Samuele Ganzini (2001) è laureato triennale in Scienze politiche e Relazioni internazionali presso l’Università degli Studi di Trieste e studente magistrale iscritto al primo anno del corso di laurea in Investigazione, Criminalità e Sicurezza Internazionale presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma - UNINT.
Recensione a: T. Piffer, Sangue sulla Resistenza. Storia dell’eccidio di Porzûs, Mondadori, Milano 2025, pp. 264, € 23,00.
Il 7 febbraio 2025, in occasione dell’ottantesimo anniversario dell’eccidio delle Malghe di Porzus, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per onorare la memoria di coloro che combatterono e morirono in quella tragica vicenda, ha inviato il seguente messaggio alla Associazione Partigiani Osoppo – Friuli:
La democrazia non ha timori nel confrontarsi con la propria storia. Ricordare è un atto di giustizia e di verità: di questo anzitutto si nutre il desiderio di libertà. Quell’eccidio ci appare oggi ancor più feroce e insensato di quanto già allora non si mostrasse. Rigidità ideologica e cecità politica si mescolarono con i disegni di rivendicazioni territoriali di un nascente regime nei confronti dell’Italia.
Nei giorni seguenti è stata pubblicato il volume Sangue sulla Resistenza. Storia dell’eccidio di Porzûs, con cui Tommaso Piffer, professore associato di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Udine, riporta agli occhi dell’opinione pubblica questo evento unico nella storia della Resistenza italiana attraverso fonti inedite ottenute grazie a un innovativo approccio di ricerca archivistica internazionale. La metodologia di ricerca applicata dall’Autore consiste in una raccolta e analisi di fonti sia italiane che slovene. Ciò permette di allargare la prospettiva sugli eventi leggendo la loro evoluzione e degenerazione attraverso una lente più ampia che evidenzia per ogni schieramento in campo gli interessi strategici, i posizionamenti politici e militari, gli ordini impartiti e le azioni commesse. Il superamento del confine nazionale per la raccolta delle fonti rappresenta il grande valore aggiunto portato da Piffer. Ciò permette all’opera di presentare la storia dell’eccidio come il prodotto di fattori, soggettivi e oggettivi, sia italiani che sloveni.
Tra questi fattori troviamo le testimonianze di civili, partigiani, militari e politici che hanno preso parte agli avvenimenti, direttamente o indirettamente, e la documentazione redatta durante lo svolgimento degli eventi dagli organi politici e militari dei diversi schieramenti. Il prodotto di questi due fattori è una narrazione di inedita completezza, sintesi delle percezioni di tutti gli attori in campo su quel confine che successivamente sarà parte integrante di quella che è passata alla storia come “Cortina di ferro”.
Per capire l’eccidio del febbraio 1945 Piffer parte dall’analisi degli attori presenti già dal marzo 1943, periodo in cui, prima dell’armistizio dell’8 settembre di quello stesso anno, erano sorti in Friuli Venezia Giulia i primi gruppi di resistenza al nazifascismo. I principali schieramenti sono: le formazioni partigiane “Garibaldi”, le prime a strutturarsi sul territorio, legate al Partito comunista italiano da cui successivamente si formeranno i Gruppi di Azione Patriottica, loro braccio armato operativo. Al comando della formazione c’erano Giovanni Padoan, in qualità di commissario politico, e Mario Fantini, in qualità di comandante operativo. Mentre a guidare il gruppo dei cento gappisti che commise l’eccidio c’era Mario Toffanin.
Seconda forza in campo sono le formazioni partigiane italiane “Osoppo”, note anche come “Badogliane”, di ispirazione liberale, cattolica e azionista, nate per cooperare in autonomia con le formazioni garibaldine contro l’occupante nazifascista. Sottoposte alla direzione politica del CLN, queste erano comandate dal capitano Francesco De Gregori (zio dei fratelli cantautori Francesco e Luigi De Gregori) mentre il delegato politico era Gastone Valente. Oltre le Alpi Giulie era presente il movimento di liberazione sloveno, formazione partigiana antifascista e comunista sottoposta al IX Corpo dell’esercito di liberazione jugoslavo guidato dal Maresciallo Tito e coadiuvato dall’OZNA, dipartimento dei servizi segreti militari jugoslavi. Nemico comune è l’esercito nazista che con l’Operazione Nubifragio aveva rapidamente occupato il territorio (rientrante nella Zona d’Operazioni del Litorale Adriatico) dopo l’armistizio del settembre 1943. Al suo fianco si erano schierati i fascisti della neonata Repubblica di Salò, organizzati in vari reparti preposti ad operazioni di controguerriglia e ordine pubblico, fra cui la Milizia per la Difesa Territoriale, la Polizia di Pubblica Sicurezza, la Xª Flottiglia MAS e le Brigate Nere. Va menzionata infine la presenza dall’estate del 1944 del corpo d’armata Kozakken Korps che, in accordo con la Germania, prese parte all’Operazione Ataman combattendo al fianco dell’Asse in cambio della promessa della cessione della Carnia alla popolazione cosacca perseguitata in Unione Sovietica.
La storia dell’eccidio di Porzus è la storia del più grave scontro interno alla Resistenza italiana. Un evento che macchia ancora oggi la storia della Resistenza, scaturito da due formazioni alleate nella lotta al nazifascismo. L’eccidio rappresenta il culmine dello scontro fra gli attori in campo, prima politico e poi militare, per la definizione del confine. Evento cruciale che fece da spartiacque nello svolgimento dei fatti fu la pretesa, mossa dal movimento di liberazione jugoslavo verso le formazioni partigiane italiane, di sottostare alle loro direttive. Da un lato, le formazioni garibaldine aderirono a questa richiesta. Erano formazioni che sostenevano sia le rivendicazioni ideologiche comuniste per l’espansione della Rivoluzione verso Occidente sia le rivendicazioni territoriali della Jugoslavia socialista per un superamento dei confini definiti nel 1920 col Trattato di Rapallo. Dall’altro lato, le formazioni osovane si opponevano a tutto ciò in nome di un’unità territoriale, nazionale e politica, consce che la suddetta pretesa servisse solo ad allontanare le forze italiane dal territorio della Slavia Friulana (o Benecia) così da lasciare libero spazio di manovra e occupazione alle formazioni jugoslave miranti ad annetterlo allo stato comunista jusoslavo una volta finita la guerra.
A seguito del rifiuto di sottomissione, le formazioni osovane subirono una campagna propagandistica di delegittimazione volta a convincere le popolazioni locali della connivenza fra badogliani e occupanti nazifascisti. Le formazioni comuniste italiane e slovene si unirono in questa azione usando come pretesto dei presunti colloqui avvenuti tra la fine di dicembre del 1944 e l’inizio del 1945 fra esponenti della Decima Mas e i vertici politici della Osoppo. Questi incontri erano stati solo un tentativo, non riuscito, della formazione fascista di riciclarsi come difensori del confine, consci che la loro sconfitta era prossima. Questo pretesto, però, non può giustificare l’eccidio in quanto le fonti riportate dall’Autore mostrano come la decisione politica di eliminare l’ostacolo rappresentato dalle formazioni Osoppo era stata già presa nel novembre di quello stesso anno.
In tutta Italia la Resistenza è stata un’entità eterogenea, formata da elementi spesso in contrapposizione politica tra di loro. Questa contrapposizione è talvolta degenerata localmente in dissidi e contrasti violenti, ma nessuno della dimensione e gravità di quanto successo a Porzus. Questo perché sulla frontiera orientale del Friuli Venezia Giulia, tra la fine del 1944 e l’inizio del 1945, emersero le tre grandi fratture che hanno caratterizzato la storia del Novecento: la prima e più evidente è quella tra fascismo e antifascismo presente fin dagli albori del regime mussoliniano ed esplosa con l’armistizio dell’8 settembre 1943. Essa divise gli schieramenti belligeranti fra nazisti, fascisti repubblichini e cosacchi da un lato, partigiani italiani e sloveni, supportati dalle potenze alleate, dall’altro.
La seconda frattura fu quella nazionale che vide contrapporsi italiani e jugoslavi i cui interessi convergevano sì nella lotta al nazifascismo, ma divergevano sulla questione territoriale. Entrambi rivendicavano i territori di confine appartenenti alla Venezia Giulia e alla Benecia circoscritti entro un’area che va, procedendo da nord a sud, dalla Val Resia all’Istria, passando per le valli del Torre e del Natisone. Quest’area ha visto alternarsi nel corso dei secoli, tra guerre e invasioni, dominatori, popoli e culture differenti: l’Impero Romano, il Regno Longobardo, il Patriarcato di Aquileia, la Serenissima, l’Impero Austro Ungarico e il Regno d’Italia. Secoli di continue contaminazioni e convivenze portarono così alla creazione di un territorio etnicamente, linguisticamente e culturalmente eterogeneo. Su questa eterogeneità però l’ideologia nazionalista fascista aveva infiammato le divisioni, l’odio e i conflitti etnico-politici da cui scaturiranno, con lo stesso odio, le violenze perpetrate dagli jugoslavi nei confronti dei 350mila esuli dalmati e istriani nel secondo dopoguerra.
La terza frattura caratteristica del Novecento, che mostrerà tutta la sua drammaticità nell’eccidio di Porzus, fu quella ideologica tra comunisti e anticomunisti. Questa frattura, emersa con la Rivoluzione russa del 1917, mise in competizione il mondo intero e spaccò l’unità antifascista in Friuli Venezia Giulia portando allo scontro, politico prima e militare poi, tra le formazioni osovane e quelle garibaldine. Il Partito comunista italiano e il Partito comunista jugoslavo erano nati entrambi come sezioni di un’unica Internazionale comunista e i loro militanti avevano dato la vita per la rivoluzione, in particolare durante il dominio fascista. La differenza sta nel fatto che, mentre i comunisti sloveni, organizzati nel movimento di liberazione partigiano, vedevano coincidere gli interessi ideologici e nazionali, quelli italiani, nonostante la svolta di Salerno promossa da Togliatti, erano divisi fra il perseguimento dell’obiettivo rivoluzionario che stava avvenendo al di là dei confini nazionali e l’unità di intenti del Comitato di Liberazione Nazionale che lottava per la liberazione dell’intero territorio. A Porzus queste fratture costeranno la vita a 18 giovani e giovanissimi partigiani, la maggior parte dei quali ignari di tutte quelle spaccature politico-ideologiche che gravavano sulla zona. Fra questi, la fine più crudele spettò a Guidalberto Pasolini, fratello minore del noto intellettuale che, dopo un processo sommario a seguito della cattura alle malghe, fu portato nel luogo dell’esecuzione dove tentò, negli istanti precedenti alla sua fucilazione, una rocambolesca fuga lanciandosi da un dirupo. Gravemente ferito, fu catturato a pochi chilometri di distanza e, a soli 19 anni, brutalmente massacrato. Il suo cadavere fu trovato e riesumato solo a giugno nel Bosco Romagno, vicino Cividale del Friuli, con il cranio sfondato.