato che non voglio annoiare nessuno, velocizzeremo questo intermezzo procedendo per punti, così verranno fuori anche delle bellissime frasi utilizzabili come didascalie per Instagram:
- I bambini sono molto più saggi degli adulti.
- La violenza fa male, la pace no.
- Siamo tutti fratelli (il padre però non sappiamo chi sia perché è uscito a comprare le sigarette e chi l’ha più rivisto?).
Adesso che ci siamo tolti questo dente, possiamo andare avanti.
Fine intermezzo
La gioventù di Alfredo fu costellata di letture preziose: lesse Rodari, Calvino, Baricco, Benni, Calvino, D’Avenia, Calvino, Baricco, Calvino, Calvino. Non mancavano neanche le soddisfazioni culturali: prendeva sempre ottimi voti ai temi e le professoresse erano entusiaste.
Tra i cupi corridoi sovietici del liceo scientifico A. di Savoia duca d’Aosta di Pistoia – per intenderci, la scuola di Alfredo – le insegnanti in pausa caffè, quando veniva fuori il suo nome, cominciavano a sussurrare, con un po’ di riverente rispetto, una locuzione francese, sinonimo di “messia”: enfant prodige.
Capitolo tre
Il non essere
Erano i primi di aprile. La pioggia faceva lamentare un po’ tutti, e ispirava profonde riflessioni tra il corpo docente e i ragazzi, come: «Eh, il surriscaldamento globale…», «Qui sta continuando l’inverno…», « È tutta colpa nostra…», «Non ci son più le mezze stagioni…»
In verità, la cupezza dei nuvoloni carichi di pioggia sembrava intonarsi a meraviglia con l’edificio scolastico, trasudante statalismo e sussidio. Chiunque avesse progettato quell’insieme di mura, finestre e porte doveva aver considerato Berlino Est come la nuova Gerusalemme Celeste. Doveva, poi, avere avuto anche un conto in sospeso con la luce: non c’era lampada, raggio di sole, torcia, fuoco, faro che potesse illuminarne davvero le aule, i corridoi… Tutto, lì dentro, era condannato a un crepuscolo perpetuo, al confronto del quale pure la nube più nera rappresentava un bagliore di speranza.
Per questo, metà della 4a D – la classe del nostro eroe – osservava la pioggia attraverso i finestroni incrosticciati di polvere e liquido lavavetri dato alla buona. La professoressa Menguzzo, prima di restituire i temi, si era messa a recitare il rituale elogio allo scritto di Alfredo. Stavolta, però, era molto più sentito del solito:
«Ha scritto un tema di una profondità, di una sensibilità incredibile. Mi sono permessa, sempre che Alfredo sia d’accordo, di fotocopiarne 24 copie: una per me, e le altre per ciascuno di voi, così che possiate leggerlo tutti e trarne esempio. Va bene, vero, Alfredo? – Lui annuì, sebbene con quel po’ di modesto imbarazzo che fa sempre simpatia – Dopo la lezione, esci un attimo in corridoio con me.»
Così fece, e la professoressa gli disse:
«Senti, io avrei un amico editore… Non chissà quale casa editrice, eh… Insomma, stanno lavorando a una raccolta di racconti a tema sociale scritti dai giovani. Potrei proporgli di inserire il tuo tema, che ne dici?»
Alfredo, visibilmente emozionato per l’offerta fattagli, accettò. Un mese più tardi, il suo nome era stampato nell’indice di “Racconti migranti” della casa editrice “Fischia il vento”, a sinistra del titolo “Ulisse a Lampedusa”.
Capitolo quattro
Ovvero quello da cui inizia Vita di Alberto Pisani
«Degno di Pasolini! Anche un po’ tabucchiano.» fu il commento della sua professoressa delle medie, a cui aveva fatto leggere il racconto edito.
«Qui si sente Pasolini! Il finale invece è molto bukowskiano.» disse invece Giovanni, il cugino che studiava Lettere a Firenze.
«Io ci vedo molto Pasolini, misto però alla prosa calviniana.» fu invece l’opinione di Gino, il bidello della scuola.
Ora, di norma, chiunque leggesse “Ulisse a Lampedusa” ci vedeva l’influenza di Pasolini e di un qualche autore in –ano. Ciò faceva molto piacere ad Alfredo, anche se di Pasolini non aveva mai letto nulla. Fu grazie a questi elogi che capì: era destinato a diventare un grande scrittore.
Capitolo cinque
Grande scrittore
Spinto dal suo successo, Alfredo cominciò a pianificare la scrittura di un romanzo, a cui avrebbe dato vita negli inoperosi mesi estivi. Il risultato finale doveva essere una bella e sofferta epopea autobiografica di denuncia sociale e di sentimenti epidermici.
Pensate che buffo: il protagonista di questo romanzo-sveltina che scrive a sua volta un romanzo diametricalmente opposto a quello di cui è il protagonista principale. Meno male non mi metto a far prediche, manco i miei personaggi seguono le mie direttive!
Pure sulla lunghezza, Alfredo fece di testa sua: solo il primo capitolo era lungo ottantacinque pagine (il numero è scritto in lettere per evidenziarne la lunghezza).
A fine luglio, però, la vena di Alfredo si era inspiegabilmente bloccata a pagina trecentoventi. Dette il suo manoscritto al cugino già citato (quello iscritto a Lettere) per averne un parere e un consiglio su come andare avanti.
Quando Giovanni (il cugino) vide la mole di fogli, sgranò quasi impercettibilmente gli occhi, e disse:
«Non ci sono problemi.»
Alfredo non rivide più le sue bozze.
Non potendo andare avanti con il romanzo, ma avendo comunque voglia di esordire con una pubblicazione tutta sua, Alfredo decise di ripiegare su qualcosa di più rapido: le poesie.
Nel mese di agosto tirò giù qualcosa come centosette poesie in versi liberi, che fece circolare tra le sue conoscenze.
Secondo intermezzo contenente le opinioni sulle poesie di Alfredo
«Ci sento molto Ungaretti, ma anche un po’ di Pasolini.» (vecchia maestra delle elementari a cui era rimasto legato).
«Si vede che Ungaretti ti influenza molto, poi c’è un che, a metà fra Pasolini e Baudelaire.» (Professoressa di italiano).
«Mi piace il tuo stile ungarettiano, contaminato con Pasolini e Leopardi.» (cugino di Lettere, che aggiunse poi «Sì, il romanzo lo sto leggendo»).
Fine secondo intermezzo
La raccolta di poesie fu pubblicata sempre da “Fischia il vento”, con il titolo Canti africani, anche se l’Africa non era mai nominata. Questa fu, comunque, la prima di una lunga serie di sillogi.
Capitolo sei
La tragedia del divenire
Gli anni passarono, Alfredo si diplomò e raggiunse suo cugino a Lettere («Dammi ancora un paio di settimane e lo finisco di leggere, promesso!»). Intanto, continuava la sua attività scrittoria, sempre in collaborazione con “Fischia il vento”. Scriveva racconti, poesie, aforismi e, a volte, anche qualche articolo online. Quello che ebbe più successo si intitolava Rileggere Pasolini, che fu pure condiviso da una sconosciuta in un gruppo Facebook chiamato Socialisti vegani. Alfredo osservò bene il profilo della sconosciuta, per scoprire doti intellettuali che però non trovò; si risolse quindi a non contattarla in privato.
Oltre a ciò, gli esami andavano benissimo. La vita sembrava sorridere al talentuoso Alfredo.
Terzo e ultimo intermezzo che racconta alcuni degli esami più complessi passati da Alfredo
Letteratura contemporanea:
«È colpa dell’Occidente.»
«Bravo, Trenta!»
Storia medievale:
«Colpa dell’Occidente.»
«Ottima analisi, Trenta e lode!»
Geografia:
«Colpissima dell’Occidente.»
«Naturalmente, Trenta!»
Fine del terzo e ultimo intermezzo
Poi, qualcosa si ruppe: arrivato alla decima pubblicazione, ad Alfredo cominciò a balenare l’idea di meritare qualcosa di più, di dover avere un riconoscimento più ampio delle trecento copie edite a opera, di cui dieci regalate e duecentonovanta giacenti da qualche parte. Pure il cammino universitario si inceppò, a causa dell’esame di latino («È colpa dell’Occidente.» «Sì, ma me lo doveva dire in latino. Bocciato!» «NOOOOO!»); questo causò un grosso smarrimento nell’anima del ragazzo: il tempo scorreva, e a lui sembrava di rimanere immobile.
Continua…