Valerio Vagnoli (1952) si è laureato in letteratura italiana moderna e contemporanea con Luigi Baldacci. Dal 1973 al 2007 ha insegnato in tutti gli ordini di scuola, inclusi gli istituti penitenziari di Firenze. Rimane fondamentale la sua esperienza di maestro nel carcere minorile e nella sezione femminile del carcere di Sollicciano (sembra sia stato il primo docente maschio a ricoprire questo ruolo in Italia) ove peraltro incontrò e lavorò con Antonio Gelardi, già allora un illuminato giovane vicedirettore e in seguito uno dei direttori carcerari più innovatori del nostro Paese. Dal 2007  ha diretto scuole di ogni ordine e indirizzo chiudendo dopo 44 anni la propria attività all'Istituto professionale Saffi di Firenze. E, non a caso, sull'importanza di ricostruire  una autentica formazione professionale nel nostro Paese continua a mantenere  un costante e motivato impegno. Ha fatto parte del “Gruppo di Firenze” e collabora da tempo con quotidiani e riviste.

Recensione a: D. Breschi, Z. Ciuffoletti, Sfide a sinistra. Storie di vincenti e perdenti nell’Italia del Novecento, pref. di D. Cofrancesco, Le Lettere, Firenze 2023, pp. 312, € 19.50.

Questo lavoro a firma di Danilo Breschi e Zeffiro Ciuffoletti è una raccolta di saggi che analizzano il tormentato e a volte drammatico rapporto che ha caratterizzato la storia di tutta quanta la sinistra italiana a partire dalla fine dell’Ottocento fino ad arrivare alla crisi dei partiti nei primi anni Novanta del secolo scorso. Un lavoro, quello di Breschi e Ciuffoletti, che ci spinge costantemente alla riflessione non solo sul passato, ma anche sul presente dal momento che alcuni dei problemi di fondo che hanno caratterizzato la nostra storia continuano a permanere e a segnare il nostro sistema politico e istituzionale, condizionandolo pesantemente. Così come si conferma in linea di massima quello che continua ad essere il “destino” della sinistra italiana tuttora priva di una strada finalmente condivisa e in parte  ancora segnata dalla sua storica frantumazione in correnti e partiti che sono tra loro in costante, aspro e acerrimo conflitto. Ma procediamo con ordine.

Come gli Autori fanno presente nell’Avvertenza, i capitoli del «volume nascono […] come saggi e contributi a riviste o atti di convegno. Alcuni […] ancora in corso di pubblicazione». Inoltre, rispetto agli originali, tutti quanti sono stati riveduti, ampliati e alcuni perfino riscritti. I due Autori, oltre ad alternarsi a proposito dei vari temi trattati, condividono un intero capitolo scritto appunto a quattro mani e relativo a Lidea socialista di Repubblica alla vigilia della Costituente già apparso come la maggior parte dei saggi in anni recentissimi: quest’ultimo, in particolare, in altra opera collettanea del 2018. Tuttavia il volume, malgrado la suddivisione tra gli autori del lavoro in temi e capitoli, è comunque immune da frammentazioni e conserva, tanto per usare un vocabolo assai abusato nel secolo scorso proprio in ambito di certa sinistra, una sua organicità e consequenzialità. Si legge piacevolmente e proficuamente come una storia d’Italia dal punto di vista delle fratricide lotte ideologiche (e non solo) consumatesi a sinistra.

Infatti vicende, pensiero politico, correnti, filosofie, protagonisti maggiori e minori di tutti i movimenti e di tutti i contesti che hanno accompagnato la storia della sinistra italiana, con quanto a lei è correlato, sono analizzati seguendo una precisa periodizzazione e senza nulla tacere sulle conseguenze che tutti questi elementi ebbero nel determinare i percorsi nella storia del nostro Paese a partire, appunto, dalla fine dell’Ottocento. E la costante di queste vicende sarà appunto segnata dalle divisioni, dalle velleità più o meno rivoluzionarie legate all’esaltazione e all’uso della violenza come costante di un progetto molto più immaginato che non in grado di concretizzarsi davvero; progetto che non poteva che portare ad una costante replica di inevitabili fallimenti. Una disgraziata strategia che in parte segnerà anche le barbarie dei successivi anni del terrorismo, fenomeno a suo modo erede di un’anima che aveva appunto attraversato la storia di parte della sinistra italiana. Sui suoi fallimenti, sulle velleità dei massimalisti, dei sindacalisti rivoluzionari, dei comunisti scissionisti niente era stato più “profetico” del cosiddetto “biennio rosso” (1919-20) e degli anni successivi che portarono all’avvento e alla “consacrazione” del fascismo come guida di un governo di coalizione, prima, di partito unico al potere, poi. Quel biennio che, come scrive Ciuffoletti, «aveva partorito una adesione crescente al fascismo».

Anni ricostruiti soprattutto facendo della città (e campagna) di Firenze un punto di riferimento paradigmatico della storia nazionale dell’epoca, caratterizzata da instabilità politica (susseguirsi patologico di diversi presidenti del Consiglio) sia a livello centrale che locale, di ripetute scissioni all’interno del Partito socialista, di lotte sindacali nelle campagne e nelle città dove i moti annonari portarono ai ripetuti saccheggi dei negozi da parte di povera gente che nei mesi del 1919 cominciava già a fare i conti con la pandemia da “spagnola”. Insomma, la quotidianità era segnata da una sorta di guerra civile «dichiarata ma non guidata», portando così rapidamente «il Psi alla rovina anche delle conquiste del movimento operaio con decenni di lotte».

Rispetto a questa situazione sembrano profetiche le parole che Filippo Turati pronunciò al Congresso nazionale del Psi che si tenne a Bologna nell’ottobre del 1919 in polemica con i massimalisti: «Oggi non ci pigliano abbastanza sul serio, il nostro appello alla violenza sarà raccolto dai nostri nemici, cento volte meglio armati di noi, e allora addio per un bel pezzo azione parlamentare, addio organizzazione economica, addio partito socialista!». E pensare che quando Turati pronunciava queste parole il movimento dei Fasci di combattimento non era che all’inizio della propria avventura, peraltro sconfitto e umiliato alle elezioni tenutesi poco meno di un mese dopo.

Naturalmente il volume prende in esame anche le conseguenze che nel panorama politico e culturale ebbe la rivoluzione bolscevica tra resistenze, contrapposizioni e fascinazioni che coinvolsero non solo i futuri comunisti scissionisti, in primis Amadeo Bordiga e Antonio Gramsci, ma perfino Piero Gobetti del cui pensiero politico Breschi traccia un attento profilo, evidenziandone anche il trasporto per le figure di Lenin e Trotzki, nonché affinità e debiti intellettuali nei confronti del pensiero di Gramsci, di Croce e dello stesso Gentile.

Tornando invece al capitolo scritto a quattro mani cui accennavo all’inizio, Lidea socialista di  Repubblica alla vigilia della Costituente, gli Autori mettono in evidenza, tra l’altro, la contrapposizione che, durante il XXIV congresso del Partito socialista tenutosi nell’aprile del 1946 a Firenze proprio alla vigilia delle elezioni per l’Assemblea Costituente, si verificò tra le istanze di Massimo Severo Giannini, favorevoli ad un modello tendenzialmente presidenziale accompagnato da un sistema elettorale di stampo maggioritario, e quelle di Lelio Basso, favorevole invece ad una repubblica “proletaria” pertinente con le istanze del Pci e con le quali si riconosceva in quel periodo lo stesso Nenni. I due si contrapponevano pertanto alle posizioni di un Giuseppe Saragat, preconizzando, di fatto, la scissione dell’anno seguente, consumatasi a Palazzo Barberini con la nascita del Psli (Partito socialista dei lavoratori italiani, in onore dell’originaria formazione socialista nata a Genova nel 1892), ridenominato Psdi (Partito socialista democratico italiano) a partire dal 1952. I socialdemocratici, insomma. Ennesima scissione nella storia della sinistra, che ne avrebbe conosciute molte altre ancora nei decessi successivi.

Quello del sistema istituzionale è uno dei temi che più si ripropongono nell’intera opera di Breschi e Ciuffoletti. Non a caso ritorna anche nell’ultimo capitolo, dall’evocativo titolo Il colpo di stato bianco, con esplicito riferimento a quanto si poté in qualche modo realizzare a causa della debolezza dell’intero sistema politico nazionale, in particolar modo partitico (non privo di gravi responsabilità), che abdicò ai poteri della magistratura e dei media, esondati rispetto ad una logica di equilibrio e bilanciamento, che sarebbero finalmente riusciti a confermare la previsione di Ennio Flaiano secondo la quale gli italiani del futuro sarebbero diventati come li avrebbe formati la televisione. Furono, quelli, anni di profondo mutamento e tuttavia drammatici, dai quali sarebbero usciti infine vincitori proprio i media e la magistratura. Anni in cui, ancora una volta, la guerra “incivile” si combatté soprattutto a sinistra e a farne le spese furono un po’ tutti, chi prima, chi dopo.

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