Enrico Orsenigo (1992), psicologo iscritto all’Ordine degli Psicologi del Veneto, è Ph.D. Student in Learning Sciences and Digital Technologies all'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Nei suoi articoli si occupa di psicologia clinica, psicologia dello sviluppo, psichiatria fenomenologica e filosofia della tecnica.

Per investigare l’oggetto di questa seconda parte, chi scrive si è affidato alle ricerche sui simboli condotte dai professionisti di ARAS – Archive for Research in Archetypical Symbolism. Ispirati all’opera di Carl Gustav Jung, studiarono e composero un archivio di illustrazioni, testi e immagini di argomento mitologico, rituale e simbolico provenienti da tutto il mondo e le epoche dell’esperienza umana. L’archivio continua ad arricchirsi e nell’anno 2010, anno di pubblicazione dell’archivio in formato cartaceo, la raccolta contava diciassettemila immagini accompagnate da commenti sul contesto culturale e storico, esplorazioni inerenti l’universalità dei temi archetipici. Tra i principali collaboratori si segnalano: Kathie Carlson, Michael N. Flanagin, Kathleen Martin, Mary E. Martin, John Mendelsohn, Priscilla Young Rodgers, Ami ronnberg, Sherry Salman, Deborah A. Wesley.

L’indagine seguirà l’ordine categoriale indicato dall’ARAS: Creazione e cosmo: acqua, aria – vento e fenomeni atmosferici, fuoco – luce e tenebre, terra; Mondo vegetale: alberi, piante e fiori magici; Mondo animale: creature primordiali, creature acquatiche, aracnidi e insetti, uccelli, animali selvatici, animali domestici; Mondo umano: corpo umano, movimento ed espressione, fondamenti del lavoro e della società, utensili ed altri oggetti; Mondo spirituale: esseri mitici, rituali e sistemi sacri, malattia e morte, anima e psiche. Chi scrive ritiene indispensabile riferire che la scelta inerente le immagini archetipiche è del tutto personale e evidentemente non conclusiva.

Creazione e cosmo: pietra

L’uomo si distingue dai suoi antenati o da altre specie perché fa della pietra e con la pietra simboli e luoghi in cui sviluppare organizzazioni e stili. Le strutture in pietra, da sempre, costituiscono un riparo per i vivi e per i morti. Una pietra può essere simbolo di un dio o diventare un luogo sacro come la Kaaba, il meteorite nero che si trova a La Mecca. La pietra chiude il mondo, un mondo, come nella medina, dove chiude le prospettive, le orienta verso punti ciechi, svolte, viuzze. In questo modo lascia correre l’immaginazione, sfrutta la qualità della chiusura per amplificare l’attenzione e i sensi, nondimeno allargare le esperienze della fondazione emozionale del soggetto. Dentro una medina il primo incontro è con la pietra; nel caso della medina di Fez, sono poche le finestre delle abitazioni rivolte verso le viuzze, poiché la struttura classica della abitazioni in stile islamico presenta finestre e giardini all’interno. I Riad, queste abitazioni, disposte a corte e su più piani, consentono quasi sempre l’osservazione delle viuzze dall’alto; l’esperienza del soggetto che si ritrova a passeggiare per vie che, da un lato consentono una ridotta possibilità di specchiarsi dall’altro l’osservazione di altri soggetti nei suoi confronti, fanno talvolta coincidere l’esperienza della passeggiata con l’esperienza dell’estraniamento; questa evidentemente si sviluppa da una circolazione su di uno spazio in larga misura estraneo alle logiche strutturali e di movimento tipiche delle società europee.

Creazione e cosmo: deserto

Il deserto è un insieme eterogeneo, secondo la definizione dell’ARAS. Le condizioni di vita sono spesso ostili, anche a causa delle distese sconfinate, l’acqua che scarseggia, il calore, il gelo, le trombe d’aria, i muri di sabbia che si alzano e sommergono tutto ciò che incontrano lungo la direzione. Ancora una volta, l’idea del muro, ma stavolta in movimento, non statico. Un muro di sabbia veloce, capace di giungere da chilometri, per questo minaccia per intere città, medine. La privazione che si vive nel deserto non raramente si traduce in allucinazioni, dando luogo a miraggi. Ci sono animali: uccelli esotici che si rifocillano con la rugiada e cammelli che preferiscono invece le spine. Per l’umano, il deserto è simbolo anche di alienazione e tedio creativo, estraniamento, disorientamento, mortificazione, e allo stesso tempo di purificazione, redenzione e iniziazione – anche queste condizioni umane evidenziate dall’ARAS. Il vuoto assoluto e la disperazione vengono compensati, dopo giorni di viaggio, dall’incontro di una porta di accesso che conduce direttamente a una città, a una medina. Qui, l’esatto contrario dell’esperienza del deserto: grovigli di strade, grate che mostrano e non mostrano l’interno delle abitazioni, delle madrasse o delle moschee, suq ricchi di prodotti artigianali, concerie il cui accesso è sconsigliato a chi non ha almeno una foglia di menta da avvicinare alle narici: l’odore emanato dalle vasche di pietra che contengono il colore è per molti insopportabile.

Il deserto è luogo di fortuna e di sfortuna. Vi si può morire, fisicamente e fantasmaticamente.

Mondo vegetale: palma

La palma da dattero prende il nome dal palmo di mano, per la somiglianza delle sue fronde. La varietà egiziana lascia cadere il polline all’alba, e in questo modo libera nell’aria quel pulviscolo alla base della leggenda della fenice: l’uccello secondo la leggenda risorge tra le fronde di una palma, in una nuvola di fuoco. Diversi sono i testi sacri e opere letterarie che raccontano di ristori sotto le palme, non ultime le scritture apocrife che raccontano del ristoro, sotto una palma, della Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto attraverso il Sinai. Nel Corano, invece, quando Maria inizia le doglie, un angelo arriva e le comunica che il Signore ha fatto sgorgare un ruscello vicino a lei, e che scuotendo il tronco della palma, avrebbe ottenuto numerosi datteri freschi e maturi.

La palma è un albero delle oasi desertiche, simbolo ristoratore, della redenzione e della sofferenza. La palma offre un luogo alla fresca ombra delle sue fronde.

Mondo vegetale: giardino

Coltivare le arti come si coltiva un bel giardino; anche viceversa: coltivare un giardino come si coltivano le arti. La tradizione musulmana della cura dei giardini presenta numerosi esempi di questo precetto iniziale: giardini suddivisi in sezioni, ricchi di fiori rosa, arancioni, neri, azzurri, disposti secondo regole cabalistiche o secondo logiche del tutto private di sovrani che, in giorni specifici dell’anno, godevano del loro giardino cinti da una luce lunare; ma non solo, anche giardini le cui letterature hanno definito come luoghi di ristoro e fecondità. Non sempre i giardini sorgono lontano dalle città e dal trambusto della vita quotidiana delle medine: essi sono anche presenti all’interno, nel pieno centro della medina. Le loro qualità sono la mutevolezza, la segretezza, la fusione con l’architettura – giardini laddove proprio non ci si aspetta di incontrarli. Vieppiù un senso linguistico della parola usata per indicare “giardino”, e che racchiude anche il senso di chiusura e isolamento, in riferimento a quei giardini circondati da mura, appositamente chiusi in questo modo per trattenere segreti o indicazioni mitologiche: giardini considerati porte d’accesso a mondi soprannaturali, la cui propalazione è assolutamente vietata ai più. I passaggi per accedere a questo tipo di giardini sono talvolta invisibili, camuffati, dietro grate intagliate dai migliori artigiani, passaggi difficili da individuare, stretti. I musulmani considerano il giardino un luogo di beatitudine , chiamano Allah il giardiniere.

Mondo animale: asino

Asino: cavalcatura comoda e affidabile, fedele compagno di trasporto di materiali ad uso umano, usato in passato anche per piantare sementi, trasportare i pesanti carichi delle carovane. Asino, diventato simbolo di umiltà perché considerato il parente povero del cavallo, dalle zampe più corte. Tuttavia l’asino è compatto, ha lunghe orecchie sottili, ha un passo stabile, riesce a muoversi su terreni rocciosi e instabili. Ciononostante l’asino selvatico non è tra gli animali più socievoli, come i cavalli.

Gli asini vennero domati e addomesticati dagli egiziani, più di 4500 anni fa. Tacciato, erroneamente, come animale stupido, spesso trattato malamente. Nelle medine gli asini trasporto qualsiasi mercanzia da un luogo all’altro della città vecchia; non solo: trasportano anche le bombole del gas, e molto altro. Non è raro sentire urlare balak, attenzione, per lasciare spazio all’asino che si avvicina con il suo padrone – tendenzialmente, come già detto, animali e motoveicoli superano a sinistra, mentre i pedoni dovrebbero mantenere sempre la destra, questo per limitare incidenti e fornire una specie di regolamentazione di movimento all’interno della medina; non sempre questa regola viene rispettata, specie nelle medine la cui confusione e l’eccedenza di stimoli visivi non consentono una buona attenzione alle regole minime (vedi medina di Fez e Marrakech).

Mondo umano: occhio

L’occhio riceve ed emette luce, osserva all’esterno e all’interno, mette a fuoco e fuori fuoco, si apre verso il mondo e si chiude, quando non si vuole vedere, quando si ha sonno, quando un gioco lo prevede. Lo sguardo degli occhi è differente in base al tipo di relazione che si ha con l’interlocutore; non solo: lo sguardo cambia anche davanti alla propria immagine, e dipende dalle motivazioni che spingono l’osservazione, dallo stato d’animo che la ‘riveste’. Da sempre ricoperto da un’aura magica, d’interesse filosofico e storico-culturale, soggetto di proverbi e maledizioni. La vista vive in un duplice aspetto: l’apertura verso il mondo richiama le qualità del discernimento, l’apertura verso sé richiama gli elementi inconsci e la fondazione emozionale. Per alcuni è necessario difendersi dal cosiddetto malocchio, restituendo lo sguardo tramite talismani apotropaici.

Oggi più raramente, ma fino a tre decenni fa era comune imbattersi, dentro le medine, nei marabutti ciechi. Per i marocchini, delle specie di santoni. Ne Le voci di Marrakech, Elias Canetti ne fornisce una precisa descrizione, definendo il marabutto che ha incontrato come un uomo che accetta l’elemosina e, qualunque cosa essa sia, la fa passare attraverso la bocca e la saliva. Secondo una leggenda locale, tutto nel marabutto è santo e sacro, per questo la benedizione della moneta o del cibo attraverso la saliva benedice automaticamente il donatore.

Nelle medine l’occhio viene continuamente colpito dall’incessante vista di ogni articolo artigianale e non. La quantità di stimoli visivi, a sinistra e a destra, superati e ancora da superare, non sempre rende piacevole la passeggiata all’interno della città vecchia. Le soste, soprattutto durante i mesi estivi, sono continue, anche e soprattutto a causa del bruciore degli occhi, dell’impossibilità di prestare attenzione a quanto si sta guardando.

Ma non è finita, perché l’occhio gioca un ruolo centrale anche per quanto concerne la vista degli altri, da differenti piani di altezza o bassezza. Infatti le persone che si ritrovano a camminare per le vie o viuzze della medina, possono venire osservate da diversi piani, dei riad o dei siti culturali che anch’essi spesso si sviluppano in più piani, nondimeno dai cafè. Specie la sera, quando il tramonto è già stato superato e la voce del muezzin ha finito il richiamo, il rientro verso il proprio riad può diventare una esperienza di controllo e di occhi che guardano senza essere visti. Ma durante il proprio soggiorno, capita una volta o più di essere nel ruolo invertito: di guardare qualcuno che non ci guarda. Le terrazze dei riad si prestano facilmente a questo, come le grate dove finissimi intagli non consentono a chi sta oltre di scoprire l’osservatore.

Mondo umano: orecchio

Tutte le civiltà della storia umana hanno sottolineato l’importanza dell’ascoltare, nondimeno anche attraverso la creazione di metafore relative all’orecchio e che rappresentano i suoi collegamenti con la natura psichica.

Prestare orecchio ai suoni della natura, ha sempre rappresentato per l’uomo e per molte altre specie animali la possibilità di distinguere il tipo di territorio, i segnali di pericolo, individuare più facilmente la direzione da seguire, e quindi una certa forma di orientamento, trovare l’acqua o una preda, sentire cosa stava per accadere di fronte a sé o alle spalle. La propagazione di onde nell’atmosfera arriva presso il complesso labirinto che costituisce l’orecchio, e questo le raccoglie nel padiglione cartilagineo per poi condurle elicoidalmente per stimolare il timpano; aumenta la pressione dell’aria nella tromba di Eustachio, viene premuto in questo modo il liquido presente nella coclea, e l’impulso sonoro viaggia fino alla corteccia uditiva grazie al lavoro di trasmissione di cui sono capaci i nervi acustici. Si tratta quindi di una vera e propria traduzione, da onde acustiche a onde idrodinamiche, infine in impulsi elettrici; una traduzione che avviene attraverso stretti canali, viuzze, percorsi labirintici, non visibili direttamente dall’occhio umano.

Nelle medine l’orecchio sente più di quanto l’occhio vede. Le voci degli artigiani arrivano prima della loro immagine, il battito incessante di martelli sui metalli nel suq dei carpentieri, l’acqua che viene mossa dai fedeli musulmani nelle vasche delle mederse, il leggero fruscio dei rami di menta tenuti sottobraccio dalle persone che se ne ritornano a casa per preparare il té, il vociare di giovani che la sera si ritrovano negli spiazzi di fronte alle Bab (porte), le cantilene dei marabutti, la mannaia del macellaio che verticalmente scende e segna colpi precisi sulla carne animale, la voce del muezzin, che fuoriesce dai megafoni posti sopra ai minareti, si sente da ogni posizione: egli richiama, con la sua voce, con il suo canto sacro, i fedeli alla preghiera. La preghiera inizia da un azione e da una reazione dell’orecchio. Il visitatore ne rimane anch’egli coinvolto, seppur non direttamente; di più: il visitatore rimane più coinvolto di chi lo è direttamente, poiché non sempre ne conosce la tradizione, la lingua, il significato, non conosce dunque quanto sta avvenendo; eppure è lì, proprio dove si sta facendo spazio una sonorizzazione dell’inquietudine conoscitiva.

Mondo umano: naso

L’antico legame tra naso e vita è stato confermato dalle nuove scoperte che hanno stabilito la precedenza evolutiva dell’olfatto alla vista e all’udito. Il naso di un uomo può riconoscere fino a diecimila odori in più rispetto ai gusti percepiti dalla lingua. L’olfatto è collegato a funzioni istintuali e intuitive. Nondimeno, grazie al naso e dunque all’olfatto ci è consentito rievocare profumi di specifiche esperienza della vita: ne sono un esempio quelle riportate da Proust ne La Recherche o molti degli elementi della lista Par Roland Barthes di Roland Barthes.

Nello specifico, in una medina, il naso viene stimolato dal profumo di menta dei rami tenuti sotto braccio da chi si avvia verso casa a preparare il tè marocchino; sempre la menta è protagonista di un’altra esperienza nella medina: un piccolo ramo di foglie di menta da tenere a contatto con le narici nelle vicinanze di una conceria o durante la visita a una conceria: in questo luogo l’odore è talmente forte che arriva fino alle terrazze (luogo di solito indicato per la visita e per osservare nel complesso la procedura di tintura delle pelli). L’odore del pellame lavorato si può percepire in molte delle viuzze: nella medina si vendono svariati oggetti in pelle, portafogli, borse, babbucce.

L’odore del legno lavorato dagli artigiani falegnami, soprattutto nelle medine di Fez e Marrakech, oltre al naso coinvolge anche gli occhi quando la pratica del taglio è in corso: spesso, anche di sera, numerose seghe procedono nel taglio del legno generando rumore che va ad amplificare il vociare umano, e coinvolge gli occhi che tendono ad arrossarsi a causa della segatura nell’aria.

I profumi del principale negozi di essenze della medina di Chefchaouen, fuoriescono fino alla viuzza che porta alla piazza principale (progettata da Joan Mirò). All’interno del negozio si trovano centinaia di variazioni, dall’argan, all’ambra, al sandalo cambogiano, al patchouli.

Altri profumi significativi: il profumo della carne di manzo fatta nel tajine, mescolata nel sugo di prugne con pezzi interi di prugne; il profumo delle acciughe e limone fatte nel tajine; il profumo delle arance nella piazza Djama El Fna nella medina di Marrakech – arance che vengono spremute e vendute come bevanda.

Mondo umano: mano

Per quanto se ne sa, già ventimila anni fa, nella grotta di Perch-Merle, gli artisti preistorici poggiarono le mani nelle pareti per realizzare delle impronte, tracce, con l’ocra rossa e la cenere nera.

La mano, differisce appena da quella (appendice pentadattile) dei nostri cugini primati,gli scimpanzé. In entrambe le specie si assiste alla presenza e all’insieme delle funzioni del pollice opponibile, che presuppone un’area del cervello specifica di controllo.

Sin da Homo Faber, la mano è simbolo per eccellenza della plasmazione della materia, e a funzioni quali la scalpellatura e la modellatura. Espressività, volontà creativa e distruttiva sono le caratteristiche della mano, parte del corpo dal forte carattere metaforico-simbolico: con le mani si benedice, ci si prende cura del bambino nell’abbraccio e nella trasmissione di gesti d’affetto, ma allo stesso tempo con le mani si fa violenza, si mimano ruoli o situazioni, si gioca come nel gioco delle ombre cinesi, si fanno gesti per prendere in giro o per avvicinare qualcuno (e distanziare).

Per quanto riguarda l’esperienza tattile nella medina, essa può essere definita attraverso un elenco consistente di esperienze, molte delle quali forzate: non è raro incontrare i negozianti che desiderano mettere tra le mani la merce, invitando il potenziale acquirente  a tastare la qualità della pelle o di altro materiale; più volte durante il giorno la mano entra in contatto con bicchieri caldi, colmi di tè marocchino, e allo stesso tempo o contemporaneamente, bicchieri freddi, di limonata e foglie di menta. La mano passa con leggeri tocchi a sentire le grate finemente intagliate; le dita prendono (anche qui su invito di negozianti, talvolta sereni e pacati, talvolta invadenti) noci, uvetta, albicocche secche, da assaggiare prima dell’acquisto; la mano tocca i mosaici delle fontane, e non sempre ha la fortuna di toccare l’acqua che scorre in esse, perché non sono molte le fontane attive; la mano tocca spesso il proprio petto, come segno di saluto, ringraziamento, riconoscimento, accompagnata da Salam Aleikum, Aleikum Salam, o semplicemente Salam; nel caso di un viaggiatore, la mano organizza il contenuto dello zaino, numerose volte al giorno, non raramente proprio nel mezzo di strette viuzze; la mano tocca, e il soggetto raramente ne prende coscienza: le strettoie che caratterizzano certe medine, e la densità di popolazione al loro interno, alza drasticamente la probabilità di toccare ciò che non si pensava di toccare, comprese anche, teste di bambini, borse, menta sottobraccio, muri, merce esposta, asini, biciclette; nelle medine, la mano è pronta a dare direzione alle dita che indicano minareti, uccelli in volo, scorci, vicoli ciechi, orologi ad acqua posizionati in torri di mederse, grate sovraelevate, punti di riferimento da raggiungere nel fondo di una via, borse in pelle negli ultimi piani di scaffali impolverati, vecchi testi sporchi nelle piccole librerie senza porta dove, un vecchio signore, legge.

Mondo umano: mendicanti

Nello spazio medina ci sono mendicanti stanziati in alcuni degli angoli, talvolta limitrofi alle fontane mosaicate, talvolta nei pressi di un sito culturale e religioso. Non solo: ci sono molti mendicanti nelle piazze, come a Djama El-Fna a Marrakech: si esibiscono in numeri circensi, spesso con scimmie addestrate e che talvolta vengono vestite con maglie da calcio e educate a tenere in mano (e, ogni tanto, a sorseggiare) una bibita frizzante. Al di là dell’ironia e del divertimento, questi animali non sempre vengono trattati come bisognerebbe trattare un animale, e le loro condizioni riflettono una vera e propria schiavitù, sia fisica che comportamentale.

In Marocco ci sono molti mendicanti, e nelle medine soprattutto ognuno ha una propria strategia per catturare l’attenzione del passante: chi utilizza canzoni, malocchi, trucchi, gesti illusionistici, numeri circensi, sorrisi eccessivamente forzati, e al contrario tristezze eccessivamente forzate. I mendicanti che non fanno nulla di tutto ciò, che chiedono semplicemente l’elemosina, comunque spesso si avvicinano alle piazze e si siedono vicono agli incantatori di serpenti, agli ammaestratori di scimmie, ai venditori di spremute, alle donne che dipingono gli arabeschi sulle mani. Essi stessi, come suddetto, possono essere mendicanti in fasce orarie.

Mendicante è quello incontrato da Elias Canetti nel suo Le voci di Marrakech. Un marabutto che, ad ogni offerta, sia di moneta che di cibo, apre la bocca e assapora il dono ricevuto: è questo il modo tipico del marabutto di benedire chi ha fatto l’elemosina.

La piazza Djama El-Fna, la sera, si riempie di viaggiatori e di locali, un’attività che hanno in comune è l’ascolto dei cantastorie – si dice che in questa piazza, da mille anni, tutte le sere, i cantastorie narrano leggende, storie arabe, racconti di Sherazade. Distogliendo per un attimo lo sguardo dal cantastorie e osservando i dintorni, si potranno notare decine di mendicanti che perseverano alla ricerca di moneta o da mangiare; alcuni, tra di loro, interrompono l’elemosina per ascoltare la leggenda che si va narrando.

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