Francesco Paolella (1978) ha studiato filosofia a Bologna e a Parma. Si occupa di storia della psichiatria. Fa parte del Comitato tecnico-scientifico del Centro di storia della psichiatria di Reggio Emilia.È membro di Clionet, Associazione di ricerca storica e promozione culturale. È redattore della "Rivista Sperimentale di Freniatria" e scrive per TYSM.
Recensione a: Franco Cardini, La festa e la paura. Interpretazioni del carnevale, La Vela, Lucca 2024, pp. 84, € 10,00.
Ecco un libro che, in poche pagine, sa regalarci tanti spunti su ciò che il nostro vecchio mondo occidentale (non più cristiano, se non quando si sente minacciato dai minareti) ha perso e del vuoto in cui si trova costretto. Il significato attuale dei giorni di festa – siano essi il giorno di Natale, i giorni di carnevale o semplicemente la domenica – rivela benissimo ciò che solitamente si definisce come la perdita del sacro. La desacralizzazione di tutti gli aspetti della vita umana ha lasciato spazio a nuovi culti, legati sostanzialmente al consumo di beni. Ciò è dovuto a una irrefrenabile omologazione del tempo: le feste sono diventate ferie, le quali rischiano di diventare esse stesse lavoro. Davanti ai frutti del progresso che, da qualche secolo, hanno cambiato i tempi e le idee degli uomini, lasciandoli sempre più in preda all’isolamento e all’ansia, non c’è molto da fare. Ha ragione Cardini, da conservatore che non si rifugia nella nostalgia o nella protesta, a consigliare di ritagliarsi spazi di profondità e di sacralità: «forse non resta di saggio che il tentar di sottrarsi alla tentazione unidimensionale, alla tirannia del produttivismo o del consumismo o anche dell’angoscia esistenziale, che pare stia diventando la vera nemica dell’esistenza» (p. 75).
Ancora oggi, nei simulacri di feste che sopravvivono a favore anzitutto del mercato, non restano che «malintesi brandelli» (p. 74) dell’energia e del significato profondamente spirituali che la vecchia società offriva agli uomini, anzitutto per salvaguardare se stessa e perpetuarsi. Cosa resta oggi dell’attesa dell’Avvento o degli eccessi di carnevale? Per non parlare della pantomima di Halloween, che giustamente Cardini stigmatizza: «Halloween è una piccola buffonata consumistica: dietro la quale si nasconde tuttavia un nonsenso da combattere con tutte le forze, nel nome dell’ortodossia cattolica, della coscienza identitaria cristiano-europea, del buon senso e del buon gusto» (p. 79).
Ciò che si è perso è il senso rigenerativo della festa, in cui gli eccessi (culinari, alcoolici ecc.) dovevano concretizzare la rinascita (alla vita, al lavoro). Ha ancora ragione Cardini quando afferma che «ogni tempo ha i paradisi che si merita» (p. 28). Allo stesso modo, le scialbe rappresentazioni carnevalesche attuali hanno perso ormai tutto l’eros che le ha contraddistinte per secoli. Le trasgressioni della tradizione, il mondo alla rovescia come segno dell’attesa e della rinascita imminente, erano tutto sommato un disordine ordinato, violazioni regolate ma vive, in cui ci si accompagnava al tempo nuovo della Quaresima e della purificazione.
Altro elemento importante, il momento della festa per le civiltà tradizionali ha sempre rappresentato un momento impegnativo, non semplice tempo libero, ed è stato sempre un tempo collettivo, a differenza di oggi:
Nelle civiltà tradizionali si lavora da soli o in piccoli gruppi (nell’agricoltura, nella pastorizia, nell’artigianato, nella mercatura), ma durante le feste ci si riunisce e comunitariamente ci si riconosce. Nella Modernità si tende a fare il contrario, a lavorare in gruppo e a vivere la festa da soli o al massimo in piccoli gruppi. L’avvento dell’informatica-telematica, dopo la televisione, ha esasperato questa tendenza all’individualismo come solitudine e solipsismo. È ad essa che bisogna reagire. La riscoperta del passato cristiano può aiutarci in questo (pp. 29-30).
Al di là della proposta di Cardini – ritornare alla cultura cristiana come unica difesa al “progresso” e all’omologazione alienante – emerge chiaramente quanto le nostre società oggi siano (almeno nel loro complesso) sempre più forti davanti alle malattie, al freddo e alla miseria materiale, ma sempre più deboli davanti al vuoto esistenziale e all’orizzonte ineliminabile della morte.