Andrea Capo (1998) si è laureato in Mediazione Linguistica e Comunicazione Interculturale presso l’Università degli Studi "Gabriele d’Annunzio" di Chieti-Pescara. Ha conseguito il titolo magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università Roma Tre. Le sue aree di interesse riguardano lo studio della geopolitica, dei processi di democratizzazione e involuzioni democratiche, con un focusin Asia centrale e Africa orientale.

Recensione a: J.J. Linz, Sistemi Totalitari e Regimi Autoritari: un’analisi storico-comparativa, intr. di A. Campi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2013, pp. 481, € 24,00.

Cosa rende esattamente un sistema non democratico e come si caratterizzano tali regimi? È questa la domanda alla quale il celebre politologo Juan José Linz intende rispondere in questa opera. La prima versione di questa pietra miliare delle Scienze Politiche è apparsa – con il titolo Totalitarian and Authoritarian Regimes – nel terzo volume della raccolta Handbook of Political Science, pubblicato nel 1975. Nel giro di pochi anni, l’opera di Linz è diventata un must nella letteratura politologica.

La versione italiana, aggiornata e tradotta come Sistemi Totalitari e Regimi Autoritari, suggerisce ampi spunti di riflessione in merito all’analisi dei regimi non democratici. Attraverso un attento studio empirico dei casi storici dei regimi illiberali, l’Autore identifica per la prima volta una precisa categorizzazione dei regimi non democratici, suddividendoli in quattro grandi categorie: autoritarismi, totalitarismi, post-totalitarismi e sultanismi.

«Uno dei modi più semplici per definire un concetto consiste nel dire di che cosa non si tratti» (p. 67): con questo approccio di caratteri negativo, Linz individua differenze e aspetti comuni dei vari regimi non democratici. Cos’hanno in comune il fascismo, il nazionalsocialismo, il comunismo e gli autoritarismi formatosi nel Terzo Mondo dopo la Seconda Guerra Mondiale? In cosa differiscono questi regimi e perché è possibile raggrupparli in categorie significativamente diverse tra di loro?

L’analisi di un regime politico piega Linz, è cosa assai complessa e richiede di tenere in considerazione una moltitudine di variabili che influenzano la sua essenza. Esso è dunque definito in base alla combinazione di una serie di fattori come – tra i più importanti – il contesto storico, la cultura di origine, le modalità con le quali si trasmette e tramanda il potere, struttura ideologica. Dalla differenziazione di questi elementi, ne consegue, quindi, la singolarità di ogni regime non democratico. Tuttavia, il fattore principale che accomuna queste forme di governo, è la loro natura antidemocratica, che si manifesta attraverso l’assenza di pieno pluralismo politico e libere competizioni elettorali.

Attraverso lo studio di specifici casi storici, l’Autore illustra chiaramente le caratteristiche di questi regimi partendo dai sistemi totalitari. Questi ultimi si contraddistinguono principalmente grazie a tre caratteristiche uniche, ossia la presenza di un’ideologia forte ed utopistica, un partito unico che penetra a fondo nella comunità e la presenza di un tiranno illuminato che, attraverso l’uso sistematico del terrore, guida il popolo alla realizzazione di una rivoluzione intensa della società. In perfetto stile orwelliano, tutte le istituzioni vengono sottomesse all’autorità monolitica del partito che pretende il contributo di tutti i cittadini per supportare attivamente il funzionamento del sistema. Esempi calzanti di questa forma di governo, sostiene Linz, sono la Germania nazionalsocialista, l’Unione Sovietica nella fase staliniana e la Cina maoista.

Questi tre regimi, unici ad essere considerati pienamente totalitari nelle Scienze Politiche, incarnano perfettamente tutte le caratteristiche descritte precedentemente. Le differenze ideologiche e culturali non compromettono la natura di tali regimi in quanto essi agiscono esattamente nella stessa maniera. Nella Germania hitleriana il Führerprinzip, ossia la dedizione assoluta verso il maggior rappresentante politico del nazionalsocialismo tedesco, era fondamentale per l’ordinamento della società. Allo stesso modo, i totalitarismi sovietico e cinese hanno sviluppato principi analoghi, che hanno portato alla creazione di un incessante culto della personalità di Stalin e Mao Zedong.  Per quanto possano sembrare simili agli occhi di uno studioso poco attento, il regime hitleriano è significativamente diverso da quello fascista italiano, quest’ultimo visto persino più simile al regime bolscevico da alcuni studiosi. Infatti, come ricorda Trotsky «il comunismo e il fascismo, nonostante la profonda differenza nei rispettivi fondamenti sociali, rappresentano fenomeni simmetrici. In molte delle loro caratteristiche mostrano tragiche analogie» (p. 69). Ne consegue quindi che, pur essendoci esclusivamente tre casi di totalitarismi nella storia contemporanea, altri regimi non democratici possono presentare tendenze totalitarie senza tuttavia riuscire a consolidarsi in tale sistema. Questo è appunto il caso del regime mussoliniano e del regime franchista che rientrano invece, secondo Linz, nella galassia degli autoritarismi. Questi rappresentano la categoria più complessa, più variegata e più frequente di regimi non democratici. L’Autore li definisce come «sistemi politici aventi un pluralismo politico limitato e non responsabile, privi di un’ideologia-guida complessa, ma caratterizzati da una mentalità peculiare, privi di un grado di mobilitazione ampio o intenso, se non durante momenti specifici del loro sviluppo e nei quali un leader (o, occasionalmente, un gruppo ristretto) esercita il potere nell’ambito di limiti formalmente mal definiti, ma in pratica ben prevedibili» (p. 229). Questa definizione, suggerisce che i regimi autoritari sono regimi che solitamente non presentano un’ideologia ben codificata e penetrante come i totalitarismi e, a differenza di essi, non sono caratterizzati dalla presenza di un partito forte. A livello ideologico, prevalgono invece ciò che l’Autore identifica come “mentalità caratteristiche”, ossia valori generali come il nazionalismo, la rivoluzione, l’anticolonialismo o il militarismo, al quale il governo si rifà per legittimare la propria egemonia. Inoltre, esiste un pluralismo nella società civile che permette la fioritura di una cultura alternativa a quella proposta dal sistema e la formazione di deboli gruppi di opposizione. Salvo nei casi con tendenze totalitarie, il regime autoritario è interessato a disincentivare le masse alla partecipazione politica e non pretende il contributo popolare per il sostentamento del sistema.

Un aspetto importante secondo Linz, è che la natura dei vari regimi autoritari è definita dalla tipologia della sua leadership. Esistono quindi regimi autoritari di stampo militare, quando è unicamente l’esercito che governa il Paese. L’Autore indentifica esempi storici nel caso dell’Argentina di Videla, la Grecia dei Colonnelli o il Myanmar attualmente governato dalla giunta di Myint Swe. Invece, quando i militari governano in coalizione con dei burocrati, si hanno dei regimi burocratico-militari. Questi regimi non sono puramente militari in quanto l’esercito condivide il potere con i tecnocrati, responsabili principalmente della rule of law. Esempi storici sono l’Estado Novo di Salazar e la Spagna di Francisco Franco. Quando al posto dei burocrati si hanno invece dei membri di partito, prevalgono dei regimi definiti da Linz come «esercito – partito».  Qui, le istituzioni più importanti si legittimano e governano a vicenda in quanto l’esercito sostiene il ruolo del partito maggioritario e quest’ultimo garantisce ampi margini di potere ai militari. Esempi di questa tipologia sono riscontrabili nell’attuale caso cubano, nella Libia di Gheddafi o nella Tanzania di Nyerere.

Senza entrare eccessivamente nei particolari, si segnalano ulteriori ramificazioni di regimi autoritari come le democrazie razziali (Sud Africa durante il periodo dell’Apartheid), regimi post-coloniali (Etiopia, Repubblica Democratica del Congo e Angola dopo l’indipendenza) e regimi di statalismo organico, o corporativisti (Italia Fascista, Brasile di Vargas o Jugoslavia di Tito).

Com’è di facile intuizione, i vari regimi autoritari della galassia linziana consistono la tipologia più frequente di regimi non democratici. Questo non è solo dovuto alla vasta tipologia di autoritarismi esistenti ma anche dal fatto che le caratteristiche “neutre” e perciò non polarizzanti di questi regimi, permettono una facile creazione di un sistema non democratico.  I totalitarismi, ormai scomparsi proprio perché di difficile instaurazione, hanno infatti ceduto il posto a forme più “soft” di dispotismo, tanto che al giorno d’oggi sono ben pochi i regimi non democratici diversi da quelli autoritari.

Tuttavia, all’interno della categorizzazione dei regimi illiberali, rientrano ulteriori tipologie che differiscono dai regimi precedentemente descritti. Il regime post-totalitario, idealizzato e identificato per la prima volta proprio da Linz, rappresenta un caso diverso sia dal totalitarismo che dall’autoritarismo. Pur essendo molto vicino all’idealtipo totalitario, se ne differenzia in una dimensione fondamentale: la presenza di alcuni limiti per il leader. A differenza dei regimi totalitari, infatti, non si ha più il ruolo guida di un sovrano carismatico che detiene poteri assoluti ma si viene a creare una leadership di tecnocrati che, almeno inizialmente, propongono un processo di riformista, ossia un processo di detotalitarizzazione. Quest’ultimo allontana il regime da un pieno totalitarismo e consente la creazione di un regime più aperto, ma che conserva caratteristiche totalitarie. Infatti, in questa tipologia di regimi, rimane centrale il monopolio politico del partito ma l’elemento ideologico, pur essendo molto più forte rispetto ai regimi autoritari, perde drasticamente importanza e diventa una mera formalità routinaria. In poche parole, il regime post-totalitario di Linz, altro non sarebbe che un regime totalitario svuotato della sua essenza radicalmente rivoluzionaria, che ha conosciuto sì un passato totalitario ma che ha perso alcune delle sue caratteristiche, collocandosi così a metà strada tra un autoritarismo e un totalitarismo. Esempi storici di questa caratteristica peculiare di governo riguardano essenzialmente i regimi comunisti dell’Europa orientale i quali, a seguito della destalinizzazione avvenuta nel 1956, hanno intrapreso un processo riformista che li ha allontanati da un totalitarismo puro. Attualmente, sostiene l’Autore, esiste solo un caso di regime che rientra in questa categoria ed è rappresentato dalla Repubblica Popolare Cinese la quale, dopo la morte di Mao Zedong, ha avviato una serie di processi che l’ha portata esattamente alla formazione di questa tipologia di governo.

Infine, una forma unica e particolare di regime non democratico è rappresentata anche dai cosiddetti regimi sultanistici. Questi, altro non sono che regimi patrimoniali, i quali si caratterizzano per la presenza di un sistema politico che ruota interamente attorno al despota e ai suoi familiari. Gli elementi che prevalgono in questi regimi, a differenza degli altri non democratici, sono la presenza della successione dinastica, corruzione diffusa in tutti gli ambiti della società e la presenza di una leadership familiare, che lavora non per fini ideologici o per soddisfare le esigenze del Paese bensì esclusivamente per soddisfare i capricci del sovrano. Quest’ultimo è mosso unicamente dal desiderio di restare al potere e accumulare quante più ricchezze possibili, sottraendole ai sudditi. Linz spiega che questi regimi sono tra i più chiusi e difficili da debellare in quanto la successione del potere è resa certa dalla presenza di una leadership familiare che tramanda per sanguinem la sua egemonia. Nella storia, infatti, la totalità di questi regimi sono caduti e hanno intrapreso una fase di cambiamento politico solo a seguito di una rottura violenta che ne ha decretato la fine. Linz identifica nella Corea del Nord, Romania di Ceaușescu e la Nicaragua della famiglia Somoza i principali esempi di sultanismo nella storia contemporanea.

Rifiutando il semplicistico uso del termine “dittatura” per definire la complessità dei regimi non democratici, Linz illustra correttamente le caratteristiche dei regimi illiberali, ricordando che in realtà  l’espressione che rimanda al dictator rei gerundae causa designava nell’antichità una carica straordinaria e prevista da una costituzione (p. 84) e che, pertanto, l’uso del termine “dittatura” non deve essere impropriamente utilizzato in riferimento ai regimi non democratici, i quali invece si caratterizzano per una serie di qualità ben diverse e del tutto contrapposte alle cosiddette dittature cesaristiche o dittature classiche. Possiamo dunque concludere che, alla luce dell’analisi proposta dal celebre politologo in quest’opera, tutte le varie tipologie di governo non democratico, tendono a sopprimere qualsiasi forma di pluralismo insito nella società civile, annichilendo lo spirito individuale della collettività, da sempre, seme di democrazia dei popoli.

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