Valerio Vagnoli (1952) si è laureato in letteratura italiana moderna e contemporanea con Luigi Baldacci. Dal 1973 al 2007 ha insegnato in tutti gli ordini di scuola, inclusi gli istituti penitenziari di Firenze. Rimane fondamentale la sua esperienza di maestro nel carcere minorile e nella sezione femminile del carcere di Sollicciano (sembra sia stato il primo docente maschio a ricoprire questo ruolo in Italia) ove peraltro incontrò e lavorò con Antonio Gelardi, già allora un illuminato giovane vicedirettore e in seguito uno dei direttori carcerari più innovatori del nostro Paese. Dal 2007 ha diretto scuole di ogni ordine e indirizzo chiudendo dopo 44 anni la propria attività all'Istituto professionale Saffi di Firenze. E, non a caso, sull'importanza di ricostruire una autentica formazione professionale nel nostro Paese continua a mantenere un costante e motivato impegno. Ha fatto parte del “Gruppo di Firenze” e collabora da tempo con quotidiani e riviste.
Recensione a: A. Gavosto, La scuola bloccata, Laterza, Roma-Bari 2022, pp. 208, € 15,00.
La scuola bloccata è l’ultimo saggio che Andrea Gavosto, direttore dal 2008 della Fondazione Giovanni Agnelli, ha scritto sulla scuola. Vale la pena di ricordare che la Fondazione oramai da anni si occupa esclusivamente delle problematiche scolastiche del nostro Paese facendo riferimento, come il presente saggio conferma, a dati precisi, a confronti con i sistemi scolastici degli altri paesi, ai rapporti con il mondo delle imprese e del lavoro e soprattutto a quella che è stata e continua ad essere la nostra politica scolastica.
Un’analisi precisa e inesorabile del nostro fallimento “certificate” da tutti i sistemi di verifica, internazionali e nostri, che da anni inesorabilmente confermano il precipitare del nostro modello scolastico e formativo verso condizioni sempre più drammatiche. Condizioni drammatiche rilevate soprattutto dai dati Invalsi, gli ultimi dei quali attestano come la percentuale dei nostri studenti maturandi al termine di un ciclo scolastico durato 13 anni non raggiunge livelli almeno accettabili nelle competenze di base. In particolare «il 51% dei dicannovenni italiani non raggiunge questa soglia in matematica e il 44% in lettura; la quota di studenti inadeguati in matematica supera il 70% in alcune regioni del Sud» (pp. 16-17), confermando in generale la medesima situazione dei test Invalsi precedenti le chiusure scolastiche in virtù della diffusione del Covid.
Gavosto coglie alcuni aspetti positivi solo nella impostazione della nostra scuola primaria che, a suo avviso, può contare su una tradizione eccellente a proposito della sua storia e della sua struttura: insegnanti abituati ad organIzzare e a condividere in gruppo la didattica. «La fotografia cambia a partire dalla secondaria di primo grado […] quando gli apprendimenti dei ragazzi cominciano a calare in maniera assai più incisiva rispetto agli altri paesi europei soprattutto perché l’apprendimento (è) incentrato sull’acquisizione delle nozioni e non sul loro utilizzo» (p. 20) per la soluzione dei problemi o per ragionare su quanto appreso. La situazione precipita alle superiori di secondo grado. Precipitare, sottolinea Gavosto, che è certificato fin dalla prima edizione dei test Pisa del 2000, soprattutto per l’incapacità da parte del sistema scolastico di colmare i divari sociali e territoriali che marcano in maniera profonda le differenze tra i risultati degli studenti.
Tra i dati ve n’è uno che vorrei sottolineare, ed è quello che concerne il punteggio relativo alla comprensione di un testo: i ragazzi della formazione professionale a carattere regionale riportano risultati migliori rispetto a quello dei compagni degli istituti professionali di Stato. Quanto si deve ancora attendere perché finalmente si renda giustizia a ragazzi e famiglie che vorrebbero trovare negli istituti professionali il rispetto per le loro vocazioni e per le loro attese? Serve ancora obbligarli a dover seguire un numero esorbitante di discipline utili solo a sistemare un altrettanto esorbitante numero di laureati altrimenti destinati alla disoccupazione e senza peraltro garantire a questi studenti specializzazioni di alta formazione anche in contesti paralleli a quelli universitari?
Gavosto si occupa anche dei divari di genere, soprattutto per quanto concerne i risultati nelle materie scientifiche. Anche in questo caso, oltre all’analisi delle cause, l’Autore ci presenta una serie di strategie affinché siano superati gli stereotipi che da sempre caratterizzano pure il mondo della scuola, purtroppo anche per responsabilità degli stessi docenti, indicando come si può didatticamente intervenire per migliorare in generale gli apprendimenti delle ragazze in matematica e nelle scienze.
Il saggio propone inoltre tutta una serie di interventi che possano finalmente coinvolgere «i gangli vitali» del sistema scolastico, ed ogni voce è separatamente analizzata sia per quanto concerne i rinnovamenti da apportare alle strutture scolastiche che per quanto riguarda le innovazioni della didattica. L’autore, tra le proposte, prende in esame anche la possibilità di rivedere l’intero percorso scolastico per limitarlo ai 18 anni. A tale proposito ciascun lettore sarà in grado di fare le proprie riflessioni: tuttavia non possiamo che condividere le medesime perplessità di Gavosto circa quanto è avvenuto a proposito della sperimentazione, conclusasi lo scorso giugno, in 192 scuole del percorso superiore quadriennale ampliato da quest’anno in ben 1000 istituti. Di tutto ciò il ministero non si è mai fatto carico, anche durante gli anni di sperimentazione, di presentarci un qualsiasi risultato, una pur essenziale riflessione su questa eventuale importante novità.
Sempre a proposito dell’organizzazione della didattica, si esclude la possibilità di adottare, naturalmente nella scuola superiore di secondo grado, l’organizzazione degli studenti in gruppi di livello preferendo da parte dell’Autore salvaguardare l’unità del gruppo classe. Il problema, a mio parere, rimane comunque aperto anche perché potrebbe essere possibile conciliare la permanenza del gruppo classe unitamente alla creazione di sottogruppi di livello. Questi, infatti, sarebbero in grado di valorizzare il merito e permettere, nello stesso tempo, a chi non ha raggiunto i risultati attesi e previsti dal curriculum di poterli ottenere con maggiore autonomia rispetto alle dinamiche dettate dalla classe. Senza contare che, qualora la struttura della scuola media di secondo grado rimanga a 5 anni, sarebbe forse opportuno permettere l’uscita anticipata a coloro che hanno al termine del quarto anno raggiunto tutti gli obiettivi previsti. Ovviamente una scuola del genere, ed è quello che anche Gavosto auspica, potrà avere la sua realizzazione all’interno di un sistema scolastico che tenga aperte le scuole per l’intera giornata. Proprio come avviene nella maggior parte delle scuole europee, di quella Europa a cui il nostro sistema scolastico dovrebbe ispirarsi anziché, sono parole mie, preoccuparsi di regionalizzarlo. Egli ritiene inoltre che il problema della scuola italiana non sia rappresentato dalle “classi pollaio” e, dati alla mano (p. 90) ci ricorda che l’Italia è uno dei paesi Ocse con le classi meno affollate.
Non si deve inoltre pensare che le didattiche tradizionali siano da rifiutare a vantaggio delle tante accattivanti, almeno nelle definizioni formali, pratiche innovative. Sostanzialmente condivide il principio che il buon insegnante è quello che si aggiorna soprattutto tramite un serio confronto tra pari e che usa «tutte le strategie a disposizione, adattandole al contesto, alla sua classe e agli obiettivi di apprendimento che si pone» (p. 81). E ai docenti, oltre al ruolo dei dirigenti e del resto del personale scolastico, e su come si deve o dovrebbe insegnare sono dedicate molte pagine del libro prendendo in esame i temi legati alla loro formazione, iniziale e in itinere, alla loro selezione, alle condizioni di lavoro, alla loro carriera e a tanto altro ancora, comprese precise e concrete proposte su come sbloccare la scuola anche attraverso una innovazione dei suoi spazi, con una diversa partecipazione delle famiglie, grazie a nuove riforme e perfino recuperandone alcune perse per strada.
Saggio davvero stimolante e, come conviene spesso alle opere che non si propongono solo di convincere ma soprattutto di far riflettere, arricchito da un vasto apparato di note e da una altrettanto vasta bibliografia. E a chi volesse, peraltro c’è già chi lo ha fatto, leggere questo libro con una motivazione puramente ideologica, faccio mio quanto Gavosto scrive in una delle ultime pagine del libro a proposito di quello che potrà accadere qualora non si intervenga rapidamente sul nostro, sempre più tormentato, sistema scolastico:
L’alternativa è che la scuola pubblica inizi a sfilacciarsi, con le famiglie più avvertite e benestanti che selezionano scuole pubbliche e private selettive, come le internazionali, che garantiscono conoscenza delle lingue e delle tecnologie: con il tempo gli studenti migliori finirebbero con l’allontanarsi dalla maggioranza degli istituti pubblici, abbassandone la qualità media e innescando, di conseguenza, una spirale negativa per la scuola pubblica.
Siamo sicuri che questa strada non sia già stata imboccata?