Alberto Giovanni Biuso, professore ordinario di Filosofia teoretica nel Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania, insegna Filosofia teoretica, Metafisica e Filosofia delle menti artificiali. Ha anche insegnato Epistemologia, Sociologia della cultura e Storia dell’estetica. È collaboratore, redattore e membro del Comitato scientifico di numerose riviste italiane ed europee. È direttore scientifico della rivista Vita pensata. Tema privilegiato della sua ricerca è il tempo, in particolare la relazione tra temporalità e metafisica. Altri temi di cui si occupa sono: la mente come dispositivo semantico; la vitalità del pensiero classico greco e romano; le strutture ontologiche delle intelligenze artificiali; la questione animale come luogo di superamento del paradigma umanistico. Il suo libro più recente è Logos. Scritti di estetica e letteratura (Mimesis, 2025). Il suo sito web è www.biuso.eu

Recensione a: D. Susanetti, Quei discorsi d’amore. Leggendo il Simposio di Platone, Carocci, Roma 2025, pp. 184, € 20,00.

Esistono dei libri che permangono, non soltanto nelle biblioteche e nelle librerie ma nello spazio e nel tempo, in ogni spazio e in ogni tempo. La «ricchezza e lo splendore» del Simposio platonico sono uno di questi libri (p. 7).

Delle pagine del dialogo Susanetti percorre l’andare, i segreti, l’implicito, il dramma, la leggerezza, la fecondità. Lo fa, certo, sul fondamento della sua sapienza di esegeta e di filologo. Ma non è questo a rendere Quei discorsi d’amore un libro magico. È la sua consonanza, la vibrazione che accade e che si percepisce nella pacata e rigorosa indagine sulla struttura del testo, dei personaggi, delle argomentazioni, della tensione con la quale Platone cerca di comprendere le passioni umane per condurle al livello più alto del loro manifestarsi. Sempre, però, nella piena consapevolezza del loro scaturire dal sostrato più tremendo della vita.

Un’impresa possibile soltanto perché ha al fondamento alcune ben precise condizioni.

La prima, ribadita seppur discretamente anche in altre opere di Susanetti, è che Platone sia di fatto un iniziato, uno sciamano del concetto (come già Eric Dodds aveva sostenuto), un filosofo nel quale alberga la vastità dell’essere come probabilmente a nessun altro è mai accaduto.

La seconda condizione è che al cuore del Simposio non stia, nonostante le apparenze, l’umano ma abiti il cosmo, stia «quell’‘intero’ che è la realtà e di cui l’umano è solo una dimensione, destinata a non persistere nemmeno troppo a lungo» (8). Scarso significato avrebbe infatti indulgere così a lungo e analiticamente sull’amore umano se esso fosse soltanto l’espressione della potenza del corpomente della nostra specie. Susanetti ricorda giustamente, a questo proposito, come la risposta data da Sileno a Mida, il quale voleva sapere che cosa fosse per gli umani il meglio e seppe che il meglio sarebbe non nascere, costituisca una «sapienza amara che distrugge le velleità delle deboli creature di un giorno» (121), degli ἐφήμεροι che siamo.

Una terza condizione è che proprio per questo, per la dimensione iniziatica e cosmica dell’intera opera platonica, «Philosophía ama il mito E non esita a cingersi della sua fatua veste, quando vuole che nell’anima, palpitante attraverso la parola, essere e divenire si sfiorino» (13).

E quindi tutti raccontano, tutti i convenuti al banchetto dato da Agatone per festeggiare la sua vittoria nell’agone tragico. Raccontano miti, divinità e sapienze. L’elogio del dio Eros diventa l’occasione per il pensiero di toccare il tessuto dei giorni umani e disvelarlo.

Fedro attinge ai grandi nomi e alle vicende di Admeto e Alcesti, di Achille e Patroclo, di amori diversi e totali.

Pausania distingue una duplice Afrodite: l’Urania, per la quale l’Eros è forza cosmica effigiata dalla stella della sera e dalla stella del mattino, e la Pandemia che domina il genere umano in ogni manifestata sua passione d’amore. L’esito è in ogni caso un Eros eroico.

Erissimaco guarda all’Eros da medico qual è e dunque come malattia e insieme come cura sia individuali sia collettive.

Aristofane enuncia il celebre racconto delle tre nature originarie – maschile, femminile, androgina – che la φθόνος, la preoccupata invidia degli dèi, decise di scindere, tanto che da allora ciascuno cerca di ricongiungersi nell’unità perduta.

Agatone mostra la complessità di Eros, la sua insidia tragica, l’euforia e il dolore che lo intesse, la «signoria straziata e straziante» di Afrodite, per comprender la quale Susanetti ricorre giustamente a un frammento (il 942 Radt) di Sofocle: «Afrodite non è soltanto Afrodite, ma ha molti nomi: è morte, furiosa pazzia, desiderio assoluto, gemito […], ella tronca ogni progetto e ogni volere di uomini e dei» (85).

E poi è Socrate a dire, o meglio è Diotima che parla attraverso di lui, mostrando come Eros sia la fonte di ogni pensiero, creazione, bellezza delle quali gli umani siano capaci. Eros è filosofo dell’identità e della differenza, «è proprio quel punto tra gli opposti: un ‘grande dáimon’, un essere che, per propria natura, è posto metaxú, ‘in mezzo’ fra l’umano e il divino, fra il mortale e l’immortale» (98) e il cui ultimo scopo è ancora una volta la athanasía, il divenire immortali. La verità di ogni innamorarsi sta infatti «in questa aspirazione che vorrebbe scavalcare il confine della finitezza» (103). La singola bellezza che ci innamora è in realtà emblema, parte e metafora della bellezza in sé, alla quale il corpomente umano sempre aspira.

Dopo questo compimento, che sembra dover chiudere il banchetto, irrompe d’improvviso Alcibiade, bellissimo ed ebbro. Susanetti coglie il segreto di questo svolgimento così singolare del dialogo affermando che «con Alcibiade è Dioniso stesso che si rende improvvisamente presente al simposio» (115), appare «il dio deinótatos, il ‘più straordinario’ e il ‘più terribile’ per i mortali» (135), la cui ultima lezione – lucida e drammatica lezione – è che «chi si ponga all’altezza del ‘bello in sé’ non può più amare come i mortali vorrebbero essere amati né rispondere a essi come sarebbe altrimenti plausibile rispondere. Forse, ancora, in quella via ci si può incontrare unicamente a patto che ciascuno, per proprio conto, si sia posto continuamente per essa. Solo a patto che entrambi, a un certo punto, si riconoscano nell’esperienza dell’éidos» (ivi).

L’ipotesi di Susanetti è che il corpomente capace di essere egli stesso questo εἶδος, una forma immutabile che sta al di là dello spazio e del tempo, sia Socrate stesso. Quest’uomo è infatti arrivato in ritardo al banchetto per fermarsi immobile a meditare in un cortile e poi, alla fine quando tutti sono ubriachi o dormono dopo l’irrompere di una folla in casa di Agatone, è ancora sveglio, sobrio e capace di iniziare come sempre un nuovo giorno.

Certo, è Socrate. Ma dietro Socrate, dietro la perfetta maschera del maestro, è Platone, è la scrittura il segreto. Una scrittura da Platone sempre calunniata e però sempre praticata. Platone è la sua scrittura e questa scrittura è il cuore eversivo della filosofia, il suo motore sempre acceso, il riscatto che l’Europa attua anche del proprio male.

Eros è forza distruttiva poiché Eros è l’umano. Dεινότᾰτος, il carattere che Susanetti attribuisce a Dioniso, è parola con la quale il coro dell’Antigone indica l’umano. Tra gli umani, Platone è davvero δεινότᾰτος, il più straordinario e il più tremendo. Platone è l’eros del pensare, la sua suprema gioia e il colmo della sua melanconia.

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