Gabriele Bini è laureato in Scienze dell'Informazione all’Università di Pisa. Ha lavorato presso aziende di consulenza informatica italiane e alle sedi ESTEC e ESAC dell’Agenzia Spaziale Europea. Pubblica scritti e riflessioni di carattere sociologico, politologico e storico sul blog “Parole (meno) sante”.

Il Saggio sulla libertà (titolo originale: On Liberty) fu pubblicato da John Stuart Mill nel 1859, cioè ben oltre un secolo e mezzo fa, ma ciò nonostante è di un’attualità sconcertante. Credo che il termine “sconcertante” sia appropriato: siamo abituati a pensare al XIX secolo come ad un’epoca arcaica, non solo per la scienza e la tecnologia relativamente rozze, ma anche dal punto di vista sociale. Questo ci porta a sottovalutare l’intero pensiero del tempo considerandolo ormai sorpassato.

Eppure questa nostra presunta superiorità non si avverte leggendo le parole di Mill sulla libertà: anzi, già dopo poche pagine, ci si rende conto che i progressi che forse vi sono stati in tale ambito sono, al giorno d’oggi, sempre più minacciati se non già ridotti. L’opera di Mill diviene quindi un’utilissima guida con criteri chiari sulla direzione di dove si trovi il giusto equilibrio fra i diritti dell’individuo e quelli della società sul singolo. Oltretutto il linguaggio usato dall’autore britannico è piano e lineare: non vi è traccia di termini astrusi o filosofici, è evidente che il suo scopo fosse quello di creare un testo snello, arricchito da molti esempi concreti, che potesse essere letto e compreso da ogni lettore. E da un linguaggio semplice non derivano necessariamente dei concetti banali, al contrario Mill riesce ad analizzare i problemi legati alla libertà in maniera estensiva e chiara, suddividendo e affrontando caso per caso i vari aspetti che li caratterizzano.

Anche la struttura del testo è estremamente razionale. Esso è diviso in cinque parti: nell’introduzione stabilisce il suo criterio guida per individuare il bene che, principalmente, corrisponde all’utile per la società. Nelle tre parti successive, che sono il nucleo della sua opera, Mill dimostrerà che la massima libertà d’espressione e d’azione individuale sono benefiche per la società e, quindi, è nel suo interesse evitare di limitarle. L’ultima parte, la quinta, è forse quella meno interessante: si tratta infatti di esempi di applicazione nell’Inghilterra del XIX secolo dei principi che ha illustrato.

Nella seconda parte dell’opera Mill affronta il problema della libertà d’espressione: il suo modo di procedere ricorda una dimostrazione matematica per assurdo. L’autore, invece di elencare i vantaggi della libertà d’espressione, mostra come in qualsiasi circostanza la sua negazione, ovvero la censura, sia dannosa, cioè non utile e spesso controproducente, alla società. Dimostrando che la censura è sempre dannosa ne conclude che la libertà d’espressione è invece sempre vantaggiosa.

Nell’epoca attuale dove la censura, spesso mascherata (lotta alle bufale, tutela di presunte verità scientifiche, il politicamente corretto, paternalismo mal indirizzato etc.), sta conoscendo un momento involutivo su più livelli (nel mondo, nella UE, in Italia, nella politica dei colossi di Internet, etc.) e rischia di vanificare la libertà conquistata nel XX, il valore del capolavoro milliano è veramente incommensurabile. Mill infatti, con le sue argomentazioni a favore della libertà di espressione, smantella una per una, in maniera logica e precisa, tutte le obiezioni a essa comunemente mosse dalla censura.

Sarebbe bello poter ripercorrere i diversi ragionamenti di Mill a sostegno della libertà, ma motivi di spazio lo impediscono. Da una parte, rischieremo di fare un torto all’autore semplificandone troppo il pensiero mentre, dall’altra, per il lettore sarebbe comunque più proficuo leggere direttamente il testo originale. Vale però la pena illustrare, almeno parzialmente, l’argomentazione di Mill più interessante ovvero quella a favore della libertà di esprimere opinioni che si è certi siano errate.

Secondo Mill la verità, per essere utile, deve essere realmente compresa e ciò non equivale a imparare delle formule a memoria che, da sole, rischiano di divenire delle vuote filastrocche senza alcuna attinenza con la realtà. La verità per non rimanere uno sterile concetto astratto deve essere contrapposta, difesa e confrontata con il falso: solo da questo sforzo di comparazione la verità acquista significato e non diviene un vuoto dogma che si è abituati a pensare come vero ma che, in effetti, non si è in grado di comprendere in pieno: del resto, affermava Plutarco, la conoscenza non è un secchio da riempire ma un fuoco da accendere.

Nelle parole di Mill:

supponiamo che un’opinione sia vera, ma venga pensata come se fosse un pregiudizio, una credenza indipendente da argomenti e ad essi refrattaria: non è questo il modo in cui un essere razionale dovrebbe possedere la verità; questo non è conoscere la verità. In queste condizioni, la verità non è altro che un’ennesima superstizione, associate a parole che enunciano una verità.

Per Mill quindi permettere ad un’opinione, anche completamente errata, di essere diffusa corrisponde ad aiutare la verità a divenire più evidente. Il falso non deve essere vietato ma a esso deve venire contrapposta la verità che così ha modo di acquistare il suo pieno significato. Se vogliamo è un ritorno all’antica filosofia greca : ciò che è vivo è tale solo in presenza di un contrasto: ciò che non ha al suo interno alcuna contraddizione è infatti certamente morto. E questo lo si può applicare alla verità nella mente dell’uomo.

Inoltre, sempre nell’ottica di essere in grado di sfruttare una verità a proprio vantaggio, si deve anche poter confutare le affermazioni a essa contrarie. Illuminante la spiegazione di Mill:

Il secondo oratore dell’antichità affermava di studiare sempre gli argomenti del proprio avversario con uguale, se non maggiore, attenzione dei propri […] Chi conosce solo gli argomenti a proprio favore conosce poco: può avere delle buoni ragioni, che magari nessuno è mai stato capace di confutare; ma se è altrettanto incapace di confutare le ragioni avversarie, se neppure le conosce, non ha basi per scegliere tra le due opinioni.

Ovviamente per conoscere le idee degli avversari è necessario che questi siano liberi di esprimerle. La terza e la quarta parte dell’opera di Mill sono complementari: la prima di queste riguarda i limiti alla libertà d’azione dell’uomo mentre la seconda i diritti della società di coartare la libertà del singolo.

I criteri stabiliti da Mill sono molto semplici: il singolo individuo, se capace di intendere e di volere, è libero di comportarsi come meglio crede senza però danneggiare altre persone. Contemporaneamente la società ha il diritto di limitare la libertà del singolo per proteggersi (ovvero per proteggere le persone che la compongono) e per mantenersi (è quindi legittimo imporre tasse, arruolare il singolo per la difesa comune etc.). Di per sé questo criterio è un po’ vago dato che quasi qualsiasi azione del singolo può avere un impatto negativo sulla società. Per esempio: “Danneggio gli altri se non mi vaccino per una malattia? (rischiando di diffonderla)”, “Danneggio gli altri se bevo alcool? (rischiando di ubriacarmi e commettere un gesto inconsulto)”, “Danneggio gli altri se mi drogo?”, “Danneggio gli altri se fumo all’aperto? (il costo dell’eventuale malattia è in parte pagato dalla società)”, “Danneggio gli altri se mangio una bistecca? (l’impronta ecologica della carne animale è altissimo rispetto a quella di un hamburger vegetale)”.

Alcuni risponderebbero “sì” a tutte le domande ma molti, darebbero delle risposte più variegate: di sicuro mancherebbe l’unanimità e, di conseguenza, verrebbe dimostrato la mancanza di valore assoluto del criterio stabilito da Mill. È chiaro che non potrà esistere una regola assoluta per stabilire quale debba essere il confine fra la libertà individuale e il diritto della società di limitarla: del resto questo problema altro non è che l’essenza del conflitto fra Super-io ed Es di ogni singolo uomo che si riflette nella società.

Comunque Mill approfondisce il suo criterio arrivando a questa formula:

Ma, per quanto concerne il danno puramente contingente o, come lo si può chiamare, costruttivo che un individuo causa alla società con una condotta che non infranga alcun dovere specialmente verso il pubblico, né leda percettibilmente alcuna persona precisa salvo l’individuo stesso, si tratta di un fastidio che la società può permettersi di sopportare, nell’interesse di un bene maggiore, la libertà umana.

Gli elementi significativi qui sono due: Mill riconosce che non è possibile impedire completamente che la libertà individuale non danneggi, seppure indirettamente, la società. Il secondo elemento è il nuovo criterio che propone ovvero “non ledere alcuna persona precisa”. Cioè, al momento dell’azione, il suo autore non sa se altre persone potranno esserne danneggiate né, tantomeno, può identificarle a priori. In questo caso l’attività diviene un rischio generico per la società che però non lede nessuno in particolare: dal punto di vista di un qualsiasi membro della società equivale, per esempio, al pericolo di uscire di casa ed essere investito da un’auto. Chiunque abbia la patente è libero di guidare la propria auto anche se potrebbe causare un incidente che ferisca un pedone: al momento infatti la società accetta questo rischio ritenendo più importante tutelare la libertà di movimento del singolo.

Voglio concludere sottolineando che gli spunti di riflessione sulla libertà applicabili anche alle problematiche odierne sono innumerevoli. Spesso gli argomenti di Mill possono essere adottati tali e quali, più raramente è necessario un minimo di buon senso per poterli riadattare al mondo moderno e alle sue peculiarità (basti pensare a Internet): però le idee di Mill, anche quando non sono immediatamente applicabili, sono comunque un’ottima base di partenza su cui riflettere. Si tratta quindi di un saggio utile a tutti, ma che soprattutto sarebbe fondamentale per la formazione dei nostri studenti.

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