Gabriele Bini è laureato in Scienze dell'Informazione all’Università di Pisa. Ha lavorato presso aziende di consulenza informatica italiane e alle sedi ESTEC e ESAC dell’Agenzia Spaziale Europea. Pubblica scritti e riflessioni di carattere sociologico, politologico e storico sul blog “Parole (meno) sante”.
Ultimamente si discute molto di “pensiero unico”, spesso ma non sempre in senso dispregiativo. È un termine negativo per chi non si riconosce in esso e lo vede come un sistema oppressivo, invadente e limitante della propria libertà. Per chi invece si identifica nel “pensiero unico” esso è la voce della ragionevolezza, talvolta della scienza o del dovere civico. Per lo stesso motivo chi vi si oppone è considerato irragionevole, ignorante e dotato di scarso senso civico. Frequentemente, molto più sulle rete sociali che nei media tradizionali, il conflitto fra i fautori del “pensiero unico” e i suoi oppositori è particolarmente evidente e dai toni sempre più accessi, talvolta perfino violenti.
Mi sono fin qui riferito al “pensiero unico” racchiudendolo fra virgolette: il motivo è che tale espressione mi pare intrinsecamente fuorviante. Proprio come l’evidente dissenso sulle reti sociali dimostra tale pensiero non è unico ma, semmai, maggioritario. Penso sia quindi epistemologicamente più utile distinguere fra pensiero maggioritario e minoritario, perché questo ci permette di comprenderne meglio le rispettive nature e da qui partire per arrivare ad una migliore comprensione di questi fenomeni.
Scrivo pensiero maggioritario e minoritario al singolare, per semplicità, ma è ovvio che vi siano tanti pensieri maggioritari e minoritari almeno quante le questioni dove il dibattito è più acceso e sentito dalla popolazione (penso alla questione dei vaccini, all’immigrazione, alla politica estera etc.). Ci sono almeno due aspetti fondamentali da capire nel dualismo fra pensiero maggioritario e minoritario. Il primo è che il pensiero maggioritario è sempre esistito: ogni società in ogni tempo si è potuta mantenere stabile solo grazie alla condivisione di gran parte della popolazione di specifiche idee, ideali, illusioni, principi, credenze etc. Ogni potere politico, con i mezzi che la tecnologia coeva permetteva, ha poi cercato di consolidare tutti quei valori che ne garantivano la propria forza e, contemporaneamente, mantenevano la società pacifica e tranquilla.
In passato la religione, la morale, gli intellettuali e gli artisti, l’educazione scolastica (quando presente) hanno sempre cooperato per mantenere la pace sociale giustificando lo stato delle cose e il potere politico costituito. Dal XX secolo i media, e soprattutto la televisione, sono diventati i mezzi primari con cui la società definisce e giustifica se stessa. Il secondo aspetto è che anche le persone insoddisfatte della propria vita e società sono sempre esistite. Qualsiasi decisione del potere politico lascia inevitabilmente degli scontenti: nessuno è felice di dover pagare una nuova tassa o di avere un nuovo obbligo da adempiere. Ma il pensiero minoritario non esisteva in passato: il motivo è che i singoli individui insoddisfatti rimanevano isolati. Molto raramente avevano la possibilità di condividere le proprie idee e, quindi di organizzarsi insieme. Anzi, probabilmente proprio la mancanza di persone che nutrivano pensieri analoghi portava i singoli dissidenti a dubitare di se stessi e delle proprie ragioni e, quindi, ad abbandonarle più facilmente per uniformarsi al pensiero maggioritario.
Il singolo poteva tutt’al più convincere una ristretta cerchia di conoscenti della bontà delle proprie ragioni ma, molto raramente, una platea più vasta: il massimo a cui si poteva arrivare era un tumulto, in genere facilmente e brutalmente represso. Occasionalmente potevano esserci degli intellettuali abbastanza pertinaci da perseverare nelle loro idee e, magari, capaci di dar loro voce con scritti o azioni. La storia è ricca di esempi di tali individui perseguitati fino a quando non avessero rinnegato il proprio pensiero: per l’Italia basti pensare a Dante, Giordano Bruno o Galileo tanto per fare qualche nome. Quindi dobbiamo chiederci che cosa abbia permesso in questi ultimi anni la nascita del pensiero minoritario. La risposta ce la fornisce la tecnologia: adesso anche il singolo ha la possibilità di sfruttare la rete Internet per far sentire la propria voce. Siti personali, blog, forum e, ovviamente, le reti sociali permettono ad ogni persona di condividere le proprie idee potenzialmente col resto del mondo e, quindi, di mettersi in contatto con chi la pensa allo stesso modo.
Sull’importanza di comunicare con persone con idee affini Noam Chomsky scriveva agli inizi degli anni ’90 (epoca sostanzialmente pre-Internet): «La persona che nei sondaggi afferma di preferire la spesa sociale alla spesa militare […] si convince di avere convinzioni folli, perché non ha mai sentito affermare niente di simile e crede che nessuno la pensi così. Chi dà questo tipo di risposte nei sondaggi si pone in qualche modo al margine, e poiché non ha occasione di incontrare altre persone che condividano o rafforzino il suo punto di vista e lo aiutino ad articolarlo, si sente diverso, escluso. Così si fa da parte e non presta attenzione a quanto accade».
Ecco quindi che nasce il pensiero minoritario: i dubbi e lo scetticismo verso particolari aspetti del pensiero maggioritario prendono forma e si uniformano. Spesso manca una struttura ideologica che sostenga il pensiero minoritario ma questo è normale perché esso parte dal basso, non dall’alto: dà voce alle aspettative e perplessità della gente comune e, in genere, solo successivamente gli intellettuali sono in grado di riconoscerle, interpretarle e, magari, giustificarle ideologicamente. La genesi spontanea del pensiero minoritario spiega anche perché esso compaia con maggiore evidenza in Rete e sia, al contrario, trascurato o anche ridicolizzato dai media tradizionali. Essi, infatti, per loro natura tendono a essere acquiescenti col potere e con i suoi ideali. Anche per il singolo giornalista/intellettuale è più proficuo e facile ribadire i principi del pensiero maggioritario piuttosto che andare controcorrente con tutte le addizionali incertezze e difficoltà del caso.
Ci si potrebbe domandare perché queste divergenze fra pensiero maggioritario e minoritario non si risolvono con un dibattito aperto e civile. Il motivo è che, come detto, il pensiero maggioritario non solo mira alla stabilità della società, ma anche a proteggere gli interessi del potere costituito che non sempre coincidono con quelli della popolazione. È poi nella natura umana adeguarsi alla maggioranza e, parimenti, disprezzare chi non lo fa. A questo proposito scriveva John Stuart Mill: «Molti considerano lesiva dei propri interessi qualsiasi condotta che loro dispiaccia, e se ne risentono come di un oltraggio ai loro sentimenti; simili a quel bigotto che, accusato di disprezzare i sentimenti religiosi degli altri, ha ribattuto che sono loro a disprezzare i suoi persistendo nel loro abominevole culto o credo».
Inutile dire che questo conflitto fra pensiero maggioritario e minoritario si riflette in ciò che è ritenuta poter essere la libertà individuale. Non è un caso che la tendenza, sotto varie forme, a limitare la libertà sia oggi sempre più diffusa e quasi invocata come necessaria da molte persone. Sempre Mill scrive infatti: «E non è difficile dimostrare, con abbondanza di esempi, che l’ampliamento del raggio d’azione di quella che può essere chiamata polizia morale fino a farle ledere la libertà individuale più indiscutibilmente legittima è una delle più universali propensioni umane».
Credo sia importante distinguere fra pensiero maggioritario e minoritario e soprattutto comprenderne la vera natura perché solo così, inserendoli nel contesto più ampio, si può analizzare e capire le ragioni delle due parti. Essere consapevoli che il pensiero maggioritario è sempre esistito e di quali siano i suoi obiettivi aiuta a valutarne la validità nei vari casi; ma anche sapere che il pensiero minoritario è il risultato inevitabile (a meno che non si instauri una pesantissima censura preventiva) delle nuove forme di comunicazioni e che i suoi membri non sono degli squilibrati ma persone che hanno subìto o pensano di aver subìto dei torti, sarebbe indispensabile per trovare un nuovo paradigma con cui risolvere e appianare, per quanto possibile, queste divergenze. Divergenze che inevitabilmente tendono, se lasciate irrisolte, a indebolire il tessuto della società con le varie maggioranze e minoranze che si accusano vicendevolmente per tutto ciò che non funziona.
In definitiva il pensiero “unico” o maggioritario è sempre esistito, mentre la vera novità è rappresentata dall’emersione del pensiero minoritario. La sfida del futuro sarà conciliare questi dissidi sociali senza ricorrere a forme di repressione che, temo, farebbero inevitabilmente sprofondare la società in una spirale di ingiustizie dalla quale sarebbe poi molto arduo uscire.