Alfonso Lanzieri (1985) è dottore di ricerca in filosofia dal 2017. Attualmente insegna filosofia presso la Facoltà Teologica di Napoli e l’ISSR “Duns Scoto” di Nola-Acerra. Si interessa principalmente di filosofia della conoscenza e filosofia della mente. Ha pubblicato saggi, articoli e monografie, tra cui Pensiero e realtà. Un'introduzione al "realismo critico" di Bernard Lonergan (Mimesis, 2017); Il corpo nell'anima. Henri Bergson e la filosofia della mente (Mimesis, 2022).

Recensione a: G. Attademo, Simbiosi, dialogo, monologo. Il dibattito intorno all’esperienza ebraico tedesca tra filosofia e società, Orthotes, Napoli-Salerno 2022, pp. 156, € 18,00.

Nel 1879 viene pubblicato a Berna uno scritto dal titolo La vittoria dell’Ebraismo sul Germanesimo, valutata da un punto di vista non confessionale. Si tratta di un saggio del giornalista e attivista politico Wilhelm Marr. Il libro, che si può definire senza mezzi termini un saggio antisemita, raggiungerà in poco tempo le 20.000 copie vendute e avrà circa dodici edizioni negli anni successivi. La posizione di Marr è relativamente semplice da riassumere: il popolo ebraico, per motivi legati strutturalmente alla sua identità, è rimasto un corpo estraneo nella koinè europea, resistendo lungo i secoli a ogni tentativo di integrazione (che nella prospettiva di Marr significava, in fondo, assimilazione). La causa di ciò va ricercata, secondo l’autore del saggio, nell’ostinato “realismo” ebraico, inteso come mentalità pragmatica e mercantile, incapace di considerare persone e cose in un’ottica diversa da quella del profitto. Marr si spinge a tradurre l’“alleanza” biblica, che lega Dio al popolo ebraico, col termine tedesco Geschaftvertrag, che sta per “contratto commerciale”. La società tedesca, conclude Marr, è ormai invasa dalla «presenza demoniaca» degli ebrei, fattore di traviamento anche per il resto dell’Europa.

Il caso editoriale del testo di Marr non è un episodio isolato, ma il nodo di una più ampia querelle culturale, ricostruita con maestria nel saggio di Gianluca Attademo, filosofo morale e ricercatore. Il libro propone un’analisi minuziosa e molto ben documentata del cosiddetto Berliner Antisemitismusstreit, la ricca e drammatica disputa berlinese sull’ebraismo tedesco, che negli ultimi decenni dell’800 vide alcune delle voci principali della politica e dell’accademia tedesca dibattere di emancipazione ebraica, doppia appartenenza dell’ebraismo europeo e in generale della presenza degli ebrei in Germania, per spingersi fino al periodo della caduta della Repubblica di Weimar. Gli eventi culturali compresi nel periodo appena richiamato, risultano decisivi  ̶  visto l’emergente antisemitismo razziale di cui Marr è solo un esempio  ̶  per comprendere appieno un percorso che proseguirà senza soluzione di continuità fino alla Shoah, coinvolgendo diverse generazioni di intellettuali ed ebrei tedeschi.

Si tratta di un capitolo fondamentale della storia recente europea poco noto al grande pubblico, che Attademo ha il merito di rilanciare in un testo che prova ad essere insieme denso (tanti sono i dati e gli spunti storici, filosofici e sociologici offerti dall’autore) ma anche agile (138 pagine), in modo da non spaventare il lettore non specialista.

La controversia berlinese si consumò in un frangente storico in cui molti ebrei in Germania stavano cercando di ottenere una maggiore integrazione nella società tedesca e pari diritti civili ed economici. Alla disputa presero parte, per citare solo alcune delle figure richiamate da Attademo, Adolf Stoecker, Heinrich von Treitschke, Hermann Cohen, Eduard Von Hartmann, Franz Rosenzweig, Martin Buber e tanti altri.

Il saggio descrive l’inesorabile parabola culturale che conduce dalla tradizione incarnata da Mendelssohn e Lessing, fondata sull’aspirazione a un’umanità libera da intolleranze e pregiudizi, a un modello di antisemitismo razziale che propone una lettura riduttivistica della realtà sociale in chiave biologistica.

In questa cornice, Attademo analizza le voci principali del dibattito. Per il già citato Heinrich von Treitschke, storico e politico di alto rango, l’antisemitismo serpeggiante in Germania, con le agitazioni di cui è foriero, è l’epifenomeno di un malessere più profondo che l’istinto delle masse ha saputo riconoscere. Esiste una Judenfrage tedesca – sostiene von Treitschke  ̶  che non può essere ignorata. Anche se lo storico tedesco condanna gli aspetti più triviali dell’intero movimento, nondimeno, scrive Attademo, «recupera l’intero bagaglio di accuse antisemite che hanno trovato spazio nello scritto di Marr: mentalità da mercanti, usura, materialismo, risentimento anticristiano». L’esito di tale impostazione viene espresso da von Treitschke in modo tanto nitido quanto inquietante: «noi non vogliamo che alla millenaria tradizione germanica segua un’era di cultura ibrida tedesco-ebraica». Insomma, l’ebraismo appare allo storico come un intralcio per la crescita dello Stato tedesco. Sarà questa una posizione condivisa anche da altri entro il quadro complesso dell’antisemitismo del tempo, che contemplava diverse prospettive al proprio interno.

Herman Cohen, che al tempo era l’unico ebreo ad essere professore ordinario nell’accademia tedesca, risponde a von Treitschke evidenziando un’affinità fondamentale tra ebraismo e cristianesimo. Certo, il concetto di incarnazione divide le due fedi, tuttavia il kantiano Cohen vede in quel punto essenziale della dottrina cristiana il fattore decisivo di “umanizzazione della religione”, che approda all’autonomia della legge morale (cioè all’autonomia della sottomissione alla legge morale). Ed è questo santuario della dottrina kantiana che «rappresenta ciò che teniamo alto come germanicità di fronte a tutti i popoli moderni», scrive Cohen, a essere  ̶ sul piano del contenuto  ̶  pienamente coincidente, a giudizio di Cohen, con «la dottrina israelitica dei costumi». Ciò che interessa a Cohen è provare un’affinità di fondo tra ebraismo e cristianesimo, pur salvando la specificità del primo (che per il nostro autore consiste nel testimoniare senza posa l’incommensurabilità di Dio e mondo), sì da confutare la prospettiva di von Treitschke che proponeva per il rafforzamento dello Stato tedesco la costruzione di una unità morale e spirituale dalla quale gli ebrei erano fondamentalmente esclusi.

Le voci fin qui richiamate sono solo un esempio, tra i tanti percorsi aperti dal libro di Attademo, per illustrare la dinamica di un dibattito che non portò a una risoluzione definitiva del problema dell’antisemitismo in Germania, ma contribuì a mettere in luce le tensioni e i conflitti sociali e politici legati a questa questione. Nel corso del tempo, l’antisemitismo continuò a persistere in Germania e in altri luoghi, culminando infine nell’orrore dell’Olocausto durante la seconda guerra mondiale.

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