Enrico Orsenigo (1992), psicologo iscritto all’Ordine degli Psicologi del Veneto, è Ph.D. Student in Learning Sciences and Digital Technologies all'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Nei suoi articoli si occupa di psicologia clinica, psicologia dello sviluppo, psichiatria fenomenologica e filosofia della tecnica.

Recensione a: B.-C. Han, Perché oggi non è possibile una rivoluzione, nottetempo, Milano 2022, pp. 192, € 18,00.

Gli attenti lettori di Byung-Chul Han avevano già intuito il pensiero dello stesso a proposito di rivoluzione. Nei suoi libri precedenti lasciava intuire la sua posizione a riguardo. Nondimeno, l’Autore ha abituato i lettori ad una certa espressività provocatoria, che non toglie peso alla verità che vuole trasmettere, anzi, tale espressività funge anche da indicatore di possibilità da immaginare e di traiettorie da frequentare. Anche in questo nuovo saggio, dal titolo Perché oggi non è possibile una rivoluzione, edito l’11 ottobre 2022 da nottetempo, Han punta il mirino verso le società d’Occidente per studiarne una certa morfologia dell’incapacità e dell’impotenza in materia d’azione collettiva.

Prima di proseguire, è necessaria una precisazione: quando Han analizza le società d’Occidente, naturalmente non pensa solo all’Europa e agli Stati Uniti, ma ha in mente tutte quelle società le cui popolazioni aderiscono, consapevolmente e inconsapevolmente, a un principio di realtà governato da neoliberismo e disposizione tecnica dell’ambiente, per cui in tale lista geografica (ormai vertiginosa) sono presenti anche alcuni paesi del Sud-Est asiatico, dell’Asia Centrale e dell’Africa centro-occidentale.

L’Autore fa uso, sin dalle prime pagine, del ‘secondo’ e dell’ultimo Sigmund Freud, quello della pulsione di morte in Al di là del principio del piacere e quello de Il disagio nella civiltà (breve precisazione rispetto alla seconda opera freudiana qui citata: il traduttore, Simone Aglan-Buttazzi, ha correttamente utilizzato il titolo dell’edizione Einaudi, che presenta la parola nella invece dell’edizione Boringhieri che utilizza la parola della ma che risulta non coerente con l’edizione originale e con il significato dato da Freud).

Afferma Han che la proliferazione di soggetti sottomessi, esausti, depressi e isolati, rende impossibile la formazione di una massa capace di azioni concertate per sviluppare una rivoluzione duratura. Di più: tali soggetti troppo spesso non sanno nemmeno di essere sottomessi, e nei casi più gravi rifiutano di prendere coscienza della loro condizione di isolamento, arrancando attraverso formazioni sostitutive. Le nuove forme di potere e dominio, dalla natura ‘smart’, garantiscono un certo grado di neutralizzazione delle resistenze e sono una maniera efficace per mantenere la circolazione della condizione di burnout psichico. L’astuzia del capitalismo, che organizza nella maniera suddetta le maglie in cui circola il potere (qui l’Autore sembra accostarsi alla microfisica del potere di Foucault), è quella di convertire le forze distruttrici in forze di crescita. Una operazione di mascheramento del negativo che canalizza la pulsione di morte e la nomina a forza trainante dello stesso capitalismo. Ma tale forza, indispensabile negli organismi viventi, qui agisce come coazione a crescere, negazione della morte, moltiplicazione del capitale. Scrive Han:

Il capitalismo è ossessionato dalla morte. A spingerlo innanzi è la paura inconscia della morte. La sua coazione ad accumulare e ad accrescere è stimolata dalla minaccia della morte e provoca non solo catastrofi ecologiche, ma anche mentali. La distruttività della coazione a performare fa coincidere autoaffermazione e autodistruzione.

Essendo il capitalismo ossessionato dalla morte, la scongiura attraverso ogni teoria e ogni operatività. Per questo, osserva l’Autore, nell’epoca neoliberista si sviluppano panottici digitali che vanno disponendosi tra le maglie delle istituzioni e delle abitazioni dei soggetti in un modo diverso dal panottico originale di Jeremy Bentham. Quelli del terzo decennio del XXI secolo sono panottici spaventosamente efficienti nell’esercizio di potere sull’esteriorità e sull’interiorità della persona, nei movimenti e nei desideri.

In questo nuovo saggio l’Autore riprende alcuni concetti del suo celebre La società della stanchezza, dimostrando ancora una volta la presa di distanza da parte delle società d’Occidente dal paradigma immunologico scaturito dalla negatività del nemico. È la globalizzazione stessa ad abbattere ogni soglia immunologica allo scopo di consentire una circolazione massima del capitale: in ogni ambito della vita si esprime una promiscuità e una permissività generalizzata – «sovrapprestazione, sovraproduzione e sovracomunicazione». Alcuni concetti chiave vengono ripresi anche da Il profumo del tempo, opera che rimane centrale per comprendere l’erosione del senso del tempo e la necessità di rafforzare l’elemento contemplativo. Come osserva l’Autore, la velocità dei processori può aumentare a volontà, poiché essi non lavorano in chiave narrativa bensì in chiave additiva. A macchia di leopardo, si assiste alla scomparsa di riti e cerimonie perché rallentano la circolazione dei flussi automatizzati d’informazione. Oggi esperire la durata è pressoché impossibile. Il venire meno della durata viene spesso associato all’accelerazione generalizzata, anche se sarebbe più corretto dire che tale fenomeno ha come innesco l’erosione del senso: è quest’ultimo a creare la durata, mentre il suo negativo contribuisce alla perdita di orbite narrative e alla mancanza di tregua comunicativa. In questo senso si può affermare che un numero rilevante di psicopatologie odierne e condizioni di sofferenza mentale, come il burnout, sono prima di tutto malattie della prestazione.

Tre interviste chiudono il nuovo libro di Han. La prima, una conversazione con Ronald Düker e Wolfram Eilenberger, dove si affronta il tema dell’eros come propulsione verso un nuovo modo di pensare – Heidegger parla del colpo d’ala dell’eros che porta il pensiero verso terre inesplorate. Non solo: in questa prima intervista emerge la necessità di riportare la dimensione contemplativa nel quotidiano della vita, così come indicato da Aristotele. L’inferno dell’Eguale ha fatto breccia anche nelle scienze umane, e serve davvero un colpo d’ala dell’eros. La seconda intervista, una conversazione con Thomas Ostermeier e Florian Borchmeyer, nella quale viene sottolineata la profonda operatività della pulsione di morte nelle società capitaliste. I flussi che costituiscono tali società non lasciano spazio alcuno alla tensione narrativa (che genera sentimenti) ma solo alla tensione additiva, che positivizza le costellazioni emotive e morali: scompare la trama, la narrazione e il dramma, nulla fa più resistenza e tutto si configura alla maniera dell’eccitazione priva di conseguenze. Le modalità produttive neoliberiste agiscono «nel nome della massimizzazione delle opzioni e degli impulsi». La terza e ultima intervista, una conversazione con Niels Boeing e Andreas Lebert, a proposito di arte e rivoluzione (qui si fa riferimento a un libro che Han stava scrivendo all’epoca dell’intervista: La salvezza del bello, edito da nottetempo nel febbraio 2019). Qui Han racconta il suo modo di procedere per raccogliere dei significati attorno al concetto del Bello. Egli percepisce dei nessi tra cose, fenomeni e situazioni diverse che accadono oggi e li fa interagire. Individua nelle qualità della levigatezza e della traslucidità i punti deboli che non consentono al Bello di emergere e propagarsi; prende come riferimento le opere di Jeff Koons e il cellulare G Flex della LG: il primo, crea opere prive di lesioni e di spaccature, prive di spigoli e lisce; esempio principale di arte che non sa più ferire, un’arte della compiacenza. Per quanto riguarda il cellulare della LG, invece, esso detiene una capacità inedita: è dotato di un rivestimento che in caso di graffi sa rimodellarsi per farli scomparire, come una pelle che guarisce in autonomia ma senza lasciare cicatrici, tracce di un tempo che è stato.

La domanda sorge spontanea: «Perché mai dovrebbero dare fastidio un paio di graffietti su un oggetto?». Ancora una volta, Han, attento osservatore delle evoluzioni sociali e delle sparizioni di interi mondi culturali, mette nero su bianco le constatazioni che pochi accettano di ascoltare. Nell’ultima intervista, in origine pubblicata su “Zeit Wissen” (n°5), Boeing e Lebert fanno notare ad Han che «la sua analisi non è particolarmente incoraggiante», e con coerenza Han risponde: «Mi spiace, ma i fatti sono questi».

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