Avvocato e dottore in Scienze storiche. Ha al suo attivo pubblicazioni sul federalismo (Le origini del federalismo: il Covenant, 1996; Il sacro contratto. Studio sulle origini del federalismo nordamericano, 1999). Ha inoltre pubblicato Sovranità. Teologia e sacro alle origini di una categoria politica (2015); Il regime alimentare dei monaci nell'alto medio evo (2017), Paura e Rivoluzione francese nell’opera di Guglielmo Ferrero (2021); Un nuovo romanticismo per il nuovo secolo (2024) . Inoltre ha curato la riedizione del volume di Guglielmo Ferrero Palingenesi di Roma antica (2019). E' autore di articoli e relatore in convegni di studio.
Recensione a
A. Valli, Virus e Leviatano
Liberilibri, Macerata 2020, pp. 94, €11,00.
G.E. Rusconi, Vivere nell’insicurezza
il Mulino, Bologna 2020, pp. 150, €12,00.
Un profluvio di saggi e pamphlet ha invaso il mercato editoriale di questo tormentato 2020 ed è comparsa alla ribalta una nuova figura di “esperto”: il commentatore della pandemia. Ma la letteratura sul virus e sulle conseguenze sanitarie, psicologiche, politiche, sociali e economiche della “peste del XXI secolo” anziché arrecare chiarezza lascia disorientati. D’altronde siamo tutti immersi nel flusso degli eventi e non si ha neppure il tempo di capire cosa davvero stia succedendo e in quale direzione le nostre società sembrino incamminarsi. Eppure è condivisa la sensazione che hic et nunc si stiano assumendo decisioni che condizioneranno pesantemente la nostra vita negli anni a venire. Nella letteratura fiorita a margine del covid abbondano disparate interpretazioni e ricostruzioni che spaziano dalle improbabili teorie cospirazioniste alle altrettanto improbabili letture di estremo allarmismo sanitario; non manca inoltre chi ricama fantasie su come sarà il mondo nell’era “postcovidica” e resuscita in chiave aggiornata antiche utopie.
Tra i molti disponibili, abbiamo scelto in questa sede due saggi diversissimi tra loro per caratteristiche, modalità di approccio al problema e finalità perseguite: Virus e Leviatano del giornalista (ex vaticanista) Aldo M. Valli e Vivere nell’insicurezza dello storico e politologo Gian Enrico Rusconi.
Il testo di Valli sin dal titolo evoca lo stretto nesso tra emergenza sanitaria e rischi, quanto mai seri e già in atto, di involuzioni autoritarie dello Stato contemporaneo. In cambio della sicurezza (vera o presunta) attuata da invadenti protocolli sanitari i cittadini hanno rinunciato ad alcune tra le fondamentali libertà di diritto naturale sancite dalla nostra costituzione. Valli non affronta i misteri delle origini del virus e della regia occulta che secondo alcuni potrebbe celarsi dietro. Egli insomma si tiene alla larga dalle teorie del cospirazionismo, ma si preoccupa di esaminare le conseguenze della pandemia da una angolazione di filosofia politica. Il succo della tesi di Valli è tutto riassumibile nel titolo del primo capitolo (Un dispotismo statalista, condiviso e terapeutico): l’emergenza sanitaria ha fatto emergere la debolezza delle tradizioni delle libertà costituzionali al cospetto di un bene che, improvvisamente, è assurto al rango primario: la Salute. Le procedure costituzionali (parlamenti esautorati dall’esecutivo) e le libertà fondamentali sono state accantonate senza troppi cerimoniali e, ciò che più conta, senza un sostanziale dissenso da parte dei cittadini.
I fondamenti stessi della legalità, della libertà e dello Stato di diritto si sono rivelati «beni privi di importanza» (p. 12) e anzi zavorre inutili nella guerra al covid. La narrazione massmediatica («il collegamento tra dispotismo condiviso e informazione è strettissimo», p. 22) ha creato con il fondamentale l’ausilio degli scienziati (virologi in particolare) l’homo timorosus, colui cioè che pur di sottrarsi alla paura (vera o indotta) è disposto a sacrificare le libertà costitutive del nostro ordinamento.
D’altro canto il potere esecutivo che governa a suon di decretazioni d’urgenza e in uno stato di emergenza continuamente prorogato si fa autoritario nel dichiarato interesse della collettività alla Salute: un dispotismo “paternalistico”, che ci vuole tutti sottoposti a percorsi di recupero terapeutico. A poco o nulla sono serviti i moniti di giuristi e costituzionalisti sulla disinvoltura con cui l’esecutivo ha assunto i pieni poteri giustificabili – secondo la costituzione – solo in stato di guerra. E infatti non è un caso che l’emergenza sanitaria sia stata da subito insistentemente presentata come una guerra. Chi ha sollevato obiezioni non sulla realtà e obiettività del virus ma sulle «modalità politiche e mediatiche con cui è stata gestita l’emergenza» (p. 64) è stato bollato come “negazionista”, eretico irriducibile alla nuova triade Salute-Sicurezza-Responsabilità e al fideismo igienista. Anche la Chiesa Cattolica si è conformata alla nuova triade e ha abdicato (senza alcuna resistenza) alla propria libertas e autonomia come forse mai nel recente passato.
Il volto del nuovo Leviatano non è arcigno come quello di hobbesiana memoria ma “benevolo”, nel senso che tratta i cittadini come dei bambini incapaci di libertà e consapevolezza (il paternalismo autoritario emerge sin dai nomi prescelti per gli atti normativi di emergenza: “Cura Italia”; “Salva Italia” etc). Insomma, secondo Valli stiamo volontariamente subendo un dispotismo amministrativo in un contesto (l’Italia) in cui «la libertà non è più nemmeno avvertita come un valore da difendere» (p. 87). Possiamo criticamente considerare la tesi di Valli deficitaria in tema di realismo politico? Può darsi. L’emergenza sanitaria si è imposta virulenta e agli inizi della pandemia il governo italiano (ma in realtà tutti i governi) ha semmai negato o sottovalutato il problema. Ma c’è un punto su cui Valli si rivela estremamente realista e lancia il suo allarme, laddove avverte che è fortissima oggi in tutto l’Occidente la tentazione di «utilizzare lo stato d’eccezione per affrontare una situazione di crisi economico-sociale o per imporre le proprie politiche in settori sensibili» (p. 82). Lo abbiamo già visto: il governo, con la decretazione di urgenza e aggirando il parlamento e le procedure costituzionali, ha assunto e attuato decisioni di primario interesse pubblico in materie che esulavano dalla sfera dell’emergenza sanitaria. Se questo non è dispotismo, poco ci manca. Ci paiono pertanto meritevoli di attenzione quelle voci (come Valli), quasi inesistenti all’inizio della pandemia ma oggi un po’ più numerose, che tra la Sicurezza e la Libertà si ostinano a scegliere la seconda.
Invano si cercherebbe la verve polemica e l’appassionato amore per la libertà che caratterizzano le pagine di Valli nello stile sorvegliato e sobrio di Gian Enrico Rusconi. La finalità del saggio di Rusconi è quella «di riprodurre per quanto possibile il quadro complessivo di un dibattito ancora in corso » sulla pandemia e il clima di insicurezza (p. 21) diffusosi nella sfera privata e personale, in quella politica ed economica, così come in quella geopolitica internazionale. Quindi un resoconto più che una interpretazione, con ampie citazioni di opinionisti e di studiosi di politica internazionale. Tutto il saggio di Rusconi è pervaso dal profondo illuministico convincimento che la situazione di insicurezza, aggravata (più che indotta) dalla pandemia, potrà affrontarsi e risolversi solo col ricorso alla razionalità, ossia allo sforzo obiettivo delle scienze sociali di rendere intelligibile i comportamenti umani e la loro storia.
Abbiamo invece in questi mesi troppo spesso assistito non a risposte razionali bensì a una sete di certezze che però la scienza (nella specie: la virologia) è stata incapace di soddisfare, né avrebbe potuto perché per definizione il metodo scientifico procede per ipotesi. Evocata nelle prime pagine del saggio, la razionalità ne segna anche la chiusa («la razionalità/ragionevolezza è l’unica risorsa che abbiamo per reagire adeguatamente e contrastare il mondo di insicurezze in cui continuiamo a vivere», p. 150) e accompagna in sottofondo il resoconto a più voci (ampie citazioni di vari opinionisti, studiosi e politici) esposto con obiettivo distacco. Rusconi riserva ampio spazio alle conseguenze della pandemia sul welfare (italiano e non solo) e sui rapporti di forza geopolitici tra le grandi potenze, con un occhio di riguardo alle vicende interne all’Unione europea e in particolare all’asse franco-tedesco, consolidatosi col patto di Aquisgrana.
Solitamente cauto nel prendere posizione per non intaccare l’obiettività del resoconto, Rusconi è però persuaso della vitalità del vecchio Stato nazionale: la pandemia ha svelato l’illusorietà di chi credeva nel superamento delle cornici nazionali (lo Stato nazionale si conferma la nostra realtà più prossima e stringente, nel bene e nel male) e allo stesso tempo ha evidenziato la condizione comatosa delle «pletoriche organizzazioni internazionali» (p. 57) ma non dell’Ue che, grazie all’asse franco-tedesco, col Recovery Fund ha compiuto un salto di qualità verso l’integrazione. Ma è ancora troppo presto per valutarne gli effetti sul lungo termine, specialmente per quegli Stati, come l’Italia, avvezzi all’accumulo di debito da scaricare sulle finanze comunitarie. Cruciale sarà la condizionalità (più o meno stringente) dei crediti concessi agli indebitati Stati mediterranei.
La lettura del saggio di Rusconi procede agile e riccamente informativa ma, giunti al termine, lascia un vago senso di insoddisfazione perché, a parte il convinto appello alla razionalità, non emerge una visione d’insieme che ispiri un futuro migliore. Per i tanti problemi di insicurezza, pure ben lumeggiati nel serrato resoconto, Rusconi “fotografa” le stentate soluzioni in atto per subito evidenziarne le fragilità: un realismo di intonazione pessimistica, appena scalfito dalla fiducia nella razionalità.