Niccolò Mochi–Poltri (1991): è impegnato da molti anni in attività di promozione culturale con le associazioni “Sur Les Murs” e Fondo Marco Mungai, delle quali è membro. Laureato in Scienze storiche, studioso appassionato di Filosofia, concentra i suoi interessi di ricerca sull’analisi della cultura politica dell’età moderna e contemporanea. Ha pubblicato Società. Divenire storico e conservazione (introduzione di F. Cardini, Roma–Cesena 2018).
Lo scorso 26 aprile è stata pubblicata sulla piattaforma “change.org” la petizione[1] presentata al ministro dell’Istruzione prof. Patrizio Bianchi di un’associazione di laureati e laureandi in filosofia denominata Filosofia Futura. Titolo della petizione: Valorizzare i laureati in filosofia nella scuola.
Ripercorriamo impressionisticamente il testo della petizione:
Nel nostro tempo, segnato dalla settorializzazione del sapere e dalla globalizzazione che rende tutto interconnesso facendo risaltare sempre di più differenze, disparità e conflitti, il dialogo e il confronto critico sembrano essere non solo strumenti utili, ma anche delle vere e proprie necessità. Nella nostra società complessa, che sempre più richiede competenze articolate e complementari, il problem solving e la metacognizione (il sapere sul sapere, il sapere come si conosce e come si impara) sono quantomai richiesti al cittadino e al lavoratore.
In questo senso la filosofia, intesa, come tengono a specificare gli estensori, «come saper fare più che come pura e semplice storia della filosofia», servirebbe all’uopo. Per cui, tra le altre cose, viene richiesto che
per una migliore didattica e per un congruo adeguamento dell’istituzione scolastica al nostro tempo e alla nostra società della conoscenza che l’insegnamento della filosofia venga esteso e valorizzato nelle modalità più opportune presso tutte le scuole, di qualsiasi ordine e grado (scuola secondaria di primo grado e istituti tecnici e professionali).
Pare che la petizione abbia già quasi raggiunto le 5mila firme. Buon per loro. Tra di esse non ci sarà la nostra.
Questa petizione è viziata dal fatto che non è stato posto un problema fondamentale: che cos’è la filosofia. La sua natura è infatti data per scontata, quasi come se la filosofia fosse ovviamente “quella-cosa-lì” che hanno in mente gli estensori della petizione – e, temiamo, sicuramente anche buona parte dei sottoscrittori. Ma è proprio “quella-cosa-lì” a porre il problema che vizia l’intera petizione, rendendola a parer nostro irricevibile.
Presumiamo che gli estensori, essendo laureati in filosofia, conoscano Gadamer e l’ermeneutica. Pertanto, non si sorprenderanno se dialogheremo con il loro testo procedendo dai nostri pregiudizi. Questi si radicano in una concezione della filosofia che è quella testimoniata dagli antichi, e recuperata esplicitamente da Pierre Hadot. Dice Hadot: «La filosofia appare […] – nel suo aspetto originario – non più come una costruzione teorica, ma come un metodo teso a formare una nuova maniera di vivere e di vedere il mondo, come uno sforzo di trasformare l’Uomo»[ii]. La filosofia per gli antichi era soprattutto un esercizio spirituale; ma tale è rimasta anche per le generazioni successive, perché ciò che è originario determina ontologicamente – in altre parole, la filosofia è sempre in sé un esercizio spirituale.
In questo senso, colui che sente la vocazione della filosofia, si dispone ad introdurre la sua personalità grezza nell’atanòr filosofico, per subire un processo di raffinazione che produce infine una trasformazione. La personalità resa filosofica agirà conseguentemente alla sua trasformazione. Dunque, si è filosofi. Altrimenti, si fa filosofia. Ma questo “fare” è un esercizio manieristico, è artigianato non in-spirato – perciò, appartiene alla tecnica, è ontologicamente tecnico. Ebbene: da una parte: la filosofia, che è esercizio spirituale, in-spirante e dunque spiritualizzante; dall’altra: il “fare” filosofia, che è esercizio manieristico, non in-spirante e dunque tecnico.
Come corollario di questo pregiudizio fondamentale, ne abbiamo un altro espresso bene dal seguente motto: “ciò che serve, è servile; e ciò che è servile, asservisce”. S’è detto che la filosofia è un esercizio spirituale, in essa lo Spirito prende autocoscienza; lo Spirito possiede una natura libera, o meglio: lo Spirito è libertà in senso eminente – per citare il Vangelo: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3, 8). Perciò, la filosofia è esercizio di libertà in senso eminente: è libero ed è liberante. «Servire» implica una funzionalità, una strumentalità, dunque una con-strizione, cioè un “essere legato” – ergo: un non essere libero. Ebbene: ogni tentativo di “far servire” la filosofia, che è esercizio spirituale, a qualcosa, a qualcuno, è sic et simpliciter un abuso improprio – è un tentativo effettivo, per quanto possa esserlo inconsapevolmente, di pervertire la filosofia.
Dati questi pregiudizi, la lettura del testo della petizione non può indurci che a giudicare negativamente la richiesta degli estensori. Abbiamo già detto che la natura della filosofia viene data per scontata, come se la filosofia fosse proprio “quella-cosa-lì” della quale parlano loro. Ora: “quella-cosa-lì” può essere dedotta da alcuni indizi testuali:
1) c’è un «dato che» implicito all’inizio del testo. Esplicitiamolo: si avrebbe così: «Dato che nel nostro tempo…etc.». La locuzione esplicitata introduce una proposizione causale. Potremmo riassumere: «a causa della tale situazione prodottasi in questa epoca». Ci sono insomma circostanze contingenti da tenere in considerazione: “contingenze” che sono ipso facto con-stringenti. Esse causano la filosofia ad essere proprio ciò di cui quest’epoca avrebbe bisogno, ciò che insomma servirebbe;
2) «[…] problem solving e la metacognizione (il sapere sul sapere, il sapere come si conosce e come si impara) […]»: ecco dichiarate due competenze specifiche della filosofia intesa come “quella-cosa-lì”. Acquisiamo dunque che la filosofia alla quale si riferiscono gli estensori della petizione servirebbe precipuamente per alcune competenze specifiche. Dunque, qui non è tanto “la” filosofia ad essere evocata, nella sua ricchezza poliedrica e polimorfica e nella sua inesauribile fecondità, bensì solo alcune funzioni ad essa attribuite – così che la filosofia come “quella-cosa-lì” sarebbe una filosofia ridotta ad alcune funzioni specifiche;
3) «come saper fare [corsivo mio] più che come pura e semplice storia della filosofia». Forse c’era una buona intenzione nella volontà di evidenziare questa differente accezione di filosofia. Ma: “di buone intenzioni è lastricata la via per l’Inferno”: è evidente che gli estensori intendessero proporre la filosofia come “competenza filosofica”, emancipandola da quella rigidità nozionistica in cui scade frequentemente la storia della filosofia. D’altronde, un concetto come quello di “competenza filosofica” afferisce al “fare” filosofia, piuttosto che all’essere filosofi. Di conseguenza, le “competenze filosofiche” sono qualcosa di sostanzialmente estrinseco alla filosofia: sono esercizi manieristici, e quindi tecnici. Ora: nel loro essere tecnica, queste competenze smarriscono proprio quell’in-spirazione che è il proprium della filosofia, divenendo, ipso facto, non filosofici. Perciò, si viene a determinare un paradosso: competenze filosofiche che non sono filosofiche, che non sono filosofia.
Tre indizi fanno una prova: gli estensori della petizione concepiscono la filosofia come un non meglio precisato corredo di competenze tecniche che renderebbero la persona (il discente) capace di fronteggiare le sfide poste dalla nostra epoca. Sulla base di questa concezione, propongono infine di introdurre questa filosofia un po’ ovunque. Come l’educazione civica, che non fa mai male…
Ora: se la filosofia era stata collocata dal più insigne ministro dell’Istruzione che l’Italia abbia mai avuto, il professor Giovanni Gentile, nel solo ultimo triennio dei Licei, una ragione c’era, ed era forte. La filosofia non è una materia tra le altre, non è un mèro corredo di competenze tecniche; è semmai ciò che dà un senso ulteriore alle altre singole competenze tecniche, manifestando l’Umano in ciò che di più elevato lo costituisce: lo Spirito. L’Uomo può possedere delle competenze tecniche, ma non è le sue competenze tecniche – questo vale semmai per le macchine.
La filosofia è lo Spirito che prende autocoscienza, così che l’Uomo stesso prenda autocoscienza della sua propria essenza. Porre la filosofia all’apice del sistema della Scuola non è stato un arbitrio; è stato semmai il riconoscimento del suo Senso: un sole che illuminando dirada le tenebre, ed informa del suo calore vitale tutto ciò che lo riceve. La scuola gentiliana era infatti “scuola filosofica”, tutta quanta, tutta intera – anche laddove la filosofia neanche si studiava. Viceversa, “fare” filosofia e pretendere di “farla fare” ovunque, significa sanzionare la metamorfosi in senso tecnicistico che la scuola italiana sta subendo già da tempo. E una scuola così concepita, è destinata, che lo sia volontariamente o meno, a fare dei discenti ciò che Rossana Rossanda paventava, cioè che diventassero dei semi-lavorati per l’industria. E questo, in coscienza, non dovremmo permetterlo.
[1] https://www.change.org/p/lucia-azzolina-valorizzare-i-laureati-in-filosofia-nella-scuola?recruiter=1033088112&utm_source=share_petition&utm_campaign=psf_combo_share_abi&utm_medium=whatsapp&utm_content=washarecopy_25895639_it-IT%3A4&recruited_by_id=250c76d0-3214-11ea-8adb-3dbcffdc944d.
[ii] P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, a cura di A.I. Davidson, Einaudi, Torino 2021, p. 66