Claudio Capo (1995) è attualmente dottorando in Scienze Giuridiche e Politiche (XXXIX ciclo) presso l’Università “Guglielmo Marconi” di Roma e laureando in Scienze Filosofiche presso l’Università Roma Tre. Si è laureato nel 2022 in Antropologia culturale presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna. Le sue ricerche si focalizzano sul socialismo rivoluzionario italiano della prima metà del Novecento. I suoi interessi principali concernono l’analisi storico-filosofica delle forme spirituali, culturali e sociali dalla modernità alla contemporaneità. Ha pubblicato diversi contributi presso il mensile di attualità metapolitiche «Diorama Letterario».
Il pensiero storico classico (1965-1966) – opera edita in tre imponenti volumi (e ancora disponibile per i tipi di Laterza nella ristampa del 2011) – rappresenta un’articolata riflessione critica sulla storiografia e sulle sue teorizzazioni nell’antichità. Nato dall’incontro tra la rivoluzione dell’età epimenidea e la cultura aristocratica arcaica, il pensiero storico greco riceve da questa sintesi la propria forma. Da qui prende avvio l’innovativa ricerca di Santo Mazzarino, fra i maggiori studiosi del mondo antico del XX secolo. Un classico imprescindibile ed essenziale che ha aperto nuove prospettive di lettura dei grandi storici dell’antichità.
Occorre precisare fin da subito che, per via della mole significativa delle questioni sollevate nel primo volume, si impone la necessità di limitare le osservazioni che seguono al nucleo principale dell’opera, ovvero l’elaborazione di una concezione del tempo non ingenua e la conseguente evoluzione della storiografia antica. Per Mazzarino, infatti, la storiografia è un’attività globale che non può essere dissociata dalla realtà storica in cui viene pensata. Proprio per questo motivo, secondo lo storico catanese, non possiamo attribuire gli esiti dell’evoluzione della storiografia classica soltanto ad una scuola, o ad un determinato periodo storico di età ellenistica. A tal proposito, Mazzarino è impegnato in un notevole sforzo di raccolta delle trame storiche del mondo antico e procede, di pari passo, all’identificazione delle fasi cruciali che ne hanno determinato l’andamento.
Il pensiero storico classico può essere considerato, inoltre, come uno straordinario luogo di meditazione sul tempo e sulla sua concettualizzazione. Tra i motivi che fanno dell’opera di Mazzarino uno dei lavori più originali e completi sul tema si affermano la sensibilità ai diversi aspetti delle rivoluzioni religiose e l’attenta riflessione sulle loro conseguenze senza cadere in teorizzazioni ideologiche preconcette. All’interno di questo spazio di riflessione Mazzarino mette in luce la sua dottrina della combinazione e convivenza degli opposti – tra evoluzione e continuità, conservazione e rinnovamento, rottura e sistemazione – con la quale segue da vicino l’evoluzione del senso del tempo nella società classica.
Dopo aver definito i criteri di lettura dell’opera (pp. 1-20), Mazzarino tenta di dimostrare come, con la rivoluzione orfica, si posero le basi per una trasformazione radicale del concetto di tempo dalla quale conseguì la nascita del pensiero storico (pp. 21-46). Secondo Mazzarino le origini di quella che noi chiamiamo “critica storica” sono rintracciabili in un complicato travaglio religioso avvenuto tra il VII e il VI secolo al quale presero parte personalità diversissime tra loro come Callino, Mimnermo e, su tutti, Epimenide (p. 50). In questo periodo un forte cataclisma religioso si abbatte sul mondo greco stravolgendone i connotati. I rapporti con l’Oriente, divenuti sempre più intensi, spingono verso un totale rinnovamento della religiosità aristocratica greca e dell’ordine socio-politico del mondo antico.
L’ondata di religiosità iniziatica e catartica dell’orfismo porta con sé la critica del mythos, dichiarando l’impossibilità di accettare i lógoi degli elleni nella loro forma manifesta poiché lontane dal vero – si pensi anzitutto alla distinzione che venne operata tra l’Eracle dio e l’Eracle eroe (p. 36), e la revisione delle tradizioni considerate empie, con la convinzione che i mali della città potessero essere guariti con un richiamo al passato – il riferimento che compare più volte è il sacrilegio degli Alcmeonidi. La critica in senso razionale delle tradizioni arcaiche favorisce lo spostamento del baricentro del pensiero greco dal mythos al logos. Mazzarino, sulla scorta di Aristotele (Rhet, 1418a 23-26) ritiene che ad Epimenide andrebbero riconosciute le prime critiche della tradizione ellenica in chiave storica e i primi tentativi di compiere una “profezia sul passato”, vale a dire la determinazione delle cause dei problemi presenti e la loro risoluzione. La disposizione epimenidea verso il passato è intesa, infatti, quale capacità di sottoporre ad analisi e interpretazione i fatti narrati delle vicende umane. In Epimenide Mazzarino indica la più chiara espressione dello “spirito orfico” incentrata sul dio del Tempo (Chrónos), imprescindibile in tutta la prima fase del pensiero storico classico. In questa fase la riflessione sulle cause degli avvenimenti umani diviene qualcosa di essenziale e, in un certo senso, è questo il tentativo dell’orfismo per raggiungere quella “quarta dimensione”, il Tempo, razionale e religiosa (pp. 46-47).
Proseguendo nella sua dissertazione Mazzarino dedica notevoli pagine dell’opera ad Ecateo e allo sforzo delle sue Genealogie di ridurre le tradizioni al “verosimile” (eikós), comprendendo i miti e razionalizzandoli (pp. 75-109). Tuttavia, lo storico catanese fa notare come il “razionalismo” sia una categoria semantica moderna, fin troppo generica, e spesso equivocata quando proiettata al di là della sua dimensione temporale. La razionalizzazione utilizzata nella critica del mito non implica la sua destrutturazione. L’apparente contraddizione tra logos e mythos è derivata dalla mentalità propria dell’uomo moderno che tende a distinguere tra le cose dello “spirito” e le vicende “materialistiche”, ciò che l’uomo antico o non faceva o faceva in misura assai minore. Nella società greca classica il mito e il discorso razionale, seppur con valori diversi, coesistono e non si invalidano a vicenda. Proprio per questo, la nascita del pensiero storico non può spiegarsi né alla maniera positivistica con la definizione di “progresso”, né secondo lo storicismo crociano determinato da una intima pregiudiziale antimetafisica.
La storiografia classica ignora la concezione di un’evoluzione rettilinea del tempo che ha per risultato l’idea di progresso, razionale e sillogistica, come quella che caratterizza gran parte della cultura moderna. La modernità è distinta da una concezione di uno sviluppo del pensiero come progressiva illuminazione, come continuo superamento (Aufheben) nel senso hegeliano del termine. D’altra parte, l’antica intuizione del tempo non può definirsi neanche totalmente ciclica, nel senso in cui oggi comunemente si intende questa caratteristica – si pensi ad esempio all’eterno ritorno nicciano. Un grande risultato dell’opera di Mazzarino sta nell’aver sfumato, fino a dissoluzione, la rigida dicotomia tra un tempo ciclico e uno lineare. L’idea della circolarità in Mazzarino viene aperta alla storia distinguendo fra la forma del ciclo e i contenuti che in esso si dispiegano in modo sempre nuovo e originale. In questo elemento di sintesi si ravvisa una caratteristica di fondo di tutta la grecità: «essa si riconosce, anche, nella maniera “ciclica” del pensiero storico, solo che questa non s’intenda come l’idea del Ritorno puro e semplice, e non si contrapponga alla “Zeitauffassung” rettilinea» (p. 437). Poiché gli antichi non sentirono la necessità dell’esclusione, le idee connesse al ritorno storico non si trovano in contrapposizione a quelle legate al processo evolutivo. Accettare il concetto del ciclo non significa rifiutare la storia.
Continuando la sua analisi, Mazzarino giunge alle soglie del V secolo e pone a confronto la storiografia erodotea e quella tucididea. In Erodoto la storia non è considerata come una semplice serie di avvenimenti che si susseguono nel tempo, ma come un insieme di fatti collegati fra loro da una complessa rete di rapporti (pp. 133-155); per Tucidide, invece, il compito dello storico è quello di fornire, a chi partecipa e guida la vita politica della comunità, gli strumenti per interpretare il presente e prevedere gli sviluppi futuri in funzione di una costante fondamentale (physis) che regola i comportamenti. Mentre in Erodoto e nei suoi predecessori le vicende contemporanee sono viste in funzione della storia antica e senza escludere l’intervento delle divinità, Tucidide ribalta completamente questa prospettiva. Con le opere tucididee cadono definitivamente tutte le premesse di quella storiografia fondata sulla synghéneia tra dèi ed eroi con gli uomini. Per lo storico ateniese i fatti hanno la loro spiegazione in sé stessi, la storiografia solo rifiutando qualsiasi interpretazione religiosa e con lo studio dettagliato dei fenomeni può giungere a delle conclusioni generali. L’obiettività tucididea è volta a riprodurre tutti i punti di vista di tutti i personaggi delle varie vicende. Tucidide applica la categoria dello auxentênai, cioè dello sviluppo dagli inizi della storia. Tuttavia, esso è, in ogni caso, alieno rispetto alla fiduciosa esaltazione del progresso umano (pp. 257-261).
Nel capitolo finale del primo volume Mazzarino pone sotto i riflettori la grande contrapposizione tra Socrate e Tucidide. Afferma lo storico catanese: «Il contrasto tra Socrate e Tucidide non è – come taluno potrebbe pensare – il generico contrasto fra il filosofo e lo storico. La successiva evoluzione della storiografia greca del IV secolo, la quale, da Senofonte ad Anassimene, è in gran parte opera dei socratici o di cinici moderati, mostra che in realtà Socrate fu iniziatore di un pensiero storico vero e proprio, assai meno profondo e “storicizzante” di quello tucidideo, e tuttavia indicativo per la storia del mondo antico» (pp. 338-339). La profonda differenza fra i due grandi contemporanei riproduce un dualismo che caratterizza tutta la storia greca. Mentre Tucidide svolge sino alle estreme conseguenze la capacità greca di contemplare le aporie del logos e forma il suo pensiero sul “parlare in sensi opposti” (antiloghein), la cultura “borghese” di Socrate ha invece bisogno di un punto fermo che trova puntualmente nell’identificazione dell’utile con il giusto, nella presenza di una giustizia assoluta. A questo punto si pone il problema se la società borghese, che Socrate intravvede, può esprimere una storiografia nuova, contrapposta a quella proposta da Tucidide, sull’identificazione dell’utile con il bene. In risposta a ciò Mazzarino osserva come il pensiero storico classico, dal IV secolo in poi, pur partendo dalle grandi linee tracciate da Erodoto e Tucidide, attinge i suoi nuovi ideali a motivi predicati nell’età socratica.
In conclusione, per solidità di dottrina, varietà di interessi e originalità di pensiero Il pensiero storico classico può considerarsi un testo canonico della storiografia di ogni tempo. La capacità di domare del materiale estremamente eterogeneo, l’abilità analitica e la straordinaria predisposizione alla sintesi fanno di Santo Mazzarino una figura di assoluta preminenza nel quadro della storiografia del Novecento. Per Mazzarino l’uomo greco ha del suo “tempo” una determinata coscienza intorno alla quale dispone le forme intellettuali e spirituali che più gli appartengono. Alle varie forme di vita che da esso si diramano corrispondono metodologie storiografiche altrettanto eterogenee. Nell’epoca moderna con l’inevitabile evoluzione dei mezzi di orientamento propri della tradizione classica, nuovi orizzonti hanno fatto il loro ingresso nella coscienza collettiva, mutando radicalmente gli spazi dell’esistenza storica. Non è stata la prima volta, non sarà l’ultima.