Avvocato e dottore in Scienze storiche. Ha al suo attivo pubblicazioni sul federalismo ("Le origini del federalismo: il Covenant”, 1996; "Il sacro contratto. Studio sulle origini del federalismo nordamericano", 1999). Ha inoltre pubblicato "Sovranità. Teologia e sacro alle origini di una categoria politica" (2015); "Il regime alimentare dei monaci nell'alto medio evo” (2017), “Paura e Rivoluzione francese nell’opera di Guglielmo Ferrero” (2021). Inoltre ha curato la riedizione del volume di Guglielmo Ferrero "Palingenesi di Roma antica” (2019). E' autore di articoli e relatore in convegni di studio.
Recensione a: S. Guslandi, Aristippo e i primi cirenaici. Quando il piacere entrò nella filosofia, Stamen, Roma 2023, pp. 133, € 16,00.
«Aristippo! Chi era costui?», esclamerebbe oggi don Abbondio, e sarebbe in buona e numerosa compagnia. A parte i pochi addetti ai lavori e qualche diligente scolaro, quasi nessuno infatti conosce Aristippo e la scuola filosofica dei Cirenaici da lui fondata, se non forse per un vago sentito dire. Ed effettivamente su Aristippo, nato in Libia nella prospera colonia dorica di Cirene (la stessa patria del Carneade di don Abbondio) nel 435 e morto nel 350 a. C. e che fu uno dei più brillanti discepoli di Socrate, poco si sa a causa della esiguità delle fonti. Delle sue opere, il cui elenco è stato tramandato da Diogene Laerzio, non ci è pervenuto nulla salvo i titoli e anzi sussiste il fondato sospetto che egli non ne sia neppure l’autore. Aristippo fu l’iniziatore di quella corrente filosofica detta “dei Cirenaici” perché attiva a Cirene e nel mondo ellenistico, e che si mantenne viva sino a circa la metà del III secolo a. C. ma le cui dottrine e idee hanno resistito alla prova dei secoli, nonostante l’ostilità – sin dall’evo antico – delle tradizioni ermeneutiche. Infatti le testimonianze del pensiero di Aristippo e dei suoi continuatori (Aristippo il Giovane, Anniceri, Teodoro), tutte indirette, sono in parte inficiate a causa dell’avversione di fondo all’edonismo che da esse traspare, e in generale dalla diffidenza nei confronti di tutta la filosofia dei Cirenaici, centrata sul piacere come finalità dell’uomo.
In tempi più recenti e venendo all’Italia, la riforma idealistica di Giovanni Gentile non ha certo agevolato un recupero di questa tradizione del pensiero greco, a causa non soltanto dell’oggettiva carenza delle fonti ma anche di una perdurante «demonizzazione del piacere e dell’esperienza sensibile» diffusa negli ambienti filosofici, come scrive Simone Guslandi nel suo Aristippo e i primi Cirenaici. L’opera, breve e chiara, si propone di colmare la lacuna della ricerca storico-filosofica in Italia sui Cirenaici la quale, dopo la mirabile raccolta di tutte le fonti cirenaiche ad opera del Giannantoni e il suo denso saggio introduttivo[1], però di impostazione filologica più che filosofica, non ha prodotto nell’ultimo sessantennio alcuna opera significativa. Oggi Guslandi propone col suo libro non tanto una storia della scuola cirenaica né una nuova analisi filologica dei frammenti tramandati bensì una teoresi cirenaica e, insieme, una valorizzazione di ciò che nell’edonismo cirenaico è tuttora vivo. Il modo migliore di accostarsi ad Aristippo e ai Cirenaici resta ovviamente una lettura diretta di tutti i frammenti che ne trattano (e qui l’opera Di Gabriele Giannantoni rimane insostituibile), ma il saggio di Guslandi può offrire un valido aiuto all’elaborazione, appunto, di una compiuta teoresi cirenaica (almeno a livello probabilistico), altrimenti dispersa in frammenti spesso incoerenti e allusivi.
L’opera si articola in cinque capitoli: I la teoria della conoscenza dei Cirenaici; II il primato del piacere; III i rischi del piacere; IV il sapere pratico: centralità dell’etica e dell’utilità; V l’inutilità delle scienze secondo i Cirenaici. Esaminiamo in breve alcuni fra i tratti essenziali della filosofia cirenaica illustrati dall’Autore.
I Cirenaici sono stati i primi nella filosofia occidentale a proporre una “analitica del piacere”, diretta conseguenza della centralità teoretica del piacere medesimo. Essi, ponendo l’accento sulla ricerca del piacere e la fuga dal dolore quali «moventi fondamentali dell’agire umano» (p. 46) hanno inaugurato una tradizione filosofica che solca i secoli, si inabissa come fiume carsico per tutto il medioevo e la prima età moderna per poi riemergere con l’Illuminismo dei sensisti (La Mettrie, d’Holbach, in parte anche David Hume). Per natura gli uomini vengono attratti dai piaceri sensibili e immediatamente verificabili ai sensi. Il sistema nervoso attesta le esperienze piacevoli la cui sommatoria conduce alla felicità, a uno stato di letizia che sarebbe più appropriato definire “gioia” (charà) piuttosto che godimento o appagamento dei sensi. Tuttavia Aristippo, a quanto riporta Lattanzio, «affermò che il piacere corporale è il sommo bene». Ma Lattanzio, autore cristiano, rimarca la sostanziale differenza del materialismo, sensismo e edonismo dei Cirenaici (i sibariti della filosofia greca) rispetto alla spiritualità cristiana ed è fonte ostile. Quel che è certo, per i Cirenaici, è l’estrema soggettività della gioia, che varia col variare delle percezioni da un individuo a un altro ma anche all’interno dello stesso individuo. Un punto qualificante della filosofia cirenaica sta nella proposta di una linea delle emozioni: esistono infinite gradazioni tra il piacere e il dolore. Le nostre emozioni ondeggiano di continuo tra questi due estremi e in ogni momento il piacere può rovesciarsi in dolore e viceversa. Non esiste un piacere assoluto, un piacere in sé. E se il piacere è la metafora della verità, ecco che la verità stessa per i Cirenaici è ondeggiante, soggettiva. Se è vero solo ciò che risulta immediatamente percepibile ai sensi, la verità muta col mutare delle percezioni. Qui è individuabile la maggior differenza tra la scuola cirenaica e l’epicureismo (che pure per molti altri aspetti è debitore di Aristippo). Epicuro insegnava una concezione del piacere statica, “catastematica”, contemplatrice e beata, laddove Aristippo e i suoi insistevano sul perpetuo movimento delle sensazioni e sull’oscillazione del pendolo tra piacere e dolore: si tende al piacere, lo si raggiunge nell’immediatezza delle sensazioni ma subito dopo vola via e si ricade nel dolore, che a sua volta verrà allontanato con la ricerca di un nuovo piacere. Nessuna contemplazione per i Cirenaici, ma tutto dinamismo e ricerca. Il piacere è agognato, e tuttavia esso «si apre sempre alla possibilità di convertirsi in dispiacere» (p. 67). Dunque il piacere va tenuto sotto controllo. È Aristippo stesso a spiegare il suo pensiero, come riportato da Diogene Laerzio: «ottima cosa dei piaceri è esserne padrone e non esserne schiavi, e non già il non goderne» (p. 68), dove in due parole si afferma la sovrana libertà del saggio cirenaico (indipendenza dal singolo piacere; il piacere tiranno non è più vero piacere) ma al contempo si respinge ogni fuga nell’ascesi: resta sempre raccomandabile il godimento il più prolungato possibile dei piaceri, hic et nunc. Aristippo non nutre simpatia per le elaborate riflessioni sul tempo. I concetti teorici e i risvolti pratici del tempo, declinati al passato o al futuro, sono ostentatamente ignorati dalla scuola cirenaica. Importa cogliere il piacere dell’ora presente. Pensare a possibili piaceri futuri è spesso illusorio e anzi nell’immediato ci causa inutili ansie e angosce, cioè un dolore presente. Allo stesso modo, il pensiero di piaceri passati arreca sensazioni di nostalgia o di rimpianto, cioè ci causa dolori nel presente. Il piacere è istantaneo. Non ha valore né la memoria di piaceri passati né la speranza di piaceri futuri.
Poiché trascurano il passato e il futuro e riducono la vita dell’individuo all’immediatezza del presente, non si fa fatica a comprendere il disinteresse dei Cirenaici per la storia e la politica, e anche per la società. Su questo punto in realtà l’Autore, con lodevoli intenzioni i cui risultati però lasciano perplessi, si sforza di recuperare una dimensione sociale, politica e persino etica del pensiero dei Cirenaici, anzitutto precisando che il pensiero dei “primi” Cirenaici (quello dei due Aristippi, il fondatore della scuola e il nipote) non coincide con quello di Teodoro, che ne fu un epigono piuttosto infedele e che portò avanti idee ispirate a un soggettivismo estremo, o con quello di Egesia, altro epigono infedele, soprannominato peisithànatos (persuasore di morte) e secondo il quale l’impossibilità di raggiungere un piacere permanente rendeva la vita indegna di essere vissuta. Aristippo, nell’ambito delle relazioni sociali, seguiva una logica contrattualista e utilitarista di reciproci vantaggi. I rapporti sociali, liberi e volontari, sono sempre rescindibili; il “prossimo”, l’amico, è sì strumento di piacere, ma piacere reciproco: esso va scelto responsabilmente tra chi potrà garantire qualità nei rapporti umani. Insomma, secondo Aristippo la scelta dei soggetti con i quali intrattenere rapporti (di affetto, di amicizia, di lavoro, di commercio etc.) soddisfa le proprie esigenze di piacere ma al contempo permette che anche altri facciano lo stesso. Come dire: un individualismo e utilitarismo a loro modo generosi. Ma veniamo al rapporto politico vero e proprio, prendendo occasione da un passo dei Memorabilia di Senofonte: «Disse Aristippo: “mi sembra che ci sia una via di mezzo che non passa né per il comando né per la servitù ma per la libertà, ed è quella che meglio porta alla felicità”» (p. 92). Da un lato c’è la fiera affermazione del saggio, il quale non è comandato da alcuno e neppure pretende di comandare su chicchessìa; dall’altro c’è l’affermazione della ricerca della felicità nella libertà. Secondo Guslandi questa scheletrica dottrina può gettare le fondamenta di una società nuova; la maggior felicità per tutti, strumenti reciproci di felicità per tutti e, se tutti felici, niente più invidia, frustrazioni, violenze e sopraffazioni. Idee molto settecentesche e naïf, il cui charme accresciuto dalla nobilitazione dell’ascendenza ellenica suggestiona molto l’Autore, cui va riconosciuto il merito di essersi accostato all’antica scuola dei Cirenaici con spiccata simpatia ma anche con solido ancoraggio alle fonti e scientifico equilibrio.
[1] G. Giannantoni, I Cirenaici. Raccolta delle fonti antiche: traduzione e studio introduttivo, Sansoni, Firenze 1958.