Alberto Giovanni Biuso, professore ordinario di Filosofia teoretica nel Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania, insegna Filosofia teoretica, Metafisica e Filosofia delle menti artificiali. Ha anche insegnato Epistemologia, Sociologia della cultura e Storia dell’estetica. È collaboratore, redattore e membro del Comitato scientifico di numerose riviste italiane ed europee. È direttore scientifico della rivista Vita pensata. Tema privilegiato della sua ricerca è il tempo, in particolare la relazione tra temporalità e metafisica. Altri temi di cui si occupa sono: la mente come dispositivo semantico; la vitalità del pensiero classico greco e romano; le strutture ontologiche delle intelligenze artificiali; la questione animale come luogo di superamento del paradigma umanistico. Il suo libro più recente è Ždanov. Sul politicamente corretto (Algra Editore, 2024). Il suo sito web è www.biuso.eu

Il 19 aprile 2024 è stato diffuso un comunicato del Cuda, un coordinamento di docenti dell’Università di Catania, a proposito di un Convegno che si sarebbe dovuto tenere il giorno stesso nell’Aula Magna dell’Ateneo. Il documento si trova qui sotto e subito dopo si può leggere la mia risposta, alla quale segue un resoconto del collega Carmelo Ferlito su quanto accaduto in Aula Magna.

Il quarto e ultimo testo è parte di una mia ulteriore risposta apparsa sulla mailing list del Cuda.

Credo che l’insieme di tali documenti descriva in modo assai vivido gli impulsi fortemente autoritari che guidano il politically correct.

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L’università, la scienza e la vita

Nei giorni 19 (pomeriggio) e 20 (mattina) aprile 2024 presso l’Aula Magna del Palazzo Centrale dell’Università di Catania viene ospitato un convegno sul tema: “La disforia di genere nei minori e la carriera alias negli istituti scolastici. Questioni mediche, giuridiche, antropologiche”. Al convegno, nel quale sono previste relazioni di docenti di area medica e giuridica dell’Ateneo di Catania e di altre sedi universitarie (Università europea di Roma, Università cattolica di Milano), l’Università di Catania, pur non fornendo patrocinio in quanto Ateneo né sponsorizzando l’iniziativa nella sua homepage né tanto meno sui suoi canali di comunicazione, non concorre solo logisticamente concedendo i suoi spazi, e diremmo i più rappresentativi e solenni dei suoi spazi, ma anche attraverso il patrocinio dell’Azienda ospedaliero – universitaria Policlinico che ne è, unitamente all’azienda ospedaliera Garibaldi e al Forum delle associazioni familiari della Sicilia, tra gli enti sostenitori a titolo gratuito. Il soggetto promotore di tale iniziativa è l’associazione “Scienza e vita” e, in particolare, la sezione catanese della medesima.

I temi trattati, lo si può cogliere dal titolo generale e dai titoli delle singole relazioni programmate, sono di indubbio rilievo. Altrettanto pacifica è la qualità scientifica delle persone chiamate a discuterne.

Aldilà della presenza di una sola figura femminile sul totale di quindici organizzatori (fatto che ci pare abbia rilievo in sé) ci sembra utile ricordare che l’associazione “Scienza e vita”, nella quale –vogliamo dirlo chiaramente – militano tante persone di indiscusso valore, ha su molti temi eticamente sensibili posizioni ispirate a una visione chiarissimamente confessionale e non prive, talora, di una evidente rigidità, tanto su argomenti quali il fine vita, l’autodeterminazione della donna o l’interruzione spontanea di gravidanza prevista dalle leggi della nostra Repubblica.

Si tratta, con tutta evidenza, di posizioni ideologicamente molto nette. Allora il dubbio che viene è il seguente: non dovrebbe l’Università pubblica (a-confessionale, pluralista, non discriminatoria) nell’occuparsi di temi complessi e divisivi assicurare che tutte le componenti culturali di un dibattito siano adeguatamente rappresentate? Non dovrebbe, se non è essa a allestire direttamente taluni eventi, chiedere a coloro che li promuovono di rispettare questa minima condizione?

Questo dubbio, che ospita una non celata richiesta di attenzione e riflessione, interroga, riteniamo, non poche tra le docenti e i docenti del nostro Ateneo.

19 aprile 2024

CUdA (Coordinamento Unico di Ateneo, Catania)

P.S. Quando questo documento era in fase di revisione (primo pomeriggio di oggi), abbiamo appreso che un nutrito gruppo di studentesse e studenti ha contestato l’iniziativa in oggetto e chiesto molto vibratamente, e ottenuto, che si ponesse fine alla stessa. Le modalità di questa protesta possono essere oggetto di discussione, ma le riserve che essa esprime plasticamente sono del tutto prossime a quelle che noi qui stiamo manifestando.

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20.4.2024

Ho letto il documento e devo dire che non ne condivido il contenuto.

Per quanto riguarda ciò che è accaduto ieri nell’Aula Magna di Palazzo Centrale, ho parlato con varie persone presenti e ho visto dei video. Si è trattato di una semplice azione squadristica. Una circostanza assai grave, tanto più negli spazi di una Università, vale a dire di un luogo deputato alla critica, al pensiero e alle libertà.

Leggo di un bizzarro argomento per il quale ogni volta che un gruppo di studiosi, un movimento, un’associazione organizzano un convegno, devono invitare anche persone che professano opinioni opposte. Cosa che non è mai avvenuta, non è mai stata richiesta, che ha poco senso. Ciascuno deve essere lasciato libero di organizzare e invitare chi vuole; chi non concorda può ignorare, ascoltare, interloquire, organizzare a sua volta momenti nei quali presenta posizioni diverse o opposte. Anche questo significa democrazia.

Nel caso specifico, e in particolare, chiedo in quanti degli innumerevoli incontri organizzati dalle comunità LGBTQ sono stati invitati relatori di idee diverse rispetto a quelle di tali comunità. Non è una domanda retorica; mi interessa proprio saperlo ed eventualmente avere un elenco di tali occasioni.

Tornando a quanto accaduto ieri, è un segnale molto pericoloso. Da ora in poi a Catania chi vorrà organizzare convegni che non piacciono a una minoranza, qualsiasi minoranza, dovrà ottenere l’autorizzazione non soltanto del rettore o della governance di Ateneo ma degli squadristi che potrebbero impedire con l’uso della violenza lo svolgersi di quell’evento.

Una prospettiva che credo nessuno di noi dovrebbe auspicare.

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20.4.2024

Gentili colleghi,

io ero presente ieri pomeriggio all’Aula Magna del Rettorato.

Sono entrato pochi minuti prima dell’inizio, l’aula era gremita, con molte persone in piedi, ho trovato un posto a sedere solo in fondo. C’erano tantissimi ragazzi ventenni o trentenni al più. Nei minuti che hanno preceduto l’inizio l’aula echeggiava di un silenzio strano, mai udito prima nei momenti, in genere conviviali, che precedono un convegno. Poi ha parlato l’arcivescovo. Lo hanno lasciato parlare. Anche se alcune ragazze alle mie spalle hanno lanciato delle grida, tuttavia, isolate. Poi è stata la volta del secondo relatore. Ma appena questi ha preso il microfono è partita la selva di improperi, di grida e di slogan poco o nulla intellegibili. Le grida, prima isolate sono subito diventate più serrate fino a diventare un urlo continuo ad alta intensità. Come d’incanto sono apparsi striscioni e cartelli con delle scritte, che non sono riuscito a leggere dalla mia posizione. E poi tutti i ragazzi si sono alzati in piedi gridando con toni sempre più minacciosi. Io sono rimasto seduto pensando che forse la cosa si sarebbe esaurita, invece no. Il tutto aumentava come in un crescendo sinfonico. Il professor Maurizio Caserta [delegato del Rettore; n.d.r] è andato in cattedra e ha preso il microfono ma non hanno fatto parlare nemmeno lui. A quel punto mi sono alzato, un ragazzo in piedi mi riconosce e si rivolge a me con tono affettuoso, mi dice prof sono un suo ex studente, in effetti il viso non mi era nuovo. Provo a chiedergli del perché non li facessero parlare, lui mi risponde che non li fanno parlare perché sono “transfobici” e non rappresentano la “vera scienza”. Io ribatto dicendo ma se non li fate parlare come facciamo a saperlo. Lui risponde lo sappiamo noi e questo le deve bastare. A quel punto gli organizzatori del convegno decidono di annullarlo. Ma non è finita, i ragazzi continuano a urlare vogliono che i relatori escano dall’Aula Magna. Gridano, e questo l’ho udito bene, che l’Università appartiene a loro. Dopo poco tutti i relatori e coloro che, come me, non avevano gridato contro di essi, sono fuori dall’Aula Magna. Chiudono la porta. Nella balconata rimanevano solo i volti frustrati, delusi e impotenti di tutti noi, relatori del convegno e curiosi come me. Accomunati da questo atto di prevaricazione senza se e senza ma. Non so se gli argomenti che i relatori avevano in serbo per noi fossero intelligenti, illuminanti ed istruttivi oppure idioti, oscurantisti e beceri. Non lo sapremo mai. Leggo su questo gruppo alcuni commenti che tollerano o addirittura plaudono a quello che questi ragazzi, studenti o meno che fossero, hanno posto in essere. Però Professoressa Di Mauro non si è trattato di un semplice, irrispettoso, strappo all’etichetta convegnistica. Si è trattato di un atto violento di prevaricazione dei molti contro pochi. Io mi auguro che quanti tra i professori di questo Ateneo plaudono a quanto accaduto ieri non debbano in futuro trovarsi in condizioni analoghe a quelle dei relatori di ieri.  Concludo questa mia testimonianza con una citazione del pastore Martin Niemoller ripresa da Bertold Brecht “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”.

Cordialmente

Carmelo Ferlito

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21.4.2024

Il faro della mia azione didattica e politica, e dell’intera mia vita, è ben racchiuso in queste parole di uno dei fondatori del pensiero democratico, Bento Spinoza:

«In Libera Repubblica unicuique & sentire, quæ velit, & quæ sentiat, dicere licere», vale a dire «In una libera Repubblica è lecito a chiunque di pensare quello che vuole e di dire quello che pensa»[1]. Un’altra studiosa e militante politica, Rosa Luxemburg, riprese questa idea affermando che «Freiheit ist immer nur Freiheit des anders Denkenden; la libertà è sempre solo la libertà di chi la pensa diversamente»[2].

[…] Tutto questo lo penso e lo avrei detto qualunque fosse stato il tema del convegno in oggetto. Nel caso specifico, sono del tutto contrario a molte delle tesi del movimento che ha organizzato tale evento (essendo io tra l’altro un antinatalista e un anarchico) ma naturalmente non mi interessa l’accordo o il disaccordo con quel movimento o con altri ma il diritto di tutti a esprimere le proprie opinioni, qualunque esse siano.

[…] Per me la libertà è ciò che è per Spinoza: la possibilità e il diritto di ciascuno di poter dire tutto ciò che vuole su qualunque tema, senza che nessuno lo censuri. In questo modo chi avrà più tessuto filerà meglio la sua tela.

Quando tale libertà viene messa in discussione, si sa dove si comincia ma non dove si finisce. O meglio, lo si sa bene: si finisce in una società autoritaria. Mentre per me la libertà di pensare, di scrivere, di parlare è tutto.

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In questo articolo ho utilizzato la categoria «squadrismo» al di là dei suoi limiti storici per indicare il seguente significato:

Azione di violenza fisica o verbale attuata da un gruppo organizzato per impedire ad altri, singoli o gruppi, di esercitare i diritti costituzionali, di muoversi nello spazio pubblico, di esprimere le proprie opinioni.

Da un video apparso su Radio Radicale e dalle testimonianze di varie persone presenti, tale definizione si attaglia interamente a quanto accaduto il 19 aprile 2024 a Catania, anche per la pressione proprio ‘fisica’ esercitata da coloro che hanno attuato tale azione squadrista o, se si preferisce una formula più asettica, coloro che hanno agito secondo quanto configurato dall’articolo 610 del codice penale, esercitando violenza privata. Che la digos presente non sia intervenuta per fermare tale pratica non mi stupisce e mi sembra invece un fatto molto interessante sul quale riflettere.

Il significato di quanto è accaduto nell’Università di Catania è indicato con chiarezza da un’altra studiosa di questo Ateneo, Lucrezia Fava, la quale scrive che «è gravemente riduttivo pensare che sia avvenuta soltanto una legittima e opportuna protesta da parte di una datata categoria di oppressi interessati a proteggere i loro diritti. I diritti che queste minoranze rivendicano devono essere oggetto di dibattiti, di analisi scientifiche e teoretiche anche e soprattutto da parte di chi è contrario a essi, perché non riguardano semplicemente i loro diritti: l’incondizionata autodeterminazione di se stessi che quelle persone rivendicano implica una trasformazione della corporeità e dell’identità umana che condiziona tutti. Impedire di parlare agli ospiti di quel convegno significa quindi ignorare i bisogni e gli strumenti di una comunità differenziata e democratica»[3].

Esatto: si è trattato di una violenta azione di intolleranza e di censura elevate a principio etico. Impedire a qualcuno di parlare costituisce una forma di violenza che si sta estendendo a molte occasioni, in molte circostanze. Perché se si è i possessori e i rappresentanti del Bene, è chiaro che uno dei compiti consiste nell’impedire al Male di parlare.

Sono assai consistenti i pericoli insiti in movimenti e individui che si sentono appunto espressioni del Bene, del Vero, dell’Inclusione, dei Diritti, dei Valori, tutti declinati a partire sempre dagli stessi schemi rigidamente dicotomici e incapaci di cogliere la complessità del reale, nel passato (un esempio è la cancel culture) come nel presente (un esempio è il cosiddetto wokismo).

Dal Rettore e dagli Organi di Ateneo non è arrivata, che io sappia, alcuna dichiarazione in merito a quanto accaduto. Un silenzio poco comprensibile ma credo anch’esso significativo.

NOTE

[1] B. Spinoza, Tratctatus Theologico-Politicus, titolo del cap. XX dell’opera, in Tutte le opere, a cura di A. Sangiacomo, Bompiani, Milano 2011, p. 1108.

[2] R. Luxemburg, Zur russischen Revolution, cap. IV, nota n. 3, in http://www.marxists.org/deutsch/archiv/luxemburg/1918/russrev/teil4.htm.

[3] Comunicazione privata.

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