Avvocato e dottore in Scienze storiche. Ha al suo attivo pubblicazioni sul federalismo (Le origini del federalismo: il Covenant, 1996; Il sacro contratto. Studio sulle origini del federalismo nordamericano, 1999). Ha inoltre pubblicato Sovranità. Teologia e sacro alle origini di una categoria politica (2015); Il regime alimentare dei monaci nell'alto medio evo (2017), Paura e Rivoluzione francese nell’opera di Guglielmo Ferrero (2021); Un nuovo romanticismo per il nuovo secolo (2024) . Inoltre ha curato la riedizione del volume di Guglielmo Ferrero Palingenesi di Roma antica (2019). E' autore di articoli e relatore in convegni di studio.
Recensione a: Maurice Hauriou, La personalità giuridica, Quodlibet, Macerata 2022, pp. 156, € 16,00.
Maurice Hauriou (1856-1929), figura originalissima di giuspubblicista e pensatore giuridico francese, è solitamente accomunato al nostro Santi Romano come uno dei massimi esponenti dell’istituzionalismo e pluralismo giuridico. La sua opera più nota, La teoria dell’istituzione e della fondazione (Saggio di vitalismo sociale), più volte tradotta in Italia, regge il confronto con L’ordinamento giuridico di Romano e anzi i due testi, pur nelle loro non trascurabili differenziazioni, per certi versi si sorreggono l’un l’altro. Molto meno noti (almeno in Italia) sono invece quattro lavori di Hauriou dedicati al tema della personalità giuridica in un arco temporale che va dal 1898 al 1923. Ed è un peccato perché questi lavori aprono squarci affascinanti sul pensiero di Hauriou e contribuiscono ad approfondire alcuni passaggi salienti dell’elaborazione storica dell’istituzionalismo. Ma possiedono anche una intatta freschezza e stimolano il lettore d’oggi a interrogarsi su nessi non banali (ed anzi sorprendenti) tra teoria giuridica e filosofia scolastica.
Meritoriamente Andrea Salvatore propone con l’editore Quodlibet la prima traduzione italiana di tre dei quattro lavori di Hauriou (Il fondamento della persona morale, del 1899; La personalità giuridica, del 1910; La libertà politica e la personalità morale dello Stato, del 1923)
Non risulta agevole proporre una introduzione alla lettura dei tre saggi: densissimi, di irta lettura, oscuri in alcuni passaggi, contraddittori in altri, simili a un cantiere aperto (come avverte il curatore), colmi di terminologie ondivaghe tra uno scritto e l’altro (il concetto di “persona morale” sfuggente e oscillante, a seconda dei saggi, tra l’individualità oggettiva e la persona giuridica). Eppure una lettura nutriente, una fatica ripagante. E persino lo stile, prima facie involuto e sibillino, una volta che ci si sia ambientati nei meandri dei ragionamenti dell’Autore, acquista una sua fascinosa bellezza. Al termine della fatica si apprezza quel fil rouge che nonostante le marcate diversità unisce i tre saggi. Questo fil rouge è la metafora della persona giuridica come maschera. E da qui partiamo per questa breve esposizione.
La persona giuridica, proprio come la maschera fissa applicata al volto dell’individuo o di un corpo sociale o comunità assolve a una funzione fondamentale: la staticità. Hauriou brilla per l’uso disinvolto di termini che a volte si prestano a equivoci, come in questo caso. Infatti la staticità va intesa non come immobilismo bensì quale situazione stabile e ordinata – e precipuamente giuridica – contrapposta (o sovrapposta) all’anarchia naturale e originaria degli individui (siano essi i singoli uomini o i corpi sociali). Gli individui nelle loro volizioni, alterazioni, passioni, contraddizioni, vivono nel permanente cangiamento, cioè si collocano in un mondo effimero e altro rispetto alla staticità o stabilità dell’ordine. Hauriou aveva ben presenti le acquisizioni scientifiche della più recente biologia e psicologia sperimentale, oltre che della fisica: l’essere umano, inteso come individualità, è davvero persona, la maschera che gli attori cambiano a seconda della contingenza o del ruolo, ma anche il prosopon (πρόσωπον) della cultura greca, cioè un soggetto che interpreta di continuo nuovi e diversificati ruoli. Un tale soggetto si rivela refrattario al principium individuationis e al corollario di rassicurante ordine e stabilità (o staticità) che ne consegue. La psicologia sperimentale dell’epoca dimostrava scientificamente la fluidità della psiche individuale e il “traffico” di pensieri e impressioni che di continuo plasmavano e riplasmavano la personalità; la biologia d’altro canto compiva una operazione analoga nella materialità di un corpo le cui cellule nascevano, si trasformavano e morivano in ogni istante della vita dell’organismo: cronica ma naturale instabilità dell’individuo estrinseco. E non solo il corpo umano. Anche i corpi sociali non sono mai uguali a se stessi nel flusso della vita. La nazione, per esempio, come il singolo individuo muta umore, carattere, volontà a seconda dei tempi e delle contingenze. Come si potrebbe dunque collegare la certezza e stabilità dell’ordine giuridico a soggetti così effimeri e cangianti? Un individuo dormiente non possiede per se stesso la capacità di mantenersi parte di negozi giuridici e men che meno di concluderli o adempierli. La finzione della persona giuridica rende possibile all’individuo di conservare in ogni istante mutevole dell’esistenza (e anche oltre l’esistenza: disposizioni testamentarie) la soggettività e capacità giuridiche: essa si fa sostanza dell’individuo, si mantiene sempre uguale a se stessa a prescindere dalle azioni o vicende o trasformazioni dell’individuo ospite. Lapidaria e giustamente celebre la metafora preferita da Hauriou: «sul volto volitivo dell’uomo come individuo il diritto ha applicato una maschera fissa» (p. 93): la persona giuridica, appunto. Essa assicura «la continuità e identità dei rapporti di diritto» al di sopra della realtà cangiante delle azioni umane» (p. 38).
Se dunque l’individualità fisica e dei corpi sociali non ha un fondamento ontologico perché scomposta in individualità atomiche (e oggi, sappiamo, anche sub-atomiche) ciascuna delle quali autonoma e ulteriormente divisibile, ne consegue che ogni soggetto è frutto di mera convenzione. Solo per convenzione si decide di interrompere a un certo livello il flusso originario per delimitare, ad esempio, ciò che chiamiamo “individuo” o “comunità” o “nazione” o “umanità”. Si tratta di mere partizioni prive di una loro natura ontologica. Ma allora dove va a finire la stabilità della maschera/personalità giuridica? Qui interviene l’Hauriou cattolico e tomista, con le sue inattuali (per la Francia dell’epoca) convinzioni filosofiche. Un innesto originale e affascinante di san Tommaso d’Aquino e di Severino Boezio sulla tematica della personalità giuridica stupirebbe presso altri giuristi più ordinari ma non presso un poliedrico giurista dall’eclettica ma profonda cultura filosofica quale Hauriou. Nel saggio del 1899 egli accetta con convincente chiarezza il concetto di una individualità frantumabile potenzialmente all’infinito in sottoindividualità, ma al contempo riafferma l’unanimità dell’omogeneo: la persona (morale; nel 1910 scriverà: giuridica) non si riduce a una coesistenza caotica di sottopartizioni ma è capace di organizzarsi in «una unanimità rappresentativa», così come la personalità individuale – insegnava la scienza psicologica del tempo – emerge quale prevalenza di uno schema mentale sugli altri o da una sintesi degli schemi. Orbene, proprio questa unanimità rappresentativa si traduce nell’universo giuridico in capacità di acquisire beni e intessere rapporti giuridici, cioè in quella capacità giuridica che connota la personalità applicata all’individuo come maschera. Questa capacità, per utilizzare (come fa Hauriou) la terminologia filosofica della Scolastica, è sostanza indivisibile di una natura razionale, una ipostasi collocata fuori dal contingente, ma conoscibile tramite gli accidenti (le individualità e le volizioni frantumabili all’infinito). Possiede cioè un fondamento ontologico.
Dunque la personalità giuridica (la “maschera” applicata agli accidenti individuali) finisce per coincidere con la capacità («capacità di acquisire beni e intessere rapporti giuridici», p. 83), ossia con la sostanza indivisibile della natura razionale. Giunto al fondamento ontologico della capacità/sostanza/persona giuridica, ecco che Hauriou rimarca la perpetuità della sostanza rispetto all’effimero degli accidenti/individui. Infatti la capacità, in quanto virtualità (capacità astratta di acquisire beni e di concludere negozi giuridici) è sempre attuale: perpetua. Nel momento in cui si attua, essa dilegua, si consuma, si annulla nell’effimera produzione di effetti giuridici.
Hauriou non finisce di stupire perché proprio nel momento in cui dimostra la sostanza indivisibile, ontologica, razionale e permanente della personalità giuridica, egli pone quest’ultima a confronto con gli effimeri accidenti individuali (ciò che lui chiama le individualità oggettive) e si chiede: cosa è più importante, la personalità giuridica o l’individualità oggettiva? Tutto farebbe propendere per la prima, e invece Hauriou risponde che è la seconda. La sostanza, nella filosofia scolastica, possiede maggior rilievo degli accidenti, ma nel mondo del diritto non pare sia così. Qui la personalità giuridica assume rilievo solo nelle realtà corrispondenti ai rapporti del commercio giuridico: importantissime, senza dubbio, ma non esaustive della vita delle individualità oggettive. La vita vera non si esaurisce nei titoli di proprietà o nella astratta capacità di stipulare contratti o intessere rapporti giuridici.
Il discorso di Hauriou non è avulso dalla realtà perché egli, nel suo scritto del 1910, introduce subito l’esempio illuminante della Nazione (individualità oggettiva) e dello Stato-persona giuridica. Cosa conta di più? La nazione pulsante di vita o lo Stato dotato di capacità giuridica? Non c’è dubbio: la prima. Lo Stato, con la sua personalità giuridica, si pone al servizio della nazione perché consente a questa di vivere anche nel mondo degli atti giuridici mentre lo Stato vive solo nella giuridicità, un mondo circoscritto. Efficace, Hauriou: «la personalità giuridica dello Stato è per la nazione un mezzo per realizzare i suoi destini». Si spiega in tal modo anche l’altra conclusione cui Hauriou era pervenuto già nel 1899. Se lo Stato-persona giuridica si pone al servizio della nazione, così come le persone giuridiche “minori” (comitati, fondazioni, associazioni, società di commercio) si pongono al servizio delle individualità oggettive organizzate per conferire a queste realtà una staticità (cioè una stabilità) nella tessitura dei rapporti giuridici, è evidente che la personalità giuridica non cala dall’alto ma germoglia dalle esigenze delle realtà sottostanti (dalla nazione al più piccolo tra i corpi intermedi sino all’individuo singolo), là dove lo spontaneismo sociale pulsa di vita. La persona giuridica è frutto spontaneo: essa dunque «non può essere oggetto di una creazione governamentale» (p. 53) e delle leggi positive (il légicentrisme così aborrito dall’Hauriou) ma si forma, vive e evolve spontaneamente nel contesto sociale.
Maurice Hauriou spirito affine a Santi Romano: entrambi fautori del pluralismo giuridico, ma il francese più connotato di cattolicesimo tomista e più sensibile alla tradizione del diritto naturale. Ma soprattutto – come evidenzia molto bene Cesare Pinelli nella prefazione – capace di abbracciare nelle sue indagini la società tutta (frammista di passioni, volizioni, irrequietezze: il mondo delle individualità oggettive) conferendole rilevanza giuridica e senza limitarsi ai soli aspetti sociali strutturati in istituzioni e ordinamenti (come prediligeva Santi Romano). Un diritto colmo di vita.