Antonio Magliulo (1962) è professore ordinario di Storia del pensiero economico presso il Dipartimento di Scienze per l'Economia e l'Impresa dell'Università degli Studi di Firenze. Membro della European Society for the History of Economic Thought (ESHET) e della Associazione Italiana per la Storia del pensiero economico (AISPE). Fa parte anche dell’Editorial Board della rivista «History of Economic Thought and Policy». Oltre a numerosi articoli e saggi su riviste nazionali ed internazionali, tra le sue pubblicazioni più recenti: Il pensiero dei padri costituenti: Ezio Vanoni(Il Sole 24 Ore, Milano 2013); Gli economisti e la costruzione dell'Europa(Editrice Apes, Roma 2019); A History of European Economic Thought (Routledge, London 2022).

Nel febbraio del 1968 Ugo La Malfa, presentando ai lettori italiani La sfida americana, il libro di Jean-Jacques Servan-Schreiber, notava come in pochi decenni l’Europa avesse ceduto lo scettro del comando ai “paesi dei grandi spazi” e in primo luogo agli Stati Uniti. Oggi, dopo decenni di multilateralismo e di cooperazione internazionale, si prospetta una nuova sfida tra America e Europa. Per il momento siamo solo agli annunci. Il 20 gennaio scorso, Donald Trump, nel suo Inaugural address, ha lanciato il guanto. Il giorno dopo, nello speech pronunciato davanti ai potenti di Davos, Ursula von der Leyen ha cercato di raccoglierlo.

La percezione diffusa, non nuova ma neppure infondata, è che l’Unione Europea (UE) sia davanti ad una “sfida esistenziale”. Il pericolo viene non tanto, o non solo, dall’esterno quanto dall’interno: oggi i tre maggiori Paesi fondatori e costruttori dell’Europa unita – Francia, Germania e Italia – sono di fatto condizionati da una destra che vuole, per usare l’espressione di Charles De Gaulle, “un’Europa delle patrie” e cioè un’alleanza tra Stati nazionali gelosi custodi delle rispettive sovranità e non, come prospettato da Alcide De Gasperi, “la nostra patria Europa” e cioè una federazione in grado di trasferire pezzi di sovranità nazionale ad organismi comunitari. Lo stesso De Gaulle, con la cosiddetta crisi della sedia vuota, nel 1965 paralizzò per mesi la Commissione delle Comunità europee. Ecco, oggi l’UE rischia una nuova paralisi e forse un rapido declino. Che fare dunque per salvare l’Europa? Non ho certo la pretesa di saper rispondere: vorrei fornire soltanto qualche spunto di riflessione. In rapida sequenza vedremo: il discorso inaugurale di Trump, una sintesi dei Rapporti Letta e Draghi su cui si fonda la strategia europea e la replica della von der Leyen.  

Il discorso di Trump è forte, persuasivo, convincente, a tratti entusiasmante, ma sbagliato. Il commander in chief vuole difendere gli americani e innanzitutto quelli più deboli, feriti dalla globalizzazione avviata da Clinton. Il filo conduttore è America first, Make America Great Again (MAGA). Come? Innanzitutto difendendo i confini nazionali con un’azione volta a impedire l’entrata dei clandestini e a deportare i migranti clandestinamente entrati. Poi difendendo l’industria nazionale con misure volte a riportare a casa, con sussidi e tasse, imprese che avevano delocalizzato, cancellando il green deal di Biden e limitando, con i dazi, l’importazione di merci straniere. I dazi hanno anche il vantaggio, secondo Trump, di far pagare il conto agli stranieri rimpinguando le casse del Tesoro americano. Infine abbattendo il prezzo dell’energia, che alimenta l’inflazione, con la ripresa della trivellazione dei pozzi di petrolio.

Ma ascoltiamo la persuasiva prosa di Trump, nella traduzione italiana del discorso disponibile sul sito della Casa Bianca. L’inizio di una nuova età dell’oro: «Da questo giorno in poi, il nostro paese fiorirà e sarà di nuovo rispettato in tutto il mondo. Saremo l’invidia di ogni nazione e non permetteremo più di essere sfruttati. Durante ogni singolo giorno dell’amministrazione Trump, metterò, molto semplicemente, l’America al primo posto. (Applausi)».

La difesa dei confini nazionali: «Abbiamo un governo che ha dato finanziamenti illimitati alla difesa dei confini stranieri, ma si rifiuta di difendere i confini americani o, cosa più importante, il proprio popolo… Oggi firmerò una serie di ordini esecutivi storici. Con queste azioni, inizieremo la completa restaurazione dell’America e la rivoluzione del buon senso. È tutta una questione di buon senso. (Applausi)».

La lotta all’inflazione: «La crisi dell’inflazione è stata causata da una massiccia spesa eccessiva e dall’aumento dei prezzi dell’energia, ed è per questo che oggi dichiarerò anche un’emergenza energetica nazionale. Trivelleremo, baby, trivelliamo. (Applausi)».

La reindustrializzazione dell’America: «L’America sarà di nuovo una nazione manifatturiera, e abbiamo qualcosa che nessun’altra nazione manifatturiera avrà mai – la più grande quantità di petrolio e gas di qualsiasi altro paese sulla terra – e lo useremo. Lo useremo. (Applausi.) … Con le mie azioni di oggi, porremo fine al Green New Deal e revocheremo l’obbligo per i veicoli elettrici, salvando la nostra industria automobilistica e mantenendo il mio sacro impegno nei confronti dei nostri grandi lavoratori dell’auto americani. (Applausi). In altre parole, potrai acquistare l’auto di tua scelta».

Con i dazi pagheranno gli stranieri: «Inizierò immediatamente la revisione del nostro sistema commerciale per proteggere i lavoratori e le famiglie americane. Invece di tassare i nostri cittadini… tasseremo i paesi stranieri per arricchire i nostri cittadini. (Applausi) A tal fine, stiamo istituendo l’Agenzia delle Entrate per riscuotere tutte le tariffe, i dazi e le entrate. Saranno enormi quantità di denaro che si riverseranno nel nostro Tesoro, provenienti da fonti estere».

I provvedimenti annunciati sono sbagliati dal punto di vista sia economico che etico. Nessuno potrà fermare milioni di migranti disperati, se non una politica di cooperazione internazionale che promuova lo sviluppo economico e sociale di quei popoli. I dazi, come è stato già calcolato da indipendenti e autorevoli centri di ricerca, ridurranno la ricchezza e accresceranno l’inflazione, anche dell’America. Le trivelle faranno pagare il prezzo di un’effimera crescita alle future generazioni di tutto il mondo.

E veniamo ai Rapporti Letta e Draghi, che sono alla base dell’annunciata strategia europea. Enrico Letta ha presentato il suo Rapporto il 17 aprile e Mario Draghi il 9 settembre 2024. Congiuntamente, essi prospettano uno scenario che può essere così riassunto. L’Europa è «molto più di un mercato» (titolo del Rapporto Letta che mutua una frase di Delors). L’Europa è infatti una comunità di destino che intende proteggere i fondamentali diritti della persona. Ma se non riprende a crescere, e questo è il messaggio del Rapporto Draghi, non potrà più farlo: in particolare non potrà più finanziare il proprio modello di economia sociale di mercato. Gli economisti, a partire da Adam Smith, hanno insegnato che la crescita economica dipende da due fattori: dal numero degli occupati e dalla loro produttività. In Europa declinano entrambi: la forza lavoro come conseguenza della riduzione della popolazione e la produttività del lavoro per un insieme di fattori che possono essere ricondotti al nanismo delle imprese. Le imprese europee sono troppo piccole per effettuare le innovazioni necessarie a competere con le big corporations americane. E sono troppe piccole perché operano in un mercato ancora frammentato, nonostante che il mercato unico europeo, poi denominato interno, sia stato formalmente completato nel 1990. Letta descrive almeno tre barriere che spezzettano il mercato europeo. La prima è fisica: con l’eccezione della tratta Parigi-Bruxelles-Amsterdam, non vi sono treni ad alta velocità che collegano le capitali europee. La seconda è economica: la mancanza di un integrato mercato dei capitali fa sì che oltre 300 miliardi di euro l’anno vanno a finanziare investimenti esteri anziché europei. La terza è giuridica: l’esistenza di 27 regimi fiscali e commerciali impedisce alle imprese europee di sfruttare pienamente i vantaggi del mercato unico.

Letta avanza una serie di proposte che Draghi fa proprie aggiungendone altre. In sostanza i due ex premier italiani delineano una strategia finalizzata a completare il mercato interno, rimuovendo le barriere esistenti, e a proteggerlo con una appropriata e comune politica industriale. In concreto, Letta propone di creare una “Unione dei risparmi e degli investimenti”, per indirizzare il risparmio europeo verso investimenti interni, in particolare green, di istituire un virtuale 28° regime fiscale e commerciale alternativo ai differenziati e complicati regimi nazionali e di aggiungere alla libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali, una quinta ed effettiva libertà: quella di poter studiare, insegnare e fare ricerca in ogni parte d’Europa, condizione necessaria per accrescere l’indispensabile capitale umano. Alle proposte di Letta, Draghi aggiunge, tra le altre, la semplificazione burocratica e una comune politica industriale finalizzata a creare grandi imprese (i cosiddetti campioni) in grado di competere nel mercato globale e a ridurre il grado di dipendenza dell’Europa nell’approvvigionamento delle materie prime cosiddette rare.

Il 21 gennaio scorso, parlando a Davos, nel tempio della globalizzazione, la von der Leyen ha esplicitamente recepito i suggerimenti dei due ex premier italiani. La chiave di lettura è un giudizio storico della globalizzazione, che è stata positiva, perché ha consentito a milioni di persone, principalmente cinesi e indiani, di uscire dalla trappola della povertà ma che, secondo von der Leyen, è terminata, almeno nella versione sperimentata, proprio perché gli emersi Paesi, e innanzitutto la Cina, operano nel mercato globale con regole che non sono di mercato. Si apre dunque una fase nuova in cui l’Europa dev’essere più competitiva riducendo il gap di produttività, e quindi di innovazione, rispetto ai grandi player mondiali.

In linea con i Rapporti Letta e Draghi, von der Leyen propone tre principali linee di azione: una Unione dei capitali, per finanziare col risparmio europeo maggiori investimenti, una semplificazione burocratica per facilitare l’attività delle imprese e una politica di energia pulita e a basso costo. Ascoltiamo anche la von der Leyen (sempre nella traduzione italiana):

Per sostenere la nostra crescita nel prossimo quarto di secolo, l’Europa deve cambiare marcia … In primo luogo, l’Europa ha bisogno di un’Unione dei mercati dei capitali profonda e liquida. I risparmi delle famiglie europee ammontano a quasi 1.400 miliardi di euro, rispetto a poco più di 800 miliardi di euro negli Stati Uniti. Ma le imprese europee faticano ad attingervi e a raccogliere i finanziamenti di cui hanno bisogno perché il nostro mercato nazionale dei capitali è frammentato. E perché questo spinge il denaro all’estero: ogni anno 300 miliardi di euro di risparmi delle famiglie europee vengono investiti all’estero. In secondo luogo, dobbiamo rendere gli affari molto più facili in tutta Europa. Troppi dei nostri migliori talenti lasciano l’UE perché è più facile far crescere le loro aziende altrove. E troppe imprese stanno frenando gli investimenti in Europa a causa di una burocrazia inutile. Dobbiamo agire a tutti i livelli: continentale, nazionale e locale … Ma voglio andare ancora oltre. Oggi il mercato unico europeo presenta ancora troppe barriere nazionali. A volte le imprese hanno a che fare con 27 legislazioni nazionali. Offriremo invece alle aziende innovative di operare in tutta l’Unione con un unico insieme di regole. Lo chiameremo il 28° regime … La terza base è l’energia. Prima dell’inizio della guerra di Putin, l’Europa riceveva dalla Russia il 45% delle forniture di gas e il 50% delle importazioni di carbone. La Russia era anche uno dei nostri maggiori fornitori di petrolio. Questa energia sembrava a buon mercato, ma ci esponeva al ricatto. Così, quando i carri armati di Putin sono entrati in Ucraina, Putin ci ha tagliato le forniture di gas e in cambio abbiamo ridotto sostanzialmente la nostra dipendenza dai combustibili fossili russi in tempi record. Le nostre importazioni di gas dalla Russia sono diminuite di circa il 75%. E ora importiamo dalla Russia solo il 3% del nostro petrolio, e niente carbone. Ma la libertà ha avuto un prezzo. Le famiglie e le imprese hanno visto i costi energetici salire alle stelle e le bollette per molti non sono ancora scese. Ora la nostra competitività dipende dal ritorno a prezzi energetici bassi e stabili. L’energia pulita è la risposta a medio termine, perché è economica, crea buoni posti di lavoro e rafforza la nostra indipendenza energetica. Già oggi l’Europa genera più elettricità dall’eolico e dal solare che da tutti i combustibili fossili messi insieme. Ma c’è ancora del lavoro da fare per trasferire questi benefici alle aziende e alle persone.

In conclusione, Trump dà un giudizio negativo della globalizzazione: vede solo gli sconfitti, e solo quelli americani, e prospetta una rapida marcia indietro verso un mondo di nazioni chiuse e indipendenti. Von der Leyen offre una lettura più articolata: apprezza la riduzione della povertà assoluta, forse sottovaluta la sofferenza subita da molti lavoratori occidentali, e propone di andare avanti, se necessario correggendo la rotta, ma sempre puntando alla meta di una maggiore unità europea e di una rinnovata cooperazione internazionale.

La prospettiva giusta, a mio parere, è quella della von der Leyen. Sarebbe sbagliato e controproducente tentare di tornare indietro in un mondo di chiuse e antagoniste nazioni. Trump rischia di commettere lo stesso errore del mercantilista Colbert che cercò di trasformare la Francia del Re Sole in una macchina da guerra finendo per danneggiare la stessa economia francese. L’economia non è un gioco a somma zero in cui qualcuno guadagna a danno di altri. È invece un gioco a somma positiva in cui tutti possono guadagnare da una divisione internazionale del lavoro, ma a condizione che vi siano regole comuni e che l’economia sia governata da istituzioni nazionali e sovranazionali.

Che fare dunque? Sostenere Ursula. Sostenere le istituzioni europee nel tentativo di vincere la sfida esistenziale continuando a costruire un’Europa unita in una comunità internazionale da ricostruire.

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