Antonio Messina (1989) è Ph.D. Student in Scienze Politiche all’Università di Catania e Visiting Ph.D. Fellow presso l'Università di Leiden (Paesi Bassi). È redattore del semestrale «Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee», da lui fondato; è socio della Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea (SISSCO) e dell’Istituto euro-arabo di Mazara del Vallo. È membro del comitato scientifico della rivista «La Razón histórica: revista hispanoamericana de historia de las ideas políticas y sociales». I suoi principali interessi concernono la filosofia politica, la geopolitica, e la storia delle dottrine politiche, con particolare riferimento alla storia intellettuale dei regimi autocratici. Tra le sue pubblicazioni: L'economia nello stato totalitario fascista (Ariccia 2017); Giovanni Gentile. Il pensiero politico. Scritti e discorsi 1899-1944 (Roma 2019); Comprendere il Novecento tra storia e scienze sociali. La ricerca di A. James Gregor (Soveria Mannelli 2021).

«Alla domanda, un po’ irosa: – Come si fa a trovar posto per tutti gli alunni? – io rispondo: – Non si deve trovar posto per tutti. – E mi spiego. La riforma tende proprio a questo: a ridurre la popolazione scolastica» (G. Gentile).

 

La scuola idealista di Giovanni Gentile e la scuola neoliberista rappresentano due approcci filosofici fondamentali per comprendere le idee educative e pedagogiche nel XX secolo. Entrambi questi approcci hanno influito in maniera significativa nella concezione moderna dell’istruzione.
Il R.D. 6 maggio 1923, n. 1054 diede avvio ad una radicale e organica opera di riforma del sistema scolastico italiano, oggi conosciuta con il nome di chi ne fu il principale artefice e promotore, ovvero Giovanni Gentile. A cento anni dall’avvio di quella riforma (1923-2023), destinata a plasmare il percorso formativo di diverse generazioni di italiani, vale la pena interrogarsi sul progetto culturale che vi era sotteso e su come tale progetto sia stato sostituito dall’odierno approccio neoliberista.

La scuola idealista

I cardini della riforma idealista, enunciati da Gentile sin dall’inizio del secolo, erano principalmente due: qualità invece che quantità; educazione come formazione integrale della persona (Bildung).

Sul primo punto Gentile era stato molto chiaro:

La società nostra è zeppa di legisti e medici a spasso, con tanto di laurea incorniciata e appesa nel più onorevole luogo di casa. Essi hanno compiuto pessimamente gli studi universitari, come male hanno fatto i secondari, lamentando il sovraccarico ogni giorno con ogni maestro, pretendendo sessioni straordinarie di esami ogni anno, strepitando contro il greco sempre. Vorremmo riformare la scuola in servizio di costoro? A che pro? Costoro non sono nati agli studi; anzi fruges consumere! Sono numero; e non hanno diritto di fare i medici e gli avvocati. Stato guasto sarà quello che agevolerà ad essi la via dell’esercizio delle professioni liberali, che, per quanto professioni, presuppongono cultura scientifica […]. Alla folla che guasta la scuola classica lo Stato deve assegnare non mezzi di dare comunque la scalata alle università, ma scuole tecniche e commerciali svariate, le quali […] non devono dare adito alle università mai[1].

Si trattava di una prospettiva condivisa anche da Benedetto Croce[2] e dalla cultura idealista del periodo. La scuola non doveva essere aperta a chiunque, ma solo a coloro realmente desiderosi di apprendere e di imparare. Per Gentile la scuola non rappresentava un luogo dove si impartivano conoscenze tecniche e pratiche, ma doveva essere intesa come un’istituzione di formazione morale, culturale e politica dei giovani. Il compito della scuola consisteva essenzialmente nel saper sviluppare le capacità intellettuali e morali dei giovani, in modo da poterli preparare a diventare i futuri leader della nazione. Poiché compito della scuola era quello di formare cittadini consapevoli, colti e moralmente preparati, capaci di guidare il paese verso un futuro migliore, essa doveva selezionare i migliori studenti, formare le élite intellettuali e preparare la classe dirigente del futuro. Per il filosofo l’elitismo non rappresentava una forma di discriminazione sociale, ma un’opportunità per coloro che, meglio preparati rispetto ad altri, potevano beneficiare di una educazione di alto livello, in grado di formare persone con competenze e qualità superiori rispetto alla media. L’elitismo costituiva per il filosofo una forma di merito e di giustizia, in cui la selezione degli individui, rigorosa, avveniva in base alla loro preparazione e al loro impegno. La concezione aristocratica della scuola gentiliana si fondava su una visione della società che prevedeva la presenza di una classe dirigente interessata al bene comune. Questa classe dirigente doveva essere formata da individui dotati di una cultura e di una preparazione superiore alla media, capaci di comprendere le esigenze della società e di trovare soluzioni efficaci ai problemi del paese. Uno sforzo che, tuttavia, sarebbe stato vanificato da una scuola «costretta ad aprire le braccia a tutti gli sbandati […] indirizzati a finalità diverse: giovani e giovanetti di diversa età, di diversa tempra intellettuale, di aspirazioni diverse, formanti un’accozzaglia artificiale, cui nessuno sforzo di buona volontà potrà mai sottomettere a una comune disciplina mentale e morale»[3]. Una concezione elitista, quella gentiliana, che scaturiva da una più generale concezione della scuola intesa come Bildung, centro di formazione morale e spirituale – ossia integrale – della persona e fucina della futura classe dirigente. Nella scuola idealista il ruolo dell’insegnante non era quello di un mero elargitore di nozioni poiché, per il filosofo, l’insegnamento rappresentava un’arte spontanea del cuore[4], per cui se si voleva davvero formare nella scuola «ricostruttori di spiritualità» e non semplici trasmettitori di un nozionismo preconfezionato, «asini che vi portino la soma di un sapere, che è d’altri», occorreva investire più in qualità che in quantità. Il filosofo respingeva l’enciclopedismo manualistico positivista, il “pappagallismo” di chi pretendeva, soprattutto nei concorsi, di conoscere tutto di tutto. La cultura – asseriva – «non è quantità di cognizioni, ma è attitudine a intendere, è capacità, è mente»[5]. A una didattica sterile e meccanica, malata di pedagogismo, gli idealisti opponevano una più vivace formazione umanistica e filosofica:

I nostri maestri – scriveva Ernesto Codignola – sanno o presumono di saper troppo: studiano scienze e lavoro manuale, Dante e ginnastica teoretica, disegno e solfeggio, psicologia e agraria, e frequentano corsi estivi e autunnali e bazzicano nelle università ma… e l’anima? Chi ha mai parlato a questa loro anima? Chi li ha mai invitati a meditare sui problemi fondamentali della vita, che sono i problemi di ogni giorno e di ogni ora, e si risolvono puerilmente e volgarmente, quando non si risolvano degnamente e virilmente?[6]

Per tali ragioni la filosofia idealista respingeva il «concetto di professionalità che, basato sugli apprendimenti anziché sulla Bildung, risultava troppo legato a un universo di competenze specialistiche, fiacco nel suo retaggio positivista»[7]. Gli idealisti respingevano l’ipotesi di una preparazione tecnica dell’insegnante, poiché «la capacità d’insegnare, e quindi lo specifico professionale di un docente, non si sarebbero affatto potuti sviluppare a fronte di un apposito percorso formativo, dal momento che un insegnante riesce a esercitare la propria ‘arte’ solo nella misura in cui padroneggia (spiritualmente) la disciplina studiata»[8]:

L’insegnamento d’una materia – asseriva Gentile – è, invece, come la lettura di un libro, che maestro e scolari facciano insieme. Chi saprebbe immaginare un libro, in cui contenuto e forma, la materia da esporvisi e l’esposizione stessa, non fossero unum et idem? Il maestro talvolta trova appunto questo libro, che egli non ha che da leggere insieme con gli scolari (leggere, non c’è bisogno di dirlo, come va letto: con tutta l’anima, come voleva Platone); tal’altra non lo trova questo libro, che esprima la sua stessa anima e la sua mente di maestro. E che fa? Ne fa, e non può a meno di farne, uno suo (lo scriva o non lo scriva, è lo stesso), parte leggendo o facendo leggere, parte dicendo o eccitando a dire, in modo che dal tutto insieme, idealmente, risulti appunto un libro (quando risulta) organicamente costruito: che è ciò che egli ha insegnato. Ebbene: forse che in quest’altro libro contenuto e forma, materia e metodo potranno essere due cose diverse?

La scuola neoliberista

L’istituzione scolastica neoliberista è caratterizzata da un cambio di paradigma nella gestione dell’educazione pubblica. Si è passati, come ha scritto Matteo Morandi, da «una scuola trasmissiva, centrata sulla preservazione della tradizione e dei suoi valori sociali, a una in gran parte piegata alle logiche di mercato, finalizzata all’accrescimento dell’occupabilità personale e della produttività collettiva (la ‘scuola delle tre i’, per intenderci: impresa, informatica, inglese)»[9].

L’approccio neoliberista comporta una maggiore deregolamentazione del sistema scolastico e una maggior autonomia delle scuole, che si trasformano in aziende poste in competizione con le altre aziende scolastiche nel mercato della formazione. L’obiettivo principale dell’istituzione scolastica neoliberista è quello di produrre lavoratori altamente competitivi nel mercato globale. Questo significa che l’istituzione scolastica neoliberista è orientata ai risultati, e che il successo è valutato sulla base di criteri di performance piuttosto che su una valutazione globale dell’apprendimento degli studenti o della loro crescita umana[10] .

In secondo luogo, l’istituzione scolastica neoliberista è caratterizzata da un aumento dell’autonomia delle scuole. Questo significa che le scuole acquisiscono maggiori poteri decisionali e di pianificazione rispetto al passato, cosa che conduce ad un maggior accentramento del potere nelle mani di pochi individui o gruppi privati[11]. Ciò implica una diminuzione del controllo statale sulla scuola e una maggior responsabilità delle scuole per il loro funzionamento e il loro rendimento[12].

Infine, l’istituzione scolastica neoliberista è orientata alla privatizzazione dell’istruzione, volta a formare «il capitale umano necessario all’ottimizzazione del funzionamento del sistema economico»[13]. Il sistema scolastico diventa sempre più simile a un mercato libero[14]. Queste caratteristiche comportano una ridefinizione del ruolo della scuola nella società, orientando l’insegnamento verso l’imprenditorialità e la concorrenza globale. Non c’è più posto nelle scuole per una concezione filosofica-pedagogica, come quella gentiliana, orientata verso la formazione morale degli individui, né per quella severa ma necessaria selettività capace di premiare i più meritevoli. La trasfigurazione della scuola in “diplomificio” fa sì che essa sia aperta a tutti, indistintamente, poiché il mercato del lavoro necessita di capitale umano, con la conseguenza che diventa sempre più difficile non solo operare una qualsiasi forma di educazione spirituale della persona (da educěre, tirar fuori ciò che sta dentro), ma anche di operare quel minimo di selettività che sola può garantire un processo di formazione qualitativo e non meramente quantitativo. L’esclusione o la bocciatura diventano una chimera da esorcizzare, in nome di una scuola sempre più “democratica” e “inclusiva”, laddove questi due termini si traducono in un cieco conformismo che appiattisce e mortifica la crescita morale degli individui. La scuola idealista di Giovanni Gentile si basava sull’idea che una tale formazione morale fosse il fine principale dell’educazione, volta a formare individui capaci di sviluppare il loro potenziale creativo e morale. Gli obiettivi principali dell’educazione erano costituiti dall’acquisizione delle conoscenze e dalla formazione di un’etica individuale e collettiva, in modo da sviluppare la personalità dell’individuo in modo completo.

Al contrario, la scuola neoliberista si piega alle esigenze e alle richieste del mercato, concentrandosi sulla preparazione degli studenti per il lavoro. L’obiettivo principale è quello di formare lavoratori – il più delle volte sfruttati e sottopagati – in grado di entrare con successo nel mondo lavorativo, a scapito della formazione morale o all’educazione collettiva. In questo contesto, la scuola diventa un luogo dove gli studenti acquisiscono competenze e conoscenze specifiche per soddisfare le richieste del mercato.

In sostanza, se la scuola idealista di Gentile si concentrava sulla formazione etico-morale degli individui, cercando di rendere gli studenti persone migliori, la scuola neoliberista si concentra sulla formazione tecnica e specialistica degli studenti, in modo che possano diventare dipendenti produttivi e desiderabili per il mercato capitalista.

 

NOTE

[1] G. Gentile, La riforma della scuola media [1905], in Id., La nuova scuola media, Vallecchi, Firenze 1925, pp. 105-106.

[2] «Noi vogliamo in fatto di scuola, a preferenza di sterminati eserciti di Serse, piccoli eserciti ateniesi e spartani, di quelli che vinsero l’Asia e fondarono la civiltà europea». (Cit. in A. Santoni Rugiu, S. Santamaita, Il professore nella scuola italiana dall’Ottocento a oggi, Laterza, Roma-Bari 2011, p. 81).

[3] G. Gentile, Esiste una scuola in Italia? [1918], in Id., La nuova scuola media, cit., p. 327.

[4] M. Morandi, La fucina dei professori. Storia della formazione docente in Italia dal Risorgimento a oggi, Morcelliana, Brescia 2021, p. 86.

[5] Ivi, p. 95.

[6] Ivi, p. 96.

[7] Ivi, p. 98.

[8] Ivi, p. 90.

[9] Ivi, p. 17.

[10] S.J. Ball, Education Policy and Social Class. The Selected Works of Stephen J. Ball, Routledge, London- New York, 2005.

[11] H. Giroux, Schooling and the Struggle for Public Life. Critical Pedagogy in the Modern Age, Blackwell, Hoboken (New Jersey), 2005.

[12] M. Fine, Researching Policy Disabling Policies, Routledge, London-New York 2008.

[13] M. Baldacci, Per un’idea di scuola. Istruzione, lavoro e democrazia, FrancoAngeli, Milano 2014, p. 14.

[14] P. Burch, Hidden Markets. The New Education Privatization, Routledge, London-New York 2009.

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