Alessandro Della Casa (1983) è assegnista presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell'Educazione dell'Università degli Studi di Torino, nonché docente a contratto di Storia del pensiero politico presso l’Università degli Studi della Tuscia. Ha conseguito l’abilitazione a professore di II fascia in Storia delle dottrine e delle istituzioni politiche (2022-2033). È autore di numerosi articoli e delle seguenti monografie: Contro la tirannia della maggioranza. La democrazia secondo John Stuart Mill(2009); L’equilibrio liberale. Storia, pluralismo e libertà in Isaiah Berlin (2014); Isaiah Berlin. La vita e il pensiero (2018); La dinamo e il fascio. Volt, l’ideologo del futurismo reazionario (Sette Città, 2022). Nel 2022 ha ricevuto il Premio Isaiah Berlin - Monografie e il Premio Dino Garrone.

Recensione a: S. Magni, Ayn Rand, IBL Libri, Milano 2022, pp. 174, € 14,00.

I folli ti diranno che è inumano vivere in base a princìpi bianchi e neri, mentre è umano accettare e praticare princìpi grigi, essere corrotti, compromettersi con il male! Non c’è via intermedia tra bene e male: non sono due strade che vanno nella stessa direzione, ma strade opposte per mete differenti! La scelta delle tue azioni deciderà in quale direzione andrai: scegli la tua strada: nessuno può farlo per te!

Con tali affermazioni, e altre similari, si aprono i pochi e brevi episodi a fumetti che, a partire dal 1969, Steve Ditko (ideatore, con Stan Lee, del ben più noto e meno manicheo Spider-Man) dedicò a Mr. A: eroe mascherato, completamente vestito di bianco, che corre in soccorso alle vittime di torti, lasciando senza remore che i criminali periscano a causa della loro corruzione morale. Sin dal nome, che richiama il principio d’identità aristotelico (A=A), il personaggio vorrebbe incarnare l’oggettivismo etico sviluppato da Ayn Rand (1905-1982).

Quello appena citato è uno degli esempi più evidenti della popolarità che la pensatrice seppe riscuotere nella cultura americana, in modo particolare per le sue opere narrative e soprattutto grazie alla distopia La rivolta di Atlantide (1957), nella quale domina la figura di John Galt, l’imprenditore ribelle resosi introvabile (di qui la ripetuta domanda “Who is John Galt?”, che costella il romanzo) per non piegarsi alle pratiche consociative del governo che sta indirizzando gli Stati Uniti al totalitarismo. Benché la produzione creativa e parte di quella saggistica sia stata tradotta (perlopiù da Baldini & Castoldi e da Liberilibri), la vicenda e il pensiero di Rand risultano ancora poco noti in Italia. La lacuna può ora iniziare a essere colmata attraverso il valido e ben scritto Ayn Rand di Stefano Magni, che ripercorre e analizza, contestualizzandolo, l’itinerario biografico e intellettuale dell’autrice.

Come si ricava dal libro di Magni, la vita di Rand (al secolo Alisa Zinovyevna Rosenbaum), iniziata a San Pietroburgo qualche giorno dopo la “Domenica di sangue” del 1905, fu segnata sia dall’appartenenza a una famiglia di ebrei e borghesi – ciò che la costrinse a conoscere la continuità tra le preclusioni imposte ai primi dallo zarismo e i soprusi ai secondi da parte dei bolscevichi – sia la letale incapacità dei “russi bianchi” di elaborare «un vero manifesto politico, per spiegare e proclamare perché si dovesse combattere contro il comunismo e per cosa si dovesse combattere». I concetti che avrebbero dovuto sostanziare la lotta erano libertà e diritti individuali che la giovane, laureata in pedagogia sociale e nutrita di letture filosofiche (tra cui l’amato Aristotele, più avanti integrato con Tommaso d’Aquino), andò a ricercare nella realtà americana, conosciuta attraverso la filmografia studiata all’Istituto tecnico per le arti cinematografiche.

Giunta in America nel 1926, con la fittizia motivazione di visitare alcuni parenti, Alisa Rosenbaum iniziò a firmare, adoperando lo pseudonimo con cui sarebbe divenuta nota, alcuni soggetti per Hollywood e per il teatro e testi narrativi. Attraverso di essi, dopo aver messo in luce lo strapotere dello Stato sovietico – è il caso di Noi vivi (1934), trasposto su pellicola in Italia nel 1942 con la regia di Goffredo Alessandrini e la sceneggiatura di Anton Giulio Majano, Orio Vergani e Corrado Alvaro (questi, peraltro, già autore del romanzo distopico antitotalitario L’uomo è forte, nel 1938) –, si pose a erigere il sistema filosofico ritenuto indispensabile a rinsaldare i fondamenti che la società statunitense, con l’interventismo newdealista, sembrava in procinto di abbandonare, proprio per seguire le orme della Russia.

In La fonte meravigliosa (1943), anch’esso giunto sul grande schermo con Gary Cooper nel ruolo di protagonista, l’architetto Howard Roark, mirava ad attaccare la morale altruistica negatrice dell’indipendenza intellettuale del singolo. Giustificandosi in tribunale per aver distrutto gli elementi aggiunti agli edifici che aveva progettato, Roark asseriva infatti che l’«altruismo è la dottrina che chiede che l’uomo viva per gli altri e pone gli altri al di sopra di se stessi», quando invece il «primo diritto della Terra è il diritto dell’Io. Il primo dovere dell’uomo è verso se stesso» e verso la propria «facoltà creatrice».

Nell’ultima e più celebre prova narrativa, il già citato La rivolta di Atlante, si immaginava invece che il regime collettivista già sorto negli Usa collassasse per il rifiuto di piegarsi alla collaborazione da parte delle «menti più brillanti» e dinamiche, rifugiatesi in una piccola società clandestina, che riconosceva ancora la proprietà privata e aveva quale effige quella del dollaro. A guidare i ribelli è Galt, al quale Rand fa recitare un lunghissimo monologo che anticipa alcuni dei capisaldi dell’oggettivismo più tardi articolato in libri e saggi: «La vita dell’uomo è la norma della moralità, ma la vostra vita è il suo scopo»; «la radice del nostro codice morale» è «l’assioma che l’esistenza esiste», e la coscienza è la «facoltà di percepire quello che esiste»; «l’esistenza è identità, la coscienza è identificazione».

Esistenza, coscienza e identità, spiega Magni, sono infatti i tre concetti fondanti la riflessione di Rand, la quale pone la nascita dei concetti astratti nella rielaborazione psicologica umana delle percezioni sensoriali. L’individuo può scoprire i princìpi etici oggettivi ai quali conformare le proprie azioni (o, viceversa, decidere di fuggirli e condannarsi all’«abisso che si rifiuta di vedere») nella rielaborazione razionale, indipendente e onesta dell’esperienza della realtà, avendo la «vita dell’uomo» come «norma di valore» e la «propria vita» come «proposito etico». Di qui le virtù della «Produttività», che consente al singolo di adattare l’ambiente alle proprie esigenze, e il conseguente «Orgoglio», a sua volta fonte e strumento di perfezionamento morale. Pertanto, l’etica di Rand, similmente a quella kantiana da lei disprezzata, non può che contrapporre al paternalismo e all’«altruismo» – inteso nel senso della degradazione o autodegradazione a mezzi per finalità d’altri – la consapevolezza che ciascun uomo è un fine in sé, ma per sostenere l’egoistico perseguimento degli interessi razionali (ciò che non ci impedirebbe di aiutare il prossimo che ha valore per noi), ben distinti dai capricci e dai desideri il cui edonistico appagamento può confliggere con la pari pretesa altrui.

Da questi assunti discendeva anche la formulazione randiana di una società «libera» e «giusta». Per essere tale, essa avrebbe dovuto garantire la tutela degli individuali «dritti umani», naturali perché desunti dalle necessità oggettive della natura umana, mettendo al riparo dall’uso della «forza fisica» la vita stessa e i beni (entrambi racchiusi da John Locke nella nozione di proprietà) e la libertà per mezzo della quale l’esistenza si può realizzare. Nella protezione del diritto «alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità», sancito dalla Dichiarazione d’Indipendenza statunitense, stavano la giustificazione e il limite, sancito da «leggi oggettive», del governo, monopolista legale dell’uso della forza, a cui l’individuo delegava la propria facoltà di autodifesa e «rappresaglia. Per consentire il pacifico e consensuale dispiegamento dei rapporti sociali pacifici e volontari – vale a dire, per Rand, le dinamiche del sistema capitalista – le funzioni dello Stato non avrebbero dovuto oltrepassare quelle del lassalliano “guardiano notturno”: polizia per contrastare le aggressioni interne, servizio armato ad arruolamento spontaneo per impedire quelle esterne e amministrazione della giustizia per la soluzione delle controversie legali. Ancorché minimo e finanziato tramite tassazione volontaria, lo Stato risultava dunque irrinunciabile, per non piombare nella «guerra tra bande rivali». Questa si sarebbe scatenata dall’implementazione delle tesi libertarie – per Rand assurda «teoria anarchica» – di un pensatore come Murray N. Rothbard, che pure era stato tra gli aderenti del «Collettivo» della filosofa, prima di subire uno dei non rari provvedimenti di espulsione per deviazionismo.

Se ovviamente Rand non poteva che avversare l’altruismo della vecchia sinistra e il “tribalismo” antimoderno della nuova, con questa sussistevano innegabili convergenze (il favore verso la laicità dello Stato, il diritto all’aborto e il favore per la legislazione federale contro la segregazione razziale) che contribuirono, oltretutto, a impedire la convergenza con il movimento conservatore. Gli esponenti del conservatorismo – si pensi a Whittaker Chambers e Russell Kirk – biasimarono apertamente il “materialismo” ateo e il nietzschianesimo di Rand, che d’altro canto metteva in luce le contraddizioni di una difesa del capitalismo sulla base della sanzione divina dell’ordine sociale e del principio di prescrizione. Né ella poté essere coinvolta nel tentativo di conciliare i princìpi dell’individualismo e quelli della tradizione che informò i programmi dei repubblicani Barry Goldwater e Ronald Reagan. In entrambi i casi, come già accaduto con il candidato presidenziale Wendell Willkie, all’iniziale favore in Rand si sostituirono sospetto e disillusione. Destinato a un orgoglioso isolamento per l’indisponibilità a “corrompersi” nel grigiore del compromesso, l’oggettivismo, dopo la scomparsa della teorica, non si rendeva disponibile a ulteriori elaborazioni, ma solo ad approfondimenti e ricostruzioni, quale quella pregevole di Magni.

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