Massimiliano Pacini (1968), studioso e appassionato di materie storiche, archeologiche e filosofiche, ha rivolto negli ultimi anni i propri interessi all’ambito della storia del pensiero politico moderno e contemporaneo. L’attività di ricerca ha riguardato soprattutto la riscoperta del pensiero e delle opere di Domenico Settembrini, già suo professore presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Pisa nei primi anni 90, figura fondamentale per capire e interpretare gli eventi e le dinamiche che, nel corso del XX secolo, hanno portato al tramonto delle grandi ideologie. Di recente ha pubblicato il volume Alle radici dell'idea antiborghese. Il contributo di Domenico Settembrini alla soluzione dell'anomalia italiana (Tralerighe, Lucca 2025).
La vicenda intellettuale di Domenico Settembrini, ben conosciuto dagli specialisti del settore ma noto anche a platee più estese grazie alla lunga attività di pubblicista che ha accompagnato gli oltre trenta anni di insegnamento presso l’Università di Pisa, merita oggi di ritornare al centro del dibattito e del pensiero politico del nostro tempo. Nelle diverse attività che ne hanno caratterizzato il percorso di vita ha saputo mettere in campo una integrità morale unita ad un sano realismo politico, evidente, in primo luogo, nella necessità fisica che egli aveva di far capire al suo interlocutore la propria idea, così come nell’insegnamento quando la trasmissione del sapere avveniva con modalità che mettevano in primo piano la passione che egli aveva per quella che considerava una vera e propria missione. La notevole produzione letteraria di Settembrini ha attraversato le principali ideologie del Novecento indagandole dal punto di vista della teoria politica e filosofica, delle loro modalità di formazione e realizzazione storica nel tentativo di individuare una comune matrice riconducibile a forme di pensiero messianico e predittivo.
Nella Storia dell’idea antiborghese (Laterza, 1991) è possibile apprezzare il Settembrini storico di razza, profondo conoscitore della vicenda e dell’anomalia italiana, la cui causa principale viene individuata nell’avversione allo spirito della borghesia e ai valori che essa incarna (quindi non alla borghesia in quanto classe sociale) nelle diverse fasi della sua storia, dall’unificazione nazionale sino alla caduta del muro di Berlino. Questa dinamica darebbe conto del perché si sia interrotto, ad un certo punto, il processo naturale di evoluzione dello Stato liberale in senso democratico. Se ciò fosse invece avvenuto, avrebbe comportato una certa autonomia della sfera economica rispetto a quella politica, avrebbe inoltre ammesso una qualche forma di individualismo aperto ad una dimensione edonistica e materialistica, naturale aspirazione al miglioramento dell’uomo comune. In tal modo l’accresciuto benessere e la diffusa possibilità di modificare le sorti della propria condizione sociale sarebbero state le giuste premesse per una piena partecipazione alla vita anche politica delle masse, tipica di una democrazia moderna ed evoluta.
Se questo processo non ha potuto realizzarsi lo si deve ad una dinamica riconducibile al clima culturale della società italiana nel corso dell’Ottocento e del primo Novecento, quando l’idealismo dilagante nella classe dirigente, nelle élites intellettuali e persino nel ceto industriale di estrazione borghese avrebbe dato vita ad un indottrinamento delle masse spinte ad aspirare a valori distanti dal materialismo come la patria, l’ordine e la grandezza militare e coloniale della nazione. Già il Risorgimento, al contrario di altre rivoluzioni nazionali e processi di indipendenza del Vecchio Continente, non può essere considerato un fenomeno ispirato a valori e principi borghesi quanto piuttosto l’espressione di una convergenza di interessi e vedute tra la Corona, i comandi militari e le consorterie regionali preunitarie dove le minoranze di orientamenti liberali, pur presenti, si limitavano a un liberalismo costituzionale di stampo aristocratico.
Il processo di industrializzazione, avviato tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, ha seguito un percorso ben preciso guidato da una classe imprenditoriale la quale, anziché rispecchiare gli ideali di una moderna borghesia mercantile europea, incarnava i valori della tradizione, del paternalismo, della necessità ineludibile di educare le masse, inevitabile lascito della propria origine terriera e latifondista legata alla cultura aristocratica ottocentesca. Inoltre i contratti, gli affari e i mercati di sbocco delle imprese italiane non erano garantite dalle leggi della domanda e dell’offerta ma dalle commesse dello Stato post-unitario nella fase di costruzione del proprio apparato amministrativo, economico ed infrastrutturale e pertanto non potevano che rispecchiarne i valori.
All’inizio del XX secolo, quando l’idealismo dilagante arrivò a permeare diversi ambiti della società civile, culturale ed economica del paese il banco di prova che avrebbe fatto convergere le varie ideologie apodittiche e le forme di sapere messianico fu rappresentato al meglio dal dibattito sull’interventismo. In esso confluirono, aldilà dell’appartenenza politica, le varie anime avverse allo spirito borghese nelle quali prevaleva un certo disprezzo dell’uomo comune unito alla necessità di impedirgli di percorrere la via delle acquisizioni materiali e del benessere economico.
L’idea antiborghese continuerà a caratterizzare la storia italiana anche nel ventennio fascista sotto la forma di una visione organica della società e di una condanna dell’individualismo edonistico. Si concretizzerà in un controllo dello Stato sulla politica ma anche sull’economia e sul mercato, per cui Settembrini arriva a definire il fascismo una «controrivoluzione imperfetta», proprio in quanto forma di avversione allo spirito che una moderna borghesia dovrebbe incarnare. Quando propone una visione corporativa della società e del lavoro volta ad annullare i conflitti di classe, quando antepone l’ideale della patria, della nazione e dell’impero al benessere e all’ascesa sociale del singolo individuo, o infine, quando svuota di senso le istituzioni dello Stato liberale e democratico come il parlamento, le opposizioni e i partiti politici di massa, il regime intende manifestare la propria avversione non tanto alla borghesia come classe sociale, la quale in larga parte aveva aderito al nuovo corso, quanto alle idee e alle aspirazioni che questa aveva fatto proprie.
Ecco allora che il fascismo, piuttosto che essere interpretato come il risvolto politico e sociale dell’economia capitalista, viene analizzato e studiato come una forma particolare e certamente anomala di via italiana al bolscevismo. Solo il secondo dopoguerra vedrà affermarsi definitivamente tali ideali con la ricostruzione e gli anni del boom economico, ormai, però, completamente sviliti nella propria essenza da un secolo di avversità, tragedie e guerre ideologiche che dietro le promesse di una società più giusta hanno, in realtà, creato un ritardo nello sviluppo politico, economico e sociale di questo paese ancora oggi ampiamente evidente.
La straordinaria attualità del pensiero di Domenico Settembrini è sotto gli occhi di tutti: nell’era della democrazia di massa e della totale trasformazione delle modalità della comunicazione e del consenso la gran parte della classe politica è stata attraversata da un profondo mutamento caratterizzato da una graduale perdita di valori e di ideali e dall’avvento di nuove forme di atteggiamento per lo più informato ad una certa retorica. Ciononostante l’anima religiosa, la ricerca di assoluto e la necessità di andare oltre la dimensione laica e materiale dell’uomo comune, che possono essere identificate come le componenti essenziali di questo spirito descritto a fondo da Settembrini che ne ha voluto isolare le radici, le manifestazioni intellettuali e le degenerazioni politiche, ha continuato a pervadere, sino ad oggi, ampi settori della cultura e della società italiana.
Naturalmente sotto altre forme: il declino morale della classe dirigente, la cui azione appare ogni giorno meno ricca di contenuti e di aspirazioni ideali e sempre più orientata ad assecondare le masse con atteggiamenti e politiche demagogiche; il ruolo delle élites intellettuali del nostro tempo, sempre meno intenzionate a svolgere la loro fondamentale funzione di orientamento e guida nei confronti dell’uomo comune, impegnate come sono ad inseguire forme di consenso e di successo che l’epoca della globalizzazione ha, in qualche modo, reso prioritarie; le masse stesse, ormai travolte dalle diverse forme di populismo dilagante pronte a raccogliere e veicolare il malessere diffuso legato ad una sempre più precaria condizione economica, all’avvento di una società multirazziale e alle problematiche connesse al clima e al futuro prossimo. Come non riconoscere, allora, l’attualità delle idee e del pensiero di Domenico Settembrini?
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