Enrico Orsenigo (1992), psicologo iscritto all’Ordine degli Psicologi del Veneto, è Ph.D. Student in Learning Sciences and Digital Technologies all'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Nei suoi articoli si occupa di psicologia clinica, psicologia dello sviluppo, psichiatria fenomenologica e filosofia della tecnica.

Recensione a
E. Borgna, Tenerezza
Einaudi, Torino 2022, pp. 112, € 12,00.

L’ultimo libro di Eugenio Borgna, Tenerezza, uscito il 14 giugno 2022 per Einaudi editore, riprende i temi centrali relativi alle fragili emozioni e ai fragili sentimenti, troppo spesso non considerati e non ascoltati nella loro iridescente espressione. Nel testo, in particolare, l’Autore concentra nuovamente l’attenzione sull’emozione evanescente, la tenerezza, che garantisce all’’uomo il riconoscimento in se stesso, e dell’altro, senza oggettivazione e oggettificazione, in una geometria diversa, di volti e afflati. Questa nuova opera dello psichiatra continua il discorso iniziato in altre opere dello stesso, queste le più recenti: Speranza e disperazione (2020), Le passioni fragili (2017), L’ascolto gentile. Racconti clinici (2017), L’indicibile tenerezza. In cammino con Simone Weil (2016)

Borgna ha in mente un certo tipo di incontro con il paziente, dove la stretta di mano, una lacrima, un certo modo di sistemarsi i capelli, entrano di diritto nel cuore dell’incontro di cura, lo formano in tutte le deviazioni e in tutte le sfumature che vanno di pari passo al sentire la sofferenza, nell’attesa e nella speranza. Brevi presenze di movimenti, talora capaci di fare breccia nell’animo dello psichiatra, dello psicologo, destinate all’oblio, ad una ri-emersione futura, come lampo: un disancorarsi dalle profondità della penombra, per utilizzare il lessico di Lalla Romano, con Proust.

È anche grazie all’attenzione che Borgna, da professionista, ha sempre riposto nei confronti di queste emozioni e sentimenti fragili – tenerezza, sconforto, malinconia, nostalgia, serenità – se la rivoluzione psichiatrica degli anni Settanta ha avuto un tale impatto nel nostro paese (e non solo, visto che la psichiatria e la psicologia italiana, in quegli anni, venivano osservate e studiate anche fuori dai confini europei). L’Autore, sin da quando dirigeva l’Ospedale Psichiatrico di Novara, ha una idea precisa di cura, in linea con la psichiatria fenomenologica tedesca, rispettosa della fondazione emozionale e morale di ogni paziente, una cura di parola e di silenzio. Per sviluppare un simile programma terapeutico, dove terapia psicologica, farmacoterapia, socioterapia, arteterapia coesistono ed eclissano quando necessario, Borgna chiama all’appello discipline oltre lo steccato psicologico: antropologia, poesia, mistica. Anche in questo nuovo libro si intuisce quanto le opere dei grandi poeti come Leopardi, Holderlin, Trakl, Montale hanno contribuito e hanno dato estensioni sempre innovative al lavoro dell’Autore; quanto le opere dei grandi mistici come Santa Teresa d’Avila o Sant’Agostino hanno fornito nuove visioni e nuove visuali rispetto al tema del tempo e dello spazio, temi cardine di una certa psichiatria e di una certa psicologia, attente non solo alle liste sintomatologiche e descrittive ma anche e soprattutto attente alla comprensione dei vissuti.

Sempre a partire dall’esperienza all’Ospedale Psichiatrico di Novara, inizia la riflessione del rapporto tra tenerezza e amicizia: sulla scia del pensiero di Simone Weil, a cui Borgna dedicherà nel 2016 il testo L’indicibile tenerezza. Simone Weil considera l’amicizia un miracolo; nei manicomi di psichiatria ieri, nei reparti di psichiatria oggi, accadeva e accade che il desiderio del paziente sia di incontrare l’amica, l’amico, anch’egli ricoverato. Nello strazio, nella sofferenza e nell’abitare un mondo altro, trittico che fa da sottofondo di molti pazienti ricoverati, lo sguardo dell’amico può aiutare, sì, anche in questi luoghi, a ritrovare il senso della speranza contro ogni speranza, ritrovare il potere dell’attesa non come obliazione di ciò che è stato ma come possibilità di ciò che non è ancora, propulsione all’avvenire.

In quest’opera non c’è, naturalmente, elogio della sofferenza e della disperazione (è una critica che negli anni è stata sollevata verso la psichiatria fenomenologica e nello specifico verso il pensiero di Barison, Callieri, Borgna). In quest’opera, come in altre dell’Autore, c’è piuttosto la ricerca del senso del dolore e delle possibilità di trasformazione di questo grazie anche alla tenerezza, sentimento che talvolta dischiude ulteriori comprensioni, ulteriori interpretazioni nelle esperienze solcate dal trauma. Ritornano alla mente le parole di Nietzsche ne La gaia scienza, dove il tema del dolore viene approfondito nelle più svariate visuali, sino alla conclusione: il dolore ci consente di giungere alla comprensione dei modi di vivere e di morire, è un terreno di incontro con gli altri. Ecco le parole che Borgna definisce singhiozzanti e arcane: «non siamo ranocchi pensanti, apparecchi per obiettivare e registrare, dai visceri congelati, – noi dobbiamo generare costantemente i nostri pensieri dal nostro dolore» e con senso materno, con grande attenzione dargli «tutto quel che abbiamo in noi di sangue, cuore, fuoco, appetiti, passione, tormento, coscienza, destino, fatalità»; Nietzsche conclude il passo de La gaia scienza sostenendo la necessità di trasformare costantemente in luce e fiamma quel che siamo e quel che ci riguarda. Dolore e tenerezza si incontrano in queste parole e vengono riprese da Borgna per il loro valore terapeutico, per la capacità di estendere il senso dell’incontro di cura. Sempre Nietzsche, vive il dolore, quello grande e lento, come momento in cui l’uomo brucia «come con legna verde», che scava nel profondo – e la verticale in discesa, oltre a richiedere sonde ermeneutiche, talora richiede la presenza di qualcuno, con la sua presenza gentile e tenera, capace di silenzio e di pudore, arcipelaghi delle emozioni troppo spesso subordinati alla ragione calcolante.

Questo sentimento – la tenerezza – come è già stato detto, nutre e si accosta all’amicizia, alla gentilezza e alla rispettosità; nondimeno necessita dell’attenzione, che è una categoria di radicale importanza ermeneutica: Cristina Campo definisce l’attenzione il solo cammino verso l’inesprimibile: la sola strada al mistero. Parole ricche di senso e di indicibile tenerezza sono quelle di Etty Hillesum, nelle lettere scritte nel campo di concentramento di Westerbork; queste sono lettere dove l’attesa nutre la speranza e la speranza dischiude nuove possibilità di senso e di azione. È la petite fille espérance di Charles Peguy. Hillesum, da Westerbork, scrive:

la miseria che c’è qui è veramente terribile – eppure, la sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore si innalza una voce – non ci posso fare niente, è così, è di una forza elementare –, e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un frammento di amore e di bontà che bisognerà conquistare in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere.

Nella relazione terapeutica la tenerezza non ha solo il compito di comprendere l’incomprensibile, di accostarsi all’irrimediabile, di sostenere l’insostenibile con uno sguardo e un cenno di accoglienza nei confronti di una lacrima, di una sventura. La tenerezza, in questa relazione, forzerà il saturo, si farà largo nella disperazione, assumerà la configurazione topologica di un tokonoma: diventerà il luogo interiore del poter-essere altrimenti, una luce soffusa capace di donare sollievo, una presenza anche durante le notti dell’anima.

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