Enrico Orsenigo (1992), psicologo iscritto all’Ordine degli Psicologi del Veneto, è Ph.D. Student in Learning Sciences and Digital Technologies all'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Nei suoi articoli si occupa di psicologia clinica, psicologia dello sviluppo, psichiatria fenomenologica e filosofia della tecnica.

Recensione a: E. Borgna, Sull’amicizia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2022, pp. 110. euro 12.00.

Si può non essere d’accordo con la strategia di pubblicazione adottata negli ultimi anni dalle principali case editrici italiane, che porta alcuni tra i maggiori autori a scrivere (o assemblare) e vedere l’uscita di quattro-cinque testi all’anno. Questo fenomeno, se da un lato può indisporre e ritenere superflua una certa letteratura in uscita, dall’altro lato si può considerare un’occasione per indugiare ancora una volta su passaggi significativi, seppur ripetuti, dell’opera di un autore. È il caso dell’opera qui in questione.

Sull’amicizia di Eugenio Borgna, pubblicato il giorno 22 settembre 2022 da Raffaello Cortina, riprende i temi centrali relativi l’amicizia seguendo la scia di scrittori e studiosi cari allo stesso Borgna. Tra questi Friedrich Nietzsche, Emily Dickinson, Simone Weil, Rainer Maria Rilke, Thomas Mann, Etty Hillesum e Antonia Pozzi.

Secondo Borgna al centro del valore dell’amicizia si trova la solitudine, che a livello mediatico viene ancora considerata un sentimento e condizione dell’animo da evitare più che da vivere e comprendere. Non solo: anche le discipline delle scienze umane che studiano i sentimenti talvolta si ritrovano a riflettere in termini negativi rispetto alla solitudine, al tedio, alla mestizia, diffondendo a volte consapevolmente altre volte inconsapevolmente un atteggiamento mentale di esclusione rispetto ai sentimenti e alle emozioni, nella logica di quale ci si può concedere e quale no. A lungo andare, tale logica, è risaputo essere deleteria e spesso fonte primaria di nuove sofferenze.

Sì, l’amicizia come valore muove da una serie di antinomie del vivere (già enunciate da Jerome Bruner), si arricchisce non solo della serenità, dell’empatia, della piacevolezza nell’impiegare il tempo in due; tale valore, costitutivamente antinomico, poggia su distacco ed impegno, passione e decoro, impulso creativo ed equilibrio personale, dilazione ed immediatezza, libertà di essere dominati e padronanza intorno al sentire, autonomia e dipendenza, dramma interiore (capacità di far coesistere i numerosi tratti distintivi della propria personalità, talvolta in conflitto o in contraddizione tra loro). Sempre, le antinomie del vivere che agiscono nel rapporto di amicizia si muovono in un contesto specifico, come nel caso della Milano di Antonia Pozzi e Vittorio Sereni. Amici, passeggiavano sotto i portici dell’Università, continuando a parlare di filosofia e poesia, dopo aver ascoltato la lezione su Kant di Antonio Banfi. Tra gli esempi che Borgna si serve per attraversare il territorio-amicizia, se ne legge uno che riguarda Ulrich e Walter, personaggi raccontati ne L’uomo senza qualità di Robert Musil. Scrive Musil: «le amicizie giovanili hanno qualcosa di strano; sono come un uovo che ha già nel tuorlo il suo meraviglioso avvenire d’uccello, ma al mondo non presenta che una linea ovale abbastanza inespressiva e confondibile con tutte le altre»; e ancora, un’altra citazione che consente di conoscere un po’ meglio i pensieri di Ulrich: «tanto era più forte in gioventù l’istinto di brillare che quello di veder chiaro; il ricordo di quel sentimento giovanile fluttuante quasi su raggi di luce lo sentì come una perdita dolorosa».

Nel testo si trovano anche riferimenti riluttanti ed enigmatici rispetto all’età giovanile e ai rapporti che in essa si stringono; è il caso del giovane poeta Rainer Maria Rilke, che nei primi anni della sua attività poetica non nasconde i profondi dubbi che ha nei confronti dei suoi coetanei, dei suoi simili. Lo fa scrivendo una poesia, Io temo tanto la parola degli uomini, di seguito nella traduzione di Anna Maria Carpi per Einaudi:

Io temo tanto la parola degli uomini.

Dicono tutto sempre così chiaro:

questo si chiama cane e quello casa,

e qui è l’inizio e là la fine.

E mi spaura il modo, lo schernire per gioco,

che sappian tutto ciò che fu e sarà;

non c’è montagna che li meravigli:

le loro terre e giardini confinano con Dio.

Vorrei ammonirli, fermarli: state lontani.

A me piace sentire le cose cantare.

Voi le toccate: diventano

rigide e mute.

Voi mi uccidete le cose.

L’amicizia, specie nell’età giovanile, dischiude lo scenario del dubbio, della resistenza che cose e persone possono fare di contro a decisioni e speranze individuali. Questo impaurisce e irrigidisce, ma si tratta di una messa alla prova, del percorso naturale e formativo del rapporto tra esseri umani.

Il mettersi alla prova costituisce una zona liminare: cioè quella zona dell’esistere e del pensare umano che mette in comunicazione, e che può produrre separazione o aggregazione, senza mai raggiungere il tutto indifferenziato. Tale periodo liminare, di sospensione, ha uno scopo formativo; avvicina la persona a compiere un determinato rito di passaggio – nel caso degli adulti, esegetico – e  che può rinsaldare e generare rapporti ed alleanze.

L’amicizia, sempre arricchita di immaginazione e realtà, in una cornice esistenziale fatta di “piccole storie” costituite da microcosmi umani, ricordi, sentimenti, nostalgie, vicissitudini, metafore. Piccole storie aperte ai conflitti e alle lacerazioni, alle debolezze e alle tentazioni, nell’ansia di capirsi e nella possibilità di creare insieme una comunità di cura e destino.

Borgna, dopo aver dedicato il testo L’indicibile tenerezza (2016) al pensiero di Simone Weil, “attraversa” di nuovo le parole di questa autrice, e ricorda che Weil considera l’amicizia un miracolo. È tale anche nei manicomi di psichiatria ieri, nei reparti di psichiatria oggi, quando un paziente, a voce o con una lettera, chiede al medico o agli infermieri la possibilità di una visita da parte dell’amico o dell’amica; nello strazio, nella sofferenza, lo sguardo dell’amico può aiutare a ritrovare un senso, anche nelle notti dell’anima così saldamente costituite da tremori e angosce. L’amico è la persona che non segue solo le parole, non maneggia solo l’arte dell’ascolto. L’amico sa rimanere tra sospiri e afflati. La sua presenza silenziosa può fendere la vischiosa disperazione, estendere nuovamente la propulsione all’avvenire e così accendere una simbolica che profuma di altrimenti.

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