Fernando Massimo Adonia (1982) è giornalista e saggista, collabora con "LiveSicilia", "Il Giornale Off", "Cultura Identità" e il mensile "S". Dirige il magazine "Paesi Etnei Oggi". Si è occupato del rapporto tra le forme del potere politico e il dominio religioso.

Recensione a: C. Calli, Ideologia, il Mulino, Bologna 2022, pp. 168, € 13,00.

L’affermazione che le ideologie siano finite non è altro che una presa di posizione ideologica, che palesa la volontà di affermare una «verità» a discapito di un’altra. Potrebbe essere questa la sintesi più asciutta possibile del saggio di Carlo Galli dedicato, appunto, alla parola Ideologia. Il più delle volte utilizzata per schernire ogni deriva dogmatica, è ormai un’espressione fuori moda, scivolosa, o da usare alla stregua di un manganello all’indirizzo dei propri avversari non soltanto politici. Ha fatto scuola, insomma, l’insegnamento del sociologo liberale Raymond Aron, il quale affermava che «ideologia sono le idee dei miei avversari». Una modalità per tagliare la testa a ogni possibile dibattito e destituire di legittimità l’altro, confinandolo nei meandri della partigianeria intellettuale. Perché non si dà e non si nega ideologia se non all’interno della dimensione del pensiero politico figlio dell’età moderna, intrinsecamente polemico e necessariamente orientato contro un qualche avversario. Dinamica che è non venuta meno neanche con il tempo attuale, l’epoca dei tanti «post», che non conosce né fascismo, né nazismo, né tantomeno l’esperienza del socialismo reale, perché intanto liberismo e democrazia hanno storicamente trionfato. Ma non per questo l’epoca attuale ha rinunciato a proclamare nuove culture politiche conflittuali cariche di rivendicazioni. E, allo stesso tempo, a produrre scenari di crisi.

Oggi, dunque? Ecco la diagnosi:

Non è vero – dice Galli – che non esistono più ideologie. Esistono mentalità maturate all’interno di ciò che resta dell’ideologia neoliberista e globalista, della sua macchina mitologica; esistono quasi-ideologie assai pervasive; esistono diverse soggettività parziali che attraverso queste mentalità e queste quasi-ideologie danno voce a problemi identitari e a rivendicazioni libertarie; esiste una ideologia dell’establishment, occidentale e democratico, che si rivolge contro una minaccia orientale autocratica e contro gli avversari interni, populisti e sovranisti, che la sfidano (pp. 162-163).

Quella appena citata è una delle ultime pagine del titolo inserito nella collana Parole Controtempo. Si tratta della seconda volta che il nome di Carlo Galli fa capolino in questa sezione del catalogo editoriale del Mulino. La prima è avvenuta con Sovranità (2019), testo che esamina uno dei concetti fondamentali del pensiero politico occidentale da una prospettiva scientifico-argomentativa, prendendo quindi le distanze dalle derive populiste che hanno preso il via dalle lacerazioni del tempo attuale, ma fornendo – allo stesso tempo – le coordinate di un problema in fieri: il superamento, o presunto tale, della sovranità.

Ideologia offre una panoramica che, per quanto veloce nella veste, risulta carica di complessità. Una sezione del libro offre le coordinate storiche per definire il fenomeno. Un’altra approfondisce il tema puntando alla genealogia delle ideologie (la parte che l’Autore ritiene probabilmente decisiva per scollinare l’intera questione). L’ultima, invece, è chiamata a fare i conti con il tempo presente, passando in rassegna le cosiddette nuove (o «quasi») ideologie, sempre meno attrezzate rispetto alle macro-sistemazioni del passato: populismo, ecologismo, politicamente corretto e le micro-ideologie identitarie.

Con queste pagine Galli prova a mettere ordine in un campo semantico già di per sé carico di ambiguità. Il testo comincia da una figura emblematica dei drammi del Novecento europeo: Joseph Goebbels, capo del ministero per la Volksaufklärung (illuminazione del popolo) e la Propaganda, nonché presidente, in contemporanea, della Reichskulturkammer (Camera della cultura del Reich). Un incrocio istituzionale che mette sullo stesso piano tre elementi paradossali: l’illuminazione (l’Aufklärung illuminista), la comunicazione di massa e la cultura. «È dal delirio nazista» – spiega lo storico delle dottrine politiche all’Università di Bologna – «che si scorge la duplicità essenziale, il doppio volto ‘normale’ dell’ideologia: che da una parte vuol essere critica, cioè vuole applicare strumentalmente e soggettivamente un’idea, un sapere di parte – non neutro, ma orientato –, in grado di rischiarare il mondo; mentre dall’altra ha in sé un progetto di nuova oggettività, di nuova umanità e di nuovo ordine; un progetto di cui i soggetti sono destinatari, mobilitati ma potenzialmente passivi» (p. 8) .

Oltre a definire la cornice di riferimento che ha permesso e permette alle ideologie di macinare terreno, Galli fornisce anche la direzione verso cui esse si dirigono storicamente. Il loro obiettivo è di

sviluppare egemonia, orientare e controllare la produzione di cultura, nelle sue diverse accezioni – alte e basse, specialistiche e popolari. Ed è leggibile anche lo sfondo imprescindibile, immediato, dell’ideologia e delle sue mediazioni intellettuali e comunicative: il popolo, le masse, come oggetto della politica, del potere; l’ideologia critica il potere altrui, per affermare e legittimare il potere politico del soggetto (il partito) che attraverso di essa si esprime, per il bene di tutto il popolo (in altri contesti, della società, dell’umanità) [pp. 9-10].

C’è un nesso stringente tra l’ideologia e il potere, sia nella fase di conquista che del suo mantenimento. Se i fascismi sono stati sconfitti sul campo di battaglia, il socialismo reale è collassato su se stesso, vittima delle proprie contraddizioni interne. Un incrocio di avvenimenti che ha portato Margaret Thatcher ad affermare trionfalmente che al modello neoliberale non ci sarebbe stata alcuna alternativa, intercettando quell’ottimismo paradossale da fine della storia che ha animato le élite politiche, culturali ed economiche dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso a oggi, anche al netto delle ondate di instabilità che continuano ad agitare gli assetti globali. Ed è lì infatti che Carlo Galli intende puntare il dito segnalando come, in assenza di un contraltare socialdemocratico nel pieno del intellettuale e del relativo consenso, il neoliberismo non abbia più avuto la necessità dissimulare piani di ridistribuzione delle ricchezze. Una mancanza d’argine che gli ha consentito di legittimare esplicitamente «la disuguaglianza – la differenza fra le singole individualità, e fra successo e insuccesso – e il trickle down, lo sgocciolamento della ricchezza dai ricchi verso i poveri» (p. 132).

 Il neoliberismo prende le mosse dal pensiero del filosofo e premio Nobel austriaco Friedrich von Hayek. E sviluppa uno schema implacabile che offre il primato pubblico alle regole del Mercato, in uno spazio dove non esistono né la società, né i gruppi sociali in antagonismo tra loro, ma soltanto l’individuo. Il mondo è rappresentato come un teatro di soggetti atomizzati e separati tra, in cui ciascuno è portatore di un progetto di vita, di un proprio interesse, dei propri meriti e non esiste una dimensione pubblica, ma solo una quantità infinita di privati che si regolano tra di loro seguendo le regole dei rapporti economici. In questo scenario tutti i soggetti che fanno parte della società hanno una posizione di partenza uguale che è il coinvolgimento nel mercato. Una visione tanto forte da non aver bisogno di alcun partito di riferimento, non fosse altro che a livelli differenti li pervade tutti.

Le nuove ideologie, in un certo qual modo, sono in larga parte figlie delle coordinate poste in essere dal neoliberismo e dalle promesse che questo non sarebbe riuscito a portare a termine. Si tratta delle stesse premesse disattese dalle democrazie occidentali. Nessun parricidio, semmai una filiazione diretta che spiega il perché nessuna delle nuove ondate che stanno lacerando il tessuto civile dei paesi occidentali, Stati Uniti in testa, ha mai messo in discussione le coordinate generali del sistema attuale e fissato l’obiettivo di una Rivoluzione destinata a mettere al centro le ragioni mitopoietiche di un qualche collettivo umano.

È la mentalità individualistica – spiega Carlo Galli – il sostrato delle nuove ideologie, tanto nella forma difensiva (anche quando è aspramente reattiva) del singolo privo di legame sociale – la società resta “società degli individui” (o delle famiglie), non degli interessi strutturalmente antagonistici, e nemmeno di un ipotetico “bene comune” – quanto nella forma assertiva, che traduce i problemi economici e politici, e le relative risposte, in una dimensione soggettiva (o di gruppi ristretti), emotiva, simbolica, culturale, comunicativa, spesso di caratura moralistica – l’indignazione e l’autoaffermazione libertaria» (p. 143).

Insomma, nessuna delle nuove culture politiche è finora uscita fuori della coordinate dell’io. Anzi, anche le nuove forme organizzative riflettono questa direzione insuperata e forse insuperabile. È nella proiezione pratica delle ideologie contemporanee che la constatazione di Galli trova una risultante concreta che risolve tante aporie. Perché dove c’è una somma di individualità, benché tenuta assieme da medesime rivendicazioni condivise, non può esserci né un noi né tantomeno il partito. L’unica forma di aggregazione disponibile non può non essere il movimento.

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