Michele Ciccarelli, dopo gli studi di teologia alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (sez. S. Luigi) di Napoli, ha proseguito la sua formazione biblica a Roma, presso il Pontificio Istituto Biblico (1987-1991), e a Gerusalemme, presso l’Instituto Español Bíblico y Archeológico «Casa de Santiago» (1990) e presso l’École Biblique et Archéologique Française (1990; 2003-2004), dove ha conseguito il titolo di élève titulairedell’École Biblique. Addottorato al PIB sotto la direzione del prof. A. Vanhoye con una tesi sull’Epistola agli Ebrei, attualmente i suoi interessi spaziano dal Nuovo Testamento, in particolare l’Epistola agli Ebrei e le lettere di Paolo, agli scritti sub-apostolici e alla letteratura ellenistica giudaica e rabbinica. Attualmente insegna presso l’ISSR “SS. Apostoli Pietro e Paolo” di Capua. Tra le ultime pubblicazioni: "La novità della Nuova Alleanza nell’Epistola agli Ebrei, in «Ricerche Storico-bibliche» 1-2 (2024), 239-274 e The God of peace and his relationship with Christ and Christians in Heb 13,20-21, in J. Schembri (ed.), “Tu sei sacerdote in eterno”. Festschrift per Paolo Garuti, Marcianum Press, Roma 2025, pp. 142-156 (in corso di stampa).

Recensione a: G. Lubrino, Difendere la Fede: la teoria di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI. Una Risposta a Paolo Flores d’Arcais, Mimesis, Palermo 2025, pp. 126, € 12,00,

Affrontare in un breve scritto il tema della fede è sempre un compito spinoso perché mancano spesso le parole giuste; ma affrontare la fede in chiave apologetica è come partire già svantaggiati, poiché il lettore critico si pone, a sua volta, in maniera difensiva e pregiudiziale. Associare, poi, il concetto di difesa della fede con il nome di Joseph Ratzinger equivale pressappoco a spingersi, in ambito culturale o accademico, ad una sorta di suicidio intellettuale. È un dato ormai noto che un discorso sulla fede è oggi visto come un divertissement al di fuori di ogni contesto di riflessione seria sulla vita o sulle sorti del mondo. Spesso i dibattiti politico-culturali si impegnano in analisi sulle ingiustizie umane, sul problema dell’equità o sui diritti delle minoranze, sul clima di violenza crescente con protagonisti sempre più giovani, sui venti di guerra che spirano da oriente ad occidente, sul senso di solidarietà verso gli altri e sulle iniziative di pace. In questo contesto, anche l’intervento di singoli religiosi può essere utile a dare una testimonianza sul loro “fare” concreto a vantaggio del prossimo, ma senza bisogno che essi esprimano le motivazioni di fede che stanno alla base; del resto, questa fede, facendo parte di una dimensione privata, intima, è considerata priva di vero interesse pubblico.

Nell’epoca dei nipoti di coloro che hanno da tempo decretato la “morte di Dio” sembra ormai un’attività oziosa interrogarsi ancora sul “morto”, sebbene qualche volta ci sia qualcuno che lo fa “risuscitare” attraverso articoli e saggi, ma solo per mettere in guardia come il solo evocarlo sia pericoloso per il mantenimento di un sistema democratico, soprattutto in un’epoca in cui domina la ragione e la tecnica. Questa è la missione quasi “apostolica” che Paolo Flores D’Arcais da anni conduce apertamente contro la Chiesa e contro il Cristianesimo. Per lui, infatti, la fede cristiana è un ostacolo sia per la ragione che per la vita democratica di un Paese; per cui, ogni collaborazione tra credenti e non credenti è improduttiva. Secondo questo intellettuale, fondatore della rivista MicroMega, la fede è per sua natura dispotica e, quindi, non può avere diritto di cittadinanza in un contesto democratico; è dogmatica e, quindi, non ha senso introdurre in un dibattito culturale il suo patrimonio morale, per contribuire a migliorare il mondo contemporaneo. Per questo, qualche anno fa, egli ha scritto un testo dal titolo Contro Habermas, in cui criticava il filosofo tedesco per non essere abbastanza illuminista da escludere ogni tipo contributo morale che la prospettiva di fede potrebbe dare alla costruzione della società, rinunciando, in questo modo, all’affermazione di una “democrazia radicale”, qualsiasi cosa tale espressione possa significare.

L’attacco di Flores D’Arcais venne soprattutto dopo che, a Monaco di Baviera, nel 2004, il filosofo tedesco J. Habermas ebbe un famoso confronto pubblico con l’allora cardinale Ratzinger, da cui uscì un volume intitolato Ragione e fede in dialogo, in cui si riconosceva apertamente il valore del Cristianesimo nella formazione dell’identità occidentale e si suggeriva come ragione e fede potessero dare luogo a processi di “reciproco apprendimento”, al fine di migliorare l’umanità. Per Flores D’Arcais, evidentemente, era troppo: l’occidente, se voleva sopravvivere e avanzare doveva rompere tutti i legacci con la tradizione cristiana, poiché ipotizzare un fecondo dialogo tra fede e ragione, tra principi cristiani e prospettive meramente razionali sarebbe stato semplicemente inutile, se non dannoso. Perciò, egli si occupa anche di Ratzinger, scrivendo nel 2023 un libro, edito da Mimesis, dal titolo abbastanza significativo: La fede e l’anatema. La crociata oscurantista di Joseph Ratzinger contro la modernità, in cui accusa papa Ratzinger di diverse colpe, come quella di non aver interpretato bene o avere semplicemente tradito il Concilio Vaticano II, di aver mancato di coerenza e perfino di avere avuto reticenze circa gli abusi sui minori.

Ultimamente, il saggio di Giuseppe Lubrino, Difendere la Fede: la teoria di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI. Una Risposta a Paolo Flores d’Arcais, si prefigge di spiegare l’infondatezza delle accuse di Flores D’Arcais, ma forse, a mio parere parte da un presupposto troppo ottimista: ipotizza che Flores D’Arcais “estremizzi” il pensiero di Ratzinger e non colga la “profondità e la complessità” della sua teologia (p. 15). In realtà, a me sembra che Flores D’Arcais si sia mosso e si muova su un altro piano, cioè quello di un anticlericalismo ottocentesco che vede nei rappresentanti di ogni religione, cioè di chiunque abbia come riferimento ultimo la trascendenza, un potenziale pericolo per una visione scientista e materialista di un mondo già largamente secolarizzato. Il saggio di Lubrino, che già ha pubblicato all’inizio di quest’anno un altro testo su Ratzinger/Benedetto XVI (Giovani, fede e identità: un percorso di crescita con Benedetto XVI, La valle del tempo, Napoli 2025), cerca di mettere in luce la ricchezza teologica di Ratzinger e il suo sforzo di contribuire alla crescita dell’umanità, alla tolleranza fra gli uomini e al dialogo tra le religioni. Ma è forse uno sforzo inutile, poiché Flores D’Arcais non vede la suggestione dell’ipotesi di Dio a livello di ragione, ma la interpreta come un tentativo di “imporre Dio” a tutti. Mentre Ratzinger si pone su un livello di riflessione filosofica e di sfida del pensiero, Flores D’Arcais, invece, vede tutto in termini di rapporti di potere, perché per lui la religione, contraria alla libertà e all’uguaglianza, è un potere che sottomette le coscienze e umilia la ragione.

Il punto centrale è quello che Lubrino affronta al capitolo 3 del suo libro: tra Ratzinger e Flores D’Arcais c’è una differenza radicale di visione antropologica. Ed è chiaro che tra una visione cristiana dell’uomo e l’antropologia materialista di Flores D’Arcais non ci può essere conciliazione. Per fortuna, dopo alcune citazioni di Paolo Flores D’Arcais e il tentativo di dimostrare l’inconsistenza delle accuse mosse contro Ratzinger – alcune perfino ridicole come quella di negazione della Shoah –, il lavoro di Lubrino si concentra sul pensiero teologico di Ratzinger, contenuto nei suoi studi e nelle sue encicliche, su temi importanti come la dignità dell’uomo, la democrazia, il dialogo con la contemporaneità, la salvaguardia della famiglia, il risanamento della frattura generazionale, la riscoperta dell’umanità, la difesa dell’ambiente e l’educazione alla fede.

Il maggiore merito di questo ultimo saggio di Giuseppe Lubrino, al netto dello stile un po’ troppo didattico e di qualche concetto non sufficientemente esplicitato, è quello di aver portato alla conoscenza dei lettori, soprattutto di quelli non esperti di teologia, la ricchezza del pensiero teologico di Joseph Ratzinger. La lucidità e la profondità del suo pensiero sono state spesso oggetto di incomprensioni e la sua stessa reputazione di teologo è stata penalizzata da pregiudizi ideologici, a causa, probabilmente, del ruolo istituzionale che egli ha assunto per molti anni, sia come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede sia, infine, come papa. In generale, né i cattolici né gli intellettuali sono riusciti a prendere in giusta considerazione il suo grande spessore di teologo e la sua visione della Chiesa che, ad uno sguardo più attento, appare tutt’altro che oscurantista. Denunciare in modo forte, come fa Ratzinger, il relativismo etico, affermando la fedeltà alla verità, non significa venire meno al dovere della charitas; e Lubrino sottolinea come per Ratzinger sia necessario saper coniugare l’amore con la verità: charitas in veritate (pp. 76-78), ma anche imparare ad amare, per evitare le “patologie esistenziali” che caratterizzano il nostro tempo (p. 109). Per Paolo Flores D’Arcais, invece, le cose sono molto più semplici: il relativismo etico, connesso al relativismo gnoseologico, cioè l’assolutizzazione del soggetto nel scegliere la propria verità e perseguire un determinato bene, danno uno spazio di manovra infinitamente più ampio.

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