Dottore in Scienze della Politica, si è laureato nel 2020 presso la Scuola “Cesare Alfieri” dell’Università degli Studi di Firenze con una tesi dal titolo “Populisti si nasce: mentalità, azione e cultura populista nella democrazia americana”, relatore Prof. Marco Tarchi.
Attualmente è borsista del “Seminario Silvano Tosi” promosso dall’“Associazione per gli Studi e le Ricerche Parlamentari”, dove si occupa dello studio dei provvedimenti adottati in riposta alla crisi pandemica SARS-CoV-2.
Dal 2019, partecipa alla pubblicizzazione degli eventi dell’associazione “Sottosopra; Idee per ripensare il futuro”. I suoi ambiti di ricerca concernono la teoria politica, la storia delle istituzioni e la filosofia normativa.

Non serve attendere l’ultimo libro, o la più recente conferenza in giro per il mondo: da oltre 30 anni è certo che S. Žižek sarà criticato da qualcuno non appena apre bocca. Di sicuro l’attitudine da “Elvis della filosofia”, le affermazioni estreme, il rivendicato disdegno per ogni formalismo –  paradossale per un autore che ritiene il rispetto delle forme condizione necessaria per la sopravvivenza della libertà[1] – e l’osteggiata insofferenza verso molti colleghi, contribuiscono ad alimentare il risentimento quanto (se non più) delle controversie filosofiche. Riguardo al contenuto di tali critiche, invece, è possibile individuarne due estremamente comuni e tra loro interrelate. La prima concerne il suo sistema o, per meglio dire, il suo non-sistema d’analisi: nella sua riflessione non ci sarebbe coerenza a causa di una mancata sistematizzazione, di una mai definito fondamento ontologico, nonostante egli si muova nel solco della critica destrutturalista dell’“Ideologia”. Di conseguenza, anche le sue interpretazioni, il processo dialettico articolatorio, sarebbe tanto accattivante quanto inutile a causa di questa carenza strutturale. In questa primo contributo analizziamo la prima critica, la questione del fondamento ontologico, la cui origine è rintracciabile nel mathema di J. Lacan. L’intento è mostrare come, piuttosto che mancare di un’ontologia, Žižek concepisca un’ontologia della “mancanza”, dell’incompletezza sistemica.

Esiste un fil rouge che lega il dibattito con J. Peterson, le polemiche con Chomsky, i dissidi sul populismo con Laclau e le invettive dei giornalisti inglesi tradotte e ricopiate dai giornali italiani[2]: la reiterata critica che Žižek non abbia nessun sistema d’analisi. Il suo discorso sarebbe solo un continuo interpretare, una serie di riferimenti senza una struttura coerente ed un soggetto a cui riferirsi: cultura pop, accenni al cinema, aneddoti e barzellette conditi dalle caratteristiche oscure citazioni lacaniane sull’inconscio e dai classici arzigogolati richiami ad Hegel sarebbero tutto ciò che ha da offrire. Tuttavia, è sufficiente andare oltre le provocazioni (che Žižek ha saputo sfruttare per accrescere la sua fama internazionale) e analizzare le opere per comprendere come quelli che possono sembrare riferimenti sconnessi sono in realtà l’espressione di un preciso apparato di analisi, un sistema che si regge sull’“incompletezza” e, dunque, su un’apertura dialettica perenne. Per comprendere questo sistema dobbiamo prima chiarire alcuni punti essenziali dell’interpretazione del pensiero di Lacan che Žižek fornisce: questo passaggio è propedeutico a cogliere l’importazione dell’impianto psicoanalitico nella filosofia che caratterizza il suo pensiero. Successivamente si può ad arrivare a comprendere la provenienza ed il ruolo dell’incompletezza quale fondamento universalistico. Dunque, prima di interrogarsi su un’ontologia della mancanza, la domanda è: che cos’è la psicanalisi, il mathema, di Lacan per Žižek e perché è utile?

Probabilmente, la risposta più semplice (e quasi mai fornita) è che Žižek ritiene che l’Essere – dell’Ideologia – sia speculare al modo di procedere e palesarsi dell’inconscio del soggetto mancante descritto da Lacan. È noto che la nozione di inconscio freudiana, e poi lacaniana, ha rappresentato un sovvertimento rivoluzionario. La ragione, tuttavia, non è da rintracciarsi i un’interpretazione “volgare” di inconscio, ossia la supposizione psichica di un Sé razionale subordinato ad istinti irrazionali (non una novità nell’Europa tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo); bensì, al contrario, perché ha mostrato come l’inconscio sia tutt’altro che irrazionale. Esso è dotato di una sua grammatica ed una sua logica, addirittura è “strutturato come un linguaggio”: l’inconscio rivelato dalla psicoanalisi parla, pensa e agisce rivelando verità “razionali” (dal suo punto di vista). Per Žižek la versione di Lacan del motto freudiano “Wo Es war, soll Ich werden” (là dove era l’Es, deve venire l’Io) non è un aggressivo “l’Io deve conquistare l’Es”, ma “l’Io deve avere il coraggio di avvicinarsi al luogo della verità”[3]: quello che ci aspetta non è una grande Verità rivelatrice con cui identificarci, bensì un’insopportabile verità con la quale tentare di convivere.

Il mathema di Lacan, contraddistinto dal famoso “Ritorno a Freud”, non è concepito da Žižek come un semplice riepilogo di quanto detto dal padre della psicanalisi. La dimostrazione sta nell’evidenza che i concetti fondamentali di Lacan (i registri, il grande Altro ecc.), non sono neppure accennati in Freud: il primo, infatti, parla al e di Soggetto, mentre il secondo è ancora rivolto all’Io. Si tratta, piuttosto, di un ritorno al nucleo e alle conseguenze della rivoluzione freudiana, delle quali, probabilmente, lo stesso Freud non era del tutto consapevole. L’inconscio sviluppato da Lacan, insieme ai suoi indispensabili pendants, appartiene secondo Žižek al campo della Lebenphilosophie (filosofia della vita) romantica e ha poco o nulla a che vedere con quello dei casi clinici di Freud[4] – non a caso Lacan produrrà un solo caso in tutta la carriera, il caso Aimèe, per la tesi di dottorato (1932). L’analisi di questo rinato inconscio non consiste, dunque, in un sistema e in una tecnica volta a curare disturbi psichici, bensì in una teoria ed in una pratica che pone l’individuo a confronto con gli aspetti più profondi dell’esistenza umana: non mostra come adattarsi alle richieste della realtà, ma spiega, piuttosto, in che modo un qualcosa definibile come “realtà” si costituisce. Tra i meccanismi principali di questo processo, insiste Lacan, c’è l’idea di resistenza alla simbolizzazione, di opposizione al processo di inclusione del tutto che il Simbolico opera nel momento in cui l’individuo entra nel linguaggio: si diventa soggetto abbandonando la fantasia ed entrando nel Simbolico, apprendendo e servendosi del linguaggio. Al tempo stesso, tuttavia, il linguaggio colonizza, si serve del “parlessere” e ne limita l’accesso al godimento. È questo il trauma fondamentale in cui il soggetto e la sua esperienza rimangono sfregiati, “bucati”, segnati da una fondamentale incompletezza, il processo da cui si genera sempre un avanzo, un resto[5]. Il “buco” della mancanza, che non è un vuoto da colmare, non solo non sparisce mai, ma è anche ineliminabile caratteristica costitutiva[6]. L’incompletezza è l’elemento da cui si “genera” la nozione di “Reale”, ciò che resiste alla simbolizzazione e alla rappresentazione, che diventa la logica che struttura la “realtà”: il resto del Reale è l’elemento vero e mancante, che sfugge ai nostri tentativi di comprensione. Dal momento che il Reale si manifesta sempre in innumerevoli forme – come le lacune e le incongruenze nelle nostre esperienze soggettive, o le contraddizioni intrinseche nei sistemi sociopolitici – i tentativi “sistematizzanti” di colmare questa mancanza, o di controllarla, portano solo a nuove forme di carenza, o a evidenziare l’instabilità e l’imprevedibilità di fondo della realtà: la giustificazione di un sistema fondato sulla mancanza è in nuce nella stessa struttura del Reale. Di conseguenza, questa psicoanalisi teorica/pratica – che rimane una “cura parlante”[7] – deve basarsi su una particolare dialettica: la tesi di Žižek è che questa sia stata fornita proprio da Lacan. Le integrazioni dalla linguistica di De Saussure, dallo strutturalismo di Levi-Strauss e dalla dialettica hegeliana apportate da Lacan (e da Žižek stesso) sono il modo per sviluppare un particolare discorso e le sue specifiche categorie. Come vedremo nel secondo contributo le formazioni patologiche, come la nevrosi – ossessiva o isterica – e la psicosi, assumono la dignità che caratterizza i fondamentali atteggiamenti filosofici nel confronto con la realtà[8].

Chiarito da dove provenga e le sue conseguenze, possiamo volgerci alla comparsa della mancanza: non basta limitarci ad affermarla aprioristicamente, bensì dobbiamo volgerci alla pratica atta a riconoscere e “curare il soggetto” per vedere le sue manifestazioni – esattamente come nel processo che porta l’analizzante (non paziente) a porsi di fronte alle coordinate elementari, alle antinomie e ai punti morti del suo desiderio. Possiamo far coincidere questo modo di procedere e di rapportarsi all’incompletezza sistemica con l’intera carriera di Lacan. Infatti, sin dalla prime riflessioni sulla psicosi paranoica e sullo stadio dello specchio (Marienbad 1936; Roma 1956), Lacan chiarisce il campo del progetto che lo impegnerà tutta la vita: il rapporto (mancante) tra il soggetto (je) che fa l’esperienza e l’immagine idealizzata unificata che lo specchio gli rimanda e che è alla base dell’Io (moi)[9]. Il “Ritorno a Freud” è motivato dal dimostrare come paranoica non sia una certa personalità, ma la personalità stessa, giacché «l’individuo in quanto tale si scinde continuamente nel corso del suo procedere in un io senza unità (je) e in un’immagine idealizzata di sé stesso che gli viene da fuori, l’Io (moi), al quale però non si identifica mai completamente»[10]. Se lo stadio dello specchio rappresenta il momento inaugurale e fissante di ogni esperienza intersoggettiva, attraverso il quale il soggetto (je) si identifica come Io (moi), e se questo è un processo traumatico ed impossibile perché tra i due manca sempre qualcosa, allora esso ci restituisce anche il futuro di ogni identificazione destinata a rivelarsi intrinsecamente incompleta ed eternamente alienante.

Discende da qui il contributo riconosciuto[11] di Žižek alla filosofia, la grande intuizione lacaniana sviscerata, importata e adoperata nell’analisi dialettica dell’Ideologia. Egli non si limita a ripetere che la soggettività è “barrata”, tagliata, mancante, ma mostra come anche la sua creazione/creatore (giacché il soggetto adopera ma è anche adoperato, colonizzato, dal linguaggio), il Grande Altro del Simbolico, è a sua volta barrato, incompleto, strutturato attorno ad un’impossibilità traumatica[12]: le sue mancanze devono essere portate alla luce usando gli stessi mezzi adoperati per l’analizzante perché solo così si può arrivare a ciò che rimane, ciò che “non funziona” (Reale). Possiamo considerare quest’impostazione un atto di fedeltà ed un’estensione del sistema lacaniano: discende infatti da una pratica analitica “incompiuta”, in quanto rivolta ad un’identità vista come instabile ed inarrestabile, una costruzione discorsiva caratterizzata da un continuo slittamento da un significante all’altro. Un sistema ed un’analisi in cui “non si può guarire” – se guarire significa identificarsi una volta per tutte, sanare la scissione da sé stessi e, dunque, andare contro la soggettività stessa – come scelse di riassumerlo Lacan. Ecco come nella filosofia di Žižek il principio dell’incompletezza sistemica è centrale per l’analisi dell’ideologia quanto lo è in quella del soggetto. Sin dalla sua prima opera – Il sublime oggetto dell’ideologia (1989), espansione della tesi di dottorato sotto la supervisione di J.-A. Miller – Žižek non ha fatto altro che rivendicare questa lacuna dell’Altro come fondamento del suo sistema, in quanto unica possibilità di giungere non soltanto a comprendere, ma anche alla salvezza del soggetto nel confronto con l’Ideologia.

Quella che Lacan, riferendosi al cammino dell’Edipo nel Seminario IV e V, definisce “separazione” diventa nella rilettura žižekiana “disalienazione”, ossia la via d’uscita politica dall’oppressione del Simbolico[13]. Una fuga non nel senso che il soggetto può separarsi definitivamente da questo “oggetto” che impone i criteri di un’identificazione forzata e sempre irraggiungibile, bensì, nel senso che

[…] l’oggetto è separato dall’Altro stesso, che l’Altro stesso non ce l’ha, non ha una risposta finale per me, vale a dire è in sé bloccato, desiderante: c’è anche un desiderio dell’Altro. Questa lacuna dell’Altro concede al soggetto “spazio per respirare” per evitare l’alienazione totale nel significante, non riempiendo questa lacuna ma identificando sé stesso, la propria lacuna, con la lacuna nell’Altro[14].

Partendo da questi presupposti[15], la “strutturazione” incompleta come epicentro, lo slittamento perpetuo come carattere centrale ontologico inizia a perdere le fattezze del provocante artificio retorico žižekiano e mostra il suo fondamento. Quella del filosofo sloveno si può considerare una postulazione costruita sull’incoerenza che segna la realtà[16], un sistema basato sull’apertura dialettica derivato dalla mancanza come elemento costitutivo. Più che un’ontologia, egli l’ha definita una “semi-ontologia”[17] che necessita – giacché parte integrante e imprescindibile per l’emersione del Reale – di una precisa dialettica per essere compresa.

È a tale dialettica che ci rivolgiamo nel secondo contributo.

(Fine prima parte)

NOTE

[1] Žižek, S., Freedom: a disease without cure, Bloomsbury Publishing Plc, London, 2022; trad it. V. Ostuni, Libertà, una malattia incurabile [Kindle Version], Ponte alle Grazie, Milano 2023.

[2] Meotti, G., Zizek, Ciarlatano che odia capitalismo e democrazia, «Il Foglio», 14 maggio 2017, https://www.ilfoglio.it/cultura/2017/05/14/news/zizek-ciarlatano-che-odia-capitalismo-e-democrazia-134386/.

[3] Žižek, S., Tarrying with the Negative: Kant, Hegel, and the Critique of Ideology, Duke University Press, Durham 1993, p. 8.

[4] Žižek, S., How to read Lacan, Granta Publication, London, 2006; trad it. M. Nijhus, Leggere Lacan. Guida perversa al vivere contemporaneo, Bollati Boringhieri. Milano 2009, p. 125.

[5] Pesare, M., (a cura di) Comunicare Lacan. Attualità del pensiero lacaniano per le scienze sociali, Mimesis, Milano 2013, pp. 16-24.

[6] Miller, J.-A., (a cura di) A. Di Ciaccia, Pezzi Staccati, Astrolabio Ubaldini, Roma 2006.

[7]La psicoanalisi vera ha il proprio fondamento nel rapporto dell’uomo con la parola” Lacan, J., Mon enseignement; Je parle aux Murs, Seuil, Paris, 2005; Di Ciacci, A. (a cura di), Il mio Insegnamento; Io parlo ai muri, Astrolabio, Roma 2014, p. 74.

[8] Žižek, S., The ticklish subject. The Absent Centre of Political Ontology, Verso, London 1999, p. 12.

[9] Lacan, J., Ecrit, Seuil, Paris, 1966; trad it. G. B. Contri, Scritti, Einaudi, Torino 1974, p. 88.

[10] Tarizzo, D., Introduzione a Lacan, Laterza, Roma-Bari 2013, pp. 48-9.

[11] Cfr. Stavrakakis,Y., Lacan and the Political, Routledge, London 2002, Cap. II.

[12] Žižek, S., The Sublime Object of Ideology, Verso, London 1989; trad. it. C. Salzani Il Sublime oggetto dell’Ideologia [Kindle Version], Ponte alle Grazie, Milano 2014.

[13] ivi, pos. 2795.

[14]ivi, pos. 2675.

[15] La discussione sul progetto di Lacan, sulla soggettività paranoica, sullo stadio dello specchio e sul suo insegnamento in oltre due decenni di Seminari è ovviamente molto limitata e tralascia innumerevoli aspetti per questione di spazio e per mantenere il focus sul pensiero di Žižek. Per approfondire vedi, oltre ai testi citati, anche: Borch-Jacobsen, B., Lacan. Le maitre absolute, Flammarion, Paris 1990; trad. it. D. Tarizzo, Lacan, il maestro Assoluto, Torino. Einaudi 1999; Fink, B, The Lacanian Subject: Between Language and Jouissance, Princeton University Press, Princeton 1995; Recalcati M., Di Ciaccia, A., Jacques Lacan. Un insegnamento sul sapere dell’inconscio, Mondadori, Milano 2004.

[16] Cfr. Žižek, S., Sex and the Failed Absolute, Bloomsbury Publishing Plc, London, 2021; trad it. V. Salvati, Il Sesso e l’Assoluto, Ponte alle Grazie, Milano, 2021, pp. 34-83.

[17] Cfr. Žižek, S., The ticklish subject, cit.

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