Alfonso Lanzieri (1985) è dottore di ricerca in filosofia dal 2017. Attualmente insegna filosofia presso la Facoltà Teologica di Napoli e l’ISSR “Duns Scoto” di Nola-Acerra. Si interessa principalmente di filosofia della conoscenza e filosofia della mente. Ha pubblicato saggi, articoli e monografie, tra cui Pensiero e realtà. Un'introduzione al "realismo critico" di Bernard Lonergan (Mimesis, 2017); Il corpo nell'anima. Henri Bergson e la filosofia della mente (Mimesis, 2022).

In questi anni stiamo imparando dolorosamente che in tempo di guerra la comunicazione si fa più difficile: i rispettivi punti di vista, irrigiditi dalla complessa temperie storica, dall’emotività e dallo stress che soprattutto chi ha ruoli istituzionali deve reggere, fanno fatica a dialogare.

Nelle ultime settimane hanno fatto molto discutere le parole pronunciate da Papa Francesco nel corso di un’intervista concessa alla Radiotelevisione svizzera a inizio febbraio, nella quale, a proposito dell’Ucraina, il pontefice affermava che Kyiv dovrebbe avere: «È più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare».

A molti queste frasi sono sembrate troppo lontane dalle ragioni dell’Ucraina. Bisogna però doverosamente aggiungere che l’intervista completa è stata pubblicata solo pochi giorni fa, il 20 marzo, e le parole richiamate rappresentano un estratto, pubblicato a mo’ di anticipazione, tratto da un discorso più ampio. Infatti, qualche ora dopo la diffusione del frammento, il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni, volendo offrire l’esegesi corretta del capo della Chiesa cattolica, chiariva che l’immagine della “bandiera bianca” era prima dell’intervistatore e poi ripresa da Francesco, e che il desiderio del Papa «è una soluzione diplomatica per una pace giusta e duratura», aggiungendo che l’auspicio di Francesco per il Paese, da sempre definito «martoriato», è tutto racchiuso nelle parole già espresse all’Angelus del 25 febbraio, all’indomani del drammatico doppio anniversario dello scoppio del conflitto, in cui ribadiva il suo «vivissimo affetto» alla popolazione. E cioè di «creare le condizioni di una soluzione diplomatica alla ricerca di una pace giusta e duratura». Anche il cardinale Parolin, segretario di Stato vaticano, è tornato sulla vicenda con una lettura del pensiero del Pontefice: «Quando parla di coraggio vuole dire che negoziare non è debolezza ma è forza. Non è resa ma è coraggio».

Quel che è a nostro avviso essenziale in questa vicenda, non riguarda tanto il chiarimento delle intenzioni di Papa Francesco. Rispetto a queste, valgono le interpretazioni offerte dalla sala stampa vaticana e dalla Segreteria di Stato, a meno che non si abbia accesso a verità diverse, ma non è il caso di chi scrive. La cosa importante sta nella reazione dei vescovi greco-cattolici ucraini del Sinodo permanente riuniti negli Stati Uniti, diffusa l’11 marzo scorso.

I vescovi chiariscono di non voler commentare le dichiarazioni del Papa, ma presentare il «punto di vista delle vittime dell’invasione russa dell’Ucraina» al fine di comprendere la visione della maggior parte dei cittadini ucraini.

Per chiunque si trovi sul posto  ̶  si legge nel documento  ̶  è chiaro che i cittadini sono “feriti ma non spezzati, stanchi ma resistenti”. Gli ucraini non possono arrendersi perché la resa significa morte. Le intenzioni di Putin e della Russia sono chiare ed esplicite. Gli obiettivi non sono quelli di un singolo individuo: il 70% della popolazione russa sostiene la guerra genocida contro l’Ucraina, così come il Patriarca Kirill e la Chiesa ortodossa russa.

I vescovi sottolineano come

nella mente di Putin, non esistono cose come l’Ucraina, la storia e la lingua ucraine, e la vita della chiesa ucraina indipendente. Tutte le questioni ucraine sono costruzioni ideologiche, adatte ad essere sradicate. L’Ucraina non è una realtà ma una mera “ideologia”. L’ideologia dell’identità ucraina, secondo Putin, è “nazista”. Chiamando “nazisti” tutti gli ucraini (che rifiutano si essere russi e accettare il dominio russo) Putin li disumanizza. I nazisti (in questo caso gli ucraini) non hanno il diritto di esistere.

A questo punto, i vescovi elencano i crimini di guerra delle forze russe a Bucha, Irpin, Borodianka, Izium e in altri territori occupati. Questi crimini mostrano agli ucraini «il chiaro scopo di questa guerra: eliminare l’Ucraina e gli ucraini». Il documento ricorda anche che nel 1994 l’Ucraina ha negoziato la rimozione del suo arsenale nucleare in cambio delle garanzie di sicurezza riguardo alla sua integrità territoriale (compresa la Crimea) e all’indipendenza: «Il memorandum di Budapest del 1994 firmato da Russia, Stati Uniti e Regno Unito – affermano i vescovi – non vale la carta su cui è stato scritto. Così sarà per qualsiasi accordo “negoziato” con la Russia di Putin». In conclusione, gli estensori ribadiscono che «gli ucraini continueranno a difendere la libertà e la dignità per raggiungere una pace giusta. Credono nella libertà e nella dignità umana data da Dio. Credono nella verità, la verità di Dio. Sono convinti che la verità di Dio prevarrà».

Ci sembra che questo testo non abbia avuto la diffusione dovuta nel nostro Paese, forse anche perché, al di là dei convenevoli formali, la sua genesi è oggettivamente la contrapposizione alle precedenti dichiarazioni del Pontefice sul coraggio del negoziato. Eppure, al di là dei motivi polemici che distolgono dalla onesta ricerca della verità, il messaggio dei vescovi aiuta ad assumere la prospettiva ucraina: senza lo sforzo di entrare in quest’ultima, anche i tentativi di mediazione, qualora ci fossero spiragli, risultano del tutto velleitari, perché non parlano un linguaggio che gli ucraini possono ascoltare.

In aggiunta, dobbiamo però segnalare anche il Messaggio del 14 febbraio scorso, prodotto ancora dal Sinodo dei Vescovi della Chiesa greco-cattolica ucraina in Ucraina riguardo alla guerra e alla giusta pace nel contesto delle nuove ideologie. Il titolo è assai esplicativo: «Liberate l’oppresso dalle mani dell’oppressore» (Ger. 22,3). È un documento lungo e articolato, nel quale da una parte si richiama la ricerca di un atteggiamento il più possibile meditato di fronte alla tragicità della situazione, senza cedere né alla disperazione né all’odio; dall’altra, però, si critica anche l’indifferenza di chi vuole ignorare la guerra, per un meccanismo psicologico di difesa o anche a causa di una malattia morale. Il testo intende chiarire la dottrina cattolica sulla guerra e sulla pace, intrecciando tali temi a ricostruzioni e considerazioni storiche che sarebbe bene ascoltare: talvolta, infatti, la nostra prospettiva non è del tutto conscia del punto di vista delle popolazioni che si trovano tra la Mitteleuropa e il mondo russo, come il mai troppo citato Un occidente prigioniero di Milan Kundera ha tentato di dirci (forse invano).

Non a caso, il Messaggio afferma che

è impossibile comprendere le ragioni della guerra della Russia contro l’Ucraina e trovare adeguati mezzi spirituali per la vittoria e il raggiungimento di una pace giusta senza comprendere il contesto più ampio degli eventi contemporanei, senza la consapevolezza dei principi fondamentali della giustizia sociale, sia delle relazioni sociali all’interno di ogni Stato giuridico sia delle relazioni internazionali e dei fondamenti del diritto internazionale. Le radici di ciò che sta accadendo oggi risalgono almeno al secolo scorso, se non addirittura a periodi più antichi.

Il richiamo a Kundera trova un suo diretto sostegno allorquando, in uno dei passaggi più significativi del documento, i vescovi scrivono che il totalitarismo sovietico, uscendo vincitore dalla Seconda guerra mondiale, non solo non fu messo davanti ai propri crimini, ma poté allargare la propria zona d’influenza, conquistò, tra gli altri, i paesi dell’Europa centro-orientale, creando regimi-satellite e instaurando il cosiddetto blocco orientale degli stati comunisti, che si opponevano ai paesi del mondo libero. Il crollo dell’Urss  ̶̶  affermano i vescovi  ̶  ha offerto la possibilità di libertà e una vita dignitosa ai popoli che avevano creato le repubbliche socialiste all’interno dell’Unione Sovietica.

Tra questi popoli, vi erano gli ucraini, che ottennero l’indipendenza e lo stato nazionale che sognavano da secoli. Ricordiamo che, proprio la nostra Chiesa, che è stata criminalmente proibita dai governanti comunisti dopo la Seconda guerra mondiale, è stata perseguitata e costretta a operare clandestinamente durante tutto il periodo sovietico, è stata uno dei più importanti motori del cambiamento in Ucraina [parte evidenziata nostra].

L’invasione di Putin dell’Ucraina, fa capire il Messaggio, non è altro che la prosecuzione dell’imperialismo russo:

La nuova tirannia russa del XXI secolo è simile ai totalitarismi del XX secolo soprattutto per essere un nemico spietato della libertà e della dignità umana. Come i regimi totalitari del recente passato, essa si avvale di mezzi tecnici più recenti e ambisce di sottomettere non solo i corpi, ma anche le anime delle persone.

Il documento arriva a descrivere le caratteristiche del nuovo totalitarismo russo, definendolo un «totalitarismo ibrido». In base allo scenario descritto,

l’aggressione russa contro l’Ucraina non è una lotta per il territorio conteso: è un attacco al diritto internazionale e un crimine contro la pace. La guerra attuale in Europa è un conflitto di identità a somma zero, poiché gli ucraini cercano di preservare la propria indipendenza statale e il diritto di essere ucraini, e i russi cercano di privare gli ucraini del loro diritto di esistere come tali e ricostruire il loro impero. E le atrocità dell’esercito russo contro la popolazione civile, seguiti dal mondo intero quasi in diretta live, sono un brutale oltraggio alla dignità umana e un crimine al livello di genocidio. […] La neutralità artificiale e formale spinge molti a interpretare entrambe le parti contrapposte simmetricamente, come politicamente e moralmente uguali, ignorando le vere cause di questa guerra e le sue circostanze, e per questo essa è destinata alla sconfitta etica.

Abbiamo proposto solo alcuni stralci del documento, presi tra quelli che ci sembravano più significativi. Ci permettiamo di invitare caldamente alla lettura integrale del testo, che, come è stato per la dichiarazione dell’11 marzo, non ci pare sia stato oggetto di approfondita considerazione dalle nostre parti. A nostro avviso invece, anche se non si concorda col contenuto o con parti di questo, il Messaggio rappresenta un documento importante per guardare questo tempo drammatico con lo sguardo degli aggrediti, cioè degli ucraini, per confrontarsi con il loro desiderio di libertà ed evitare frettolosi inviti alle vittime, per così dire, a non essere troppo schizzinose. Senza questo passo preliminare, ogni cammino verso una conclusione del conflitto sarà perlomeno più accidentato.

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