Andrea Capo (1998) si è laureato in Mediazione Linguistica e Comunicazione Interculturale presso l’Università degli Studi "Gabriele d’Annunzio" di Chieti-Pescara. Ha conseguito il titolo magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università Roma Tre. Le sue aree di interesse riguardano lo studio della geopolitica, dei processi di democratizzazione e involuzioni democratiche, con un focusin Asia centrale e Africa orientale.
Recensione a: S.P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 2000, pp. 512, € 18,00.
Con la fine del sistema bipolare si è aperta una nuova fase nel mondo delle relazioni internazionali. La visione trionfalistica, secondo cui il collasso del blocco socialista segnerebbe la vittoria irreversibile del modello occidentale, viene messa in discussione da Samuel Huntington ne Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, edito per la prima volta in italiano da Garzanti a fine anni Novanta.
Si può davvero ritenere definitiva l’affermazione dei valori liberali come paradigma universale per la comunità internazionale? La globalizzazione può sancire la vittoria conclusiva del potere economico su quello politico? E ancora, quale il futuro delle relazioni internazionali in assenza delle grandi ideologie che hanno caratterizzato il ventesimo secolo?
Rifiutando la teoria della “fine della storia” del celebre politologo Francis Fukuyama, l’Autore descrive uno scenario diverso, nel quale i modelli culturali dei vari attori globali assumono un’importanza significativa per la comprensione dei meccanismi geopolitici dalla fine della Guerra Fredda. Secondo Huntington, in assenza di una contrapposizione ideologica, sempre più Stati sceglierebbero la loro affiliazione politica spinti da fattori prevalentemente culturali e religiosi.
Il pensiero di Bozeman sembrerebbe confermare questa prospettiva, secondo cui «quella delle civiltà è la più lunga di tutte le storie. Gli imperi sorgono e cadono, i governi vanno e vengono, le civiltà invece restano e sopravvivono ai rivoluzionamenti politici, sociali e finanche economici» (p. 49).
La “nuova ideologia” del Ventunesimo secolo sembrerebbe essere dunque quella culturale. Nel corso della storia moderno-contemporanea, è stata la civiltà occidentale (Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, gran parte dei Paesi europei e Israele) a detenere l’egemonia del potere in diversi ambiti quali economico, militare, scientifico e tecnologico. Basti pensare al primato di queste società nel disporre di vasti imperi coloniali o nel controllare il sistema bancario internazionale, ad esempio.
Ma quanto è reale questa condizione nei giorni attuali?
Secondo l’Autore, non sarebbe sbagliato affermare che l’Occidente sia ancora egemone ma è fondamentale riconoscere il suo graduale declino. A fronte di una lenta crescita economica, inverno demografico e disoccupazione, altre civiltà stanno progressivamente emergendo e prendendo il sopravvento. Tra queste, vi è quella sinica (Cina e Paesi di tradizione confuciana) che mina gli interessi occidentali nella sfera economica, sottraendole aree di influenza chiave in Africa e Terzo Mondo. Uno smacco ancora più grande è rappresentato dai crescenti legami tra Pechino e il Giappone, considerato da Washington come un partner privilegiato nell’Asia-Pacifico.
A questo riguardo, bisogna ricordare che secondo la teoria di Huntington, ciascuna civiltà ha dei conflitti e linee rosse nei confronti delle altre. Significativo è il caso di quella islamica che, manchevole di uno Stato guida, è la più conflittuale e ha scontri di varia natura con tutte le altre civiltà. La revanche de Dieu ha interessato in modo particolare il mondo musulmano, che negli ultimi anni ha riscoperto il fervore spirituale per valorizzare la propria cultura e tradizioni. La rinascita religiosa, intesa quindi come fenomeno identitario, è stata indispensabile anche per determinare la costituzione di nuovi Paesi, manifestata con ogni evidenza in diversi Stati post comunisti. Pertanto, il principale fattore confliggente che contrappone la civiltà islamica alle altre è prevalentemente di natura religiosa e si manifesta con atti di terrorismo, dispute territoriali in Xinjiang, Kashmir e con il rifiuto dei valori secolari da parte delle popolazioni arabe.
A notare bene, la “rivincita di Dio” non è un aspetto esclusivo delle società musulmane. Sconvolti dal vuoto ideologico causato dalla scomparsa del blocco socialista, anche le nazioni slave e dell’Europa orientale ritrovano nella fede ortodossa una componente chiave della loro identità collettiva. Tuttavia, nel caso della civiltà ortodossa non è il sentimento religioso a determinare il principale fattore di conflitto con l’Occidente. Quest’ultimo è riconducibile invece al progressivo allargamento della NATO in Europa, visto con preoccupazione da Mosca. Pertanto, secondo l’Autore, la guerra in Georgia, le tensioni nel Donbass e la progressiva militarizzazione della Russia possono essere interpretati come fenomeni che confermano la determinazione del Cremlino a difendere gli interessi strategici nella propria area di influenza.
Servendosi di una visione incentrata sull’importanza dell’elemento culturale, Huntington riesce a prevedere già nel lontano 1996 l’attuale crisi ucraina. Infatti, ciò che teorizza il celebre politologo, è che lo scontro tra due civiltà in Stati culturalmente contesi (come appunto l’Ucraina) avrebbe determinato irrimediabilmente dei conflitti di faglia. Il caso Iugoslavo sembrerebbe dimostrare la correttezza di tale principio.
Una volta svanito il collante ideologico che ha unito le varie etnie, ciascuna repubblica federativa ha rivendicato la propria indipendenza per ragioni comunitarie, ricevendo il supporto dagli attori appartenenti allo stesso modello culturale. In particolare, durante la guerra, i bosniaci hanno ricevuto sostegno da parte del mondo islamico (comprendente anche Stati che si osteggiano tra loro come Iran, Arabia Saudita o Libia). Allo stesso modo i serbi sono stati aiutati dalla Russia e nazioni slave (anche dalla Grecia, appartenente alla sfera d’influenza euro-atlantica ma con una lunga tradizione ortodossa) e i croati sono stati finanziati dall’Occidente e Vaticano. Lo scenario descritto rappresenta esattamente lo “scontro delle civiltà” teorizzato da Huntington, nel quale attori simili dal punto di vista culturale, tendono a supportarsi a vicenda poiché accomunati da una serie di visioni e valori.
L’Ucraina, Stato in bilico tra l’adesione al mondo occidentale e quello ortodosso, è vittima perciò di una guerra interna che vede opporsi società culturalmente diverse. Seguendo una logica Huntingtoniana, l’invasione russa iniziata il 24 febbraio 2022 potrebbe quindi essere intesa come il culmine di un annoso conflitto di faglia. Non è difficile immaginare come in futuro anche altri “Paesi ponte” potrebbero sviluppare tendenze analoghe (solo per citarne alcuni, Turchia, Messico, India e la stessa Russia).
Altre civiltà come quella indù, africana, giapponese o latino-americana, confliggono in maniera minore con quella occidentale ma non mancano di presentare sfide sempre più importanti. Il fenomeno migratorio proveniente dall’Africa, ad esempio, pone problemi a molti Paesi europei, che non riescono a gestire i flussi irregolari. Allo stesso mondo, la sregolata immigrazione latina verso gli Stati Uniti, accende fuochi tra gli attori del continente americano, inasprendo fattori di crisi tra le varie nazioni.
Cosa sta succedendo dunque all’attuale status quo del sistema politico internazionale?
In questo scenario confuso, sembrerebbe che la globalizzazione abbia sì avvicinato i popoli, ma contemporaneamente esacerbato le differenze culturali. Paradossalmente, in vista di un possibile appiattimento dei valori nella società globale, i vari popoli hanno reagito affermando i propri. È questa la causa che giustifica la riscoperta del sentimento religioso quale espressione di appartenenza comunitaria in Medio Oriente, la crescente diffusione di nazionalismi o la disgregazione di interi assetti statali per motivazioni etnico-identitarie. In questa cornice si inserisce il comportamento delle potenze regionali che, sebbene in passato mosse da motivazioni ideologiche, oggi preferiscono collaborare con attori simili al loro modello culturale. Si guardi bene però a non cadere nell’errore di polarizzare questa visione: il fattore culturale non costituisce ancora una condicio sine qua non per la cooperazione tra gli Stati. Come ricorda il celebre politologo Mearsheimer ne La tragedia delle grandi potenze (2019), infatti, il comportamento degli attori resta ancora vincolato in maniera determinante dall’interesse economico e politico.
Attraverso le lenti di Huntington, possiamo dunque comprendere la natura del sistema politico internazionale, oggetto di controversia tra i “mostri sacri” delle Scienze Politiche. Secondo la ricostruzione dell’Autore, la fine della Guerra Fredda «non segnerebbe il culmine dell’egemonia della civiltà occidentale bensì l’inizio del suo esaurimento» (p. 110). Ne consegue quindi che l’attuale sistema politico internazionale vada in direzione del multipolarismo. La lungimiranza di tale pensiero troverebbe riscontro dagli eventi acuitesi recentemente e dalla progressiva realizzazione dello scenario descritto nell’opera.
Resta ora da chiederci: quale sarà il futuro degli equilibri geopolitici in preda allo scontro delle civiltà?
Già negli anni Cinquanta Lester Pearson ha ammonito che «l’uomo si sta avviando a un’età nella quale le diverse civiltà dovranno imparare a convivere in un pacifico interscambio, imparando le une dalle altre, studiando la storia, gli ideali, l’arte e la cultura delle altre società, arricchendosi reciprocamente. L’alternativa, in questo piccolo e sovraffollato mondo, è incomprensione, tensione, conflittualità e catastrofe» (p.479). Pertanto, l’ordine mondiale basato sulle civiltà rappresenta il maggior pericolo e, al contempo, la miglior salvaguardia per la pace. Quest’ultima, dipende dalla maturità dell’essere umano, dalla sua capacità di tollerare differenze culturali e di adottare una visione inclusiva verso le diverse identità, tradizioni e prospettive che caratterizzano le società contemporanee.
Siamo sicuri di essere pronti?