Sarah Dierna (1997) è attualmente dottoranda di ricerca in Scienze dell'Interpretazione - XL Ciclo, presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell'Università di Catania. Scrive su varie riviste scientifiche - «Discipline Filosofiche»; «Vita pensata»; «il Pequod»; «Gente di Fotografia»; «Dialoghi Mediterranei».
Recensione a: The Giver. Il mondo di Jonas (The Giver), film diretto da Phillip Noyce; Usa, 2014.
Una realtà distopica ma anche prossima, futura ma a tratti già presente. Jonas, Escher e Fiona sono stati educati alla neolingua di una comunità senza più memoria, della quale si è figli che non conoscono però i loro genitori; discenti obbedienti alla voce del Capo Anziano; adulti a cui, a seconda della stirpe – per parafrasare il celebre mito di Platone – verrà assegnata la propria mansione, volta sempre al benessere della comunità, vale a dire a mantenere il potere di colui che comanda.
Questi bambini, ragazzi, adulti e anziani vivono e agiscono nella convinzione di essere finalmente liberi perché sono ormai lontani dalle angosce e dal dolore, dai sentimenti e dalle passioni, dalla guerra e dalle atrocità, dalla gioia e dall’amore, ma restano di fatto prigionieri di un panopticon in cui si è visti senza sapere di esserlo, si è controllati in ogni minimo gesto, persino nell’intimità di un bacio o nello spazio domestico di un’unità abitativa in qualsiasi momento accessibile all’algoritmo dell’I.A.
È una comunità senza storia e senza ricordi. Una comunità che i sacerdoti egiziani del Timeo di Platone definirebbero giovane perché ignara del proprio passato, ma proprio per questo debole, facilmente assoggettabile e profondamente ignorante.
A ‘salvarsi’, con tutte le conseguenze che questo comporterà per loro, sono soltanto gli accoglitori di memoria, coloro a cui soltanto gli anziani affidano la custodia della storia del mondo. Coloro che sanno e che per questo sono capaci di vedere la luce nei colori con cui essa si dà e si manifesta. Jonas, che è stato scelto per custodire questa memoria, viene guidato dal donatore di memoria nel corso di esperienze che gli rivelano un mondo inedito, in cui c’è la musica, l’amore, la guerra, la paura, la malattia, soprattutto c’è la morte, ciò che con precisione di linguaggio si preferisce chiamare con una formula assai allusiva ‘altrove’.
L’accesso a questo mondo è tuttavia possibile soltanto prendendosi per i polsi, perché il mondo al quale si accede è quello dei corpi nello spazio che si toccano, si sentono, sentono il calore dell’amore e la gioia del corpo danzare, la paura e la tristezza della guerra, l’angoscia del morire. Tutto ciò che nella comunità ideale è stato invece cancellato. Se poi, com’è vero, un luogo si abita quando si conosce la lingua dei suoi abitanti, sarà allora perdendo il linguaggio che è in grado di esprimerlo – come accade – che esso smetterà di essere abitato, a vantaggio di uno spazio nuovo asettico, freddo, geometrico, arido, matematico e, per tutti questi motivi, in bianco e nero.
In principio era il «disordine e [i]l caos, [la] grande sofferenza, [l’]enorme dolore, [la] confusione, [l’]invidia e [l’]odio profondo» e da questo «scaturì una soluzione: Comunità. Luoghi sereni e idilliaci, dove il disordine si è tramutato in armonia». Così il Capo Anziano presenta la Comunità ai suoi membri. Ma l’armonia altro non è che il modo che la neolingua ha trovato per dire ‘controllo’ e per chiedere ‘obbedienza’; e la proprietà di linguaggio (il politicamente corretto), nascosta dietro la parvenza del Bene e del Giusto «ha scelto di eliminare colori, razze, religioni» e «ha creato l’uniformità». Tuttavia, «se fossimo diversi potremmo essere invidiosi, arrabbiati, rancorosi». Saremmo, insomma, vivi.
L’identità ha infatti sempre bisogno della differenza per non diventare stasi, immobilismo, dissoluzione: «Identità e differenza costituiscono la sostanza del mondo e la condizione del pensiero. Sono gli elementi fondamentali dell’ontologia anche perché non rappresentano degli assoluti, delle quantità e qualità uniformi ma costituiscono sempre dei gradi tra di loro in connessione. E questo spiega la complessità e la varietà degli enti, degli eventi, dei processi» (A.G. Biuso, Tempo e materia. Una metafisica, Olschki, Firenze 2020, p. 13). Questo rende enti, eventi e processi la realtà di ciò che sono. Questo fa la differenza tra un’unità abitativa e una casa, alla quale Jonas, alla fine, riesce ad arrivare.