Eugenio Serra (1990) si è laureato in Filosofia presso "La Sapienza", Università di Roma.
Recensione a
A. Tarquini, La sinistra italiana e gli ebrei. Socialismo, sionismo e antisemitismo dal 1892 al 1992
Il Mulino, Bologna 2019, pp. 312, €22,00.
La sinistra italiana e gli ebrei. Socialismo, sionismo e antisemitismo dal 1892 al 1992 (il Mulino, Bologna 2019) di Alessandra Tarquini, docente di Storia Contemporanea alla “Sapienza” di Roma e figura tra le più note della giovane ricerca storiografica italiana, è un libro di straordinario interesse e complessità. Formatasi alla scuola di due dei maggiori studiosi mondiali del fascismo italiano, Renzo De Felice ed Emilio Gentile, Alessandra Tarquini, ha studiato a lungo, con originalità di metodi e di contenuto, il tema del fascismo, imponendosi presto all’attenzione come una delle più innovative interpreti di questo fenomeno. Proveniente, come dirà nell’ultima pagina del libro dedicata ai Ringraziamenti, da una “famiglia di sinistra”, e auspicando di rimanere ancora a lungo nei quadri di questa tradizione politica che sta alle sue origini, Tarquini, in questo libro, ricostruisce il difficile rapporto fra la sinistra di tradizione marxista e gli ebrei (una sorta di inadeguatezza strutturale di questo vasto mondo della sinistra nel proporre una riflessione approfondita sulla questione ebraica), per evidenziare alcuni punti critici di questa tradizione che inibiscono, ancora adesso, alla sinistra una piena comprensione del presente, ed anche una maggiore libertà rispetto ad esso.
La ricerca prende le mosse dal 1892, «anno di fondazione del Psi, e termina nel 1992, anno in cui gli eredi della tradizione marxista lasciarono spazio ad altri diversi soggetti» (p. 12), offrendoci uno scorcio dell’intera storia del novecento. Cento anni di storia, scrive Tarquini, nei quali i due partiti più importanti dell’universo della sinistra espressero quasi sempre indifferenza verso gli ebrei e ostilità nei confronti di Israele. Infatti, l’entusiasmo per la nascita del nuovo Stato, appoggiato dall’Urss e sostenuto dai Comunisti e dai Socialisti, che sembrava fosse il presagio di un rapporto più fecondo in realtà «durò molto poco e terminò all’inizio degli anni Cinquanta con la rottura dei rapporti fra Mosca e Tel Aviv» (p. 289), che portò i due principali partiti della sinistra a modificare le posizioni iniziali, in ossequio alla politica dei sovietici e ad assumere, in seguito, una politica estera filoaraba e di ostilità nei confronti di Israele.
Soltanto nei primi anni Sessanta, nota Tarquini, i rapporti con Israele, e in particolare quelli che riguardavano il Psi, cambiarono, grazie soprattutto al contributo di Pietro Nenni, ministro degli Esteri alla fine di quegli anni e «principale artefice dell’amicizia fra Israele e i socialisti» (p. 290). E tuttavia, è solo con gli anni Ottanta che si registrarono grandi trasformazioni: la svolta di Bettino Craxi che portò il Psi su posizioni dichiaratamente filopalestinesi e quella del Pci-Pds che inaugurò una nuova fase della sua storia e dei suoi rapporti con la questione ebraica» (p. 291). Si trattò di un vero e proprio cambiamento che mutò radicalmente la storia dei rapporti fra la sinistra e gli ebrei. In questa relazione, così complessa e problematica, ebbe un ruolo centrale la «visione del mondo che […] traeva la sua origine da Marx e dai teorici della Seconda Internazionale» (p. 292), ereditata e assunta dai partiti di tradizione marxista, la quale ha impedito alla sinistra di elaborare e di proporre un’analisi adeguata, e specifica, dell’antisemitismo, interpretato per anni o come una forma di regressione, come «il risultato di una reazione contro la modernità» (p. 115), o, secondo i teorici della Scuola di Francoforte, come un fenomeno tutto moderno, come «l’espressione di un suo tratto» (p. 115), o, infine, spiegato sostanzialmente all’interno della categoria dell’antifascismo, e quindi senza più distinguere fra i perseguitati razziali e quelli politici. Rimasero, invece, completamente fuori sia «un’interpretazione del rapporto fra l’antisemitismo e i regimi che ne fecero un aspetto della loro politica» (p. 115) e sia la domanda sul «perché proprio gli ebrei divennero vittime di uno sterminio» (p. 115).
E tuttavia, pur dentro questi limiti analitici e politici, dalla ricerca di Tarquini si ricava anche una immagine di straordinaria coerenza e serietà di questi partiti (comune, in realtà, a buona parte dei partiti di massa novecenteschi), le quali emergono con tutta la loro drammaticità in un episodio, riportato dall’autrice, che vede protagonista il senatore Umberto Terracini, uno dei principali esponenti della minoranza del Pci, nonché figura storica di quel partito. Si trattò di un’episodio che vide Uri Avnery, un giornalista israeliano, al centro di una polemica sorta in casa comunista. «Nella primavera del 1970, scrive Tarquini, la casa editrice Laterza si rivolse al Pci chiedendo il nome di un dirigente disponibile a presentare il volume di Avnery, Israele senza sionisti, da poco tradotto in italiano e molto critico verso la classe dirigente del suo paese. Ne nacque un conflitto perché gli esponenti del Pci cercarono di convincere Laterza che la persona adatta all’evento fosse Emilio Sereni, mentre l’editore preferiva Umberto Terracini. Alla fine Laterza ebbe la meglio e l’11 maggio 1970, al teatro Eliseo di Roma, il volume fu discusso davanti a un’ampia platea» (p. 217).
Questa polemica sorta all’interno del Partito Comunista Italiano apparentemente marginale, antiquata e anacronistica rispetto ai nostri tempi, descrive tuttavia perfettamente la forza di questo partito per il quale anche la presentazione di un libro era terreno di scontro, di discussione, di confronto. Insomma, non si tratta di negare, come correttamente scrive Alessandra Tarquini nelle conclusioni del suo libro, «la debolezza del determinismo storicistico», quel modo singolare di ragionare «per cui, dato un contesto, le cose non possono andare che in un certo modo» e neanche di negare l’intolleranza, o meglio l’indifferenza, nei confronti della minoranza ebraica che da quella visione emergeva, ma di certo emergeva qui, in questa storia, un tratto importante che neanche è possibile negare, o cancellare, e cioè una visione alta della politica, e forse anche una idea più seria della vita.