Valerio Vagnoli (1952) si è laureato in letteratura italiana moderna e contemporanea con Luigi Baldacci. Dal 1973 al 2007 ha insegnato in tutti gli ordini di scuola, inclusi gli istituti penitenziari di Firenze. Rimane fondamentale la sua esperienza di maestro nel carcere minorile e nella sezione femminile del carcere di Sollicciano (sembra sia stato il primo docente maschio a ricoprire questo ruolo in Italia) ove peraltro incontrò e lavorò con Antonio Gelardi, già allora un illuminato giovane vicedirettore e in seguito uno dei direttori carcerari più innovatori del nostro Paese. Dal 2007 ha diretto scuole di ogni ordine e indirizzo chiudendo dopo 44 anni la propria attività all'Istituto professionale Saffi di Firenze. E, non a caso, sull'importanza di ricostruire una autentica formazione professionale nel nostro Paese continua a mantenere un costante e motivato impegno. Ha fatto parte del “Gruppo di Firenze” e collabora da tempo con quotidiani e riviste.
Il 18 settembre scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di disegno di legge di istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale e di revisione della disciplina in materia di valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti. Per quanto riguarda il primo aspetto del disegno di legge la novità come anche accennato nel mio precedente intervento su questa rivista, riguarda l’intera filiera della nostra Istruzione tecnico-professionale.
Prima di entrare nei particolari del progetto mi sembra opportuno sottolineare come questo nasca meritoriamente da un accurato confronto con molte delle parti in causa, a partire dalle Regioni che hanno, come da Legge costituzionale n. 3 del 2001, competenze concorrenti in merito alla formazione professionale. Oltre alle Regioni e ad altre strutture territoriali anche afferenti allo stesso Ministero dell’istruzione, gli interlocutori del ministro sono state le associazioni del mondo delle imprese e i maggiori esperti che da tempo hanno dedicato una costante attenzione a questo settore della formazione e dell’istruzione. Quell’attenzione che da tempo i ministri dell’istruzione avevano abbandonata e sancita, per fare un esempio tra i tantissimi altri, dalla soppressione da parte dell’allora ministro Maria Chiara Carrozza della Direzione generale istruzione tecnica ora ripristinata attraverso la creazione di una vera e propria struttura tecnica di livello dirigenziale per la promozione della filiera formativa tecnologico-professionale.
D’altra parte vale la pena di ricordare che anche al sottoscritto è accaduto in passato, in occasione di conferenze e convegni sul tema, di valorizzare la formazione professionale e la sua importante funzione educativa e di trovare talvolta, anziché lucide e motivate contrapposizioni, atteggiamenti di puro rifiuto ideologico tese a volere gli istituti tecnici, e soprattutto i professionali, votati essenzialmente ad una cultura astratta e generalista. Posizioni perciò fortemente refrattarie a collegare questi nostri indirizzi al mondo delle professioni e delle imprese, togliendo così molte concrete possibilità di assicurare agli studenti opportunità per potersi collocare nel mondo del lavoro con competenze adeguate e reale consapevolezza. In una di queste conferenze accadde perfino che un assessore all’istruzione e alla formazione professionale sgattaiolasse, per dirla col Fogazzaro, tra il pubblico, evidentemente per timore che il mio pensiero rischiasse di essere identificato col suo e magari con quello della sua area politica di riferimento (cfr. La proposta: sperimentare fin dalla prima superiore percorsi di formazione professionale negli istituti professionali toscani, relazione al Convegno del 5 novembre 2009, svoltosi a Firenze, Istituto degli Innocenti, sul tema Obbligo scolastico e formazione professionale; http://gruppodifirenze2.blogspot.com/2009/11/obbligo-scolastico-piu-opportunita-piu.html). Ma torniamo invece ad esaminare ciò che propone il decreto del 18 settembre 2023.
Dal prossimo anno scolastico è istituita la filiera formativa tecnologico-professionale costituita dai percorsi sperimentali del secondo ciclo di istruzione, dai percorsi formativi degli ITS, dai percorsi IeFP e da quelli IFTS. Questi ultimi attivati, come i percorsi IeFP, dalle singole Regioni: naturalmente da quelle che hanno scelto o finalmente sceglieranno di attivarli. Si tratta, a differenza degli ITS, di percorsi annuali a cui si possono iscrivere coloro che sono in possesso di un qualsiasi diploma di scuola superiore o del diploma professionale di tecnico conseguito nei percorsi regionali IeFP. Questi corsi hanno una durata che va dalle 800 alle 1000 ore e sono suddivisi in due semestri prevedendo attività teoriche, pratiche e di laboratorio; oltre naturalmente stage aziendale non inferiore al 40% dell’intero monte ore seguito da esperti che provengono dal mondo del lavoro.
Al termine dell’anno si ottiene un certificato di Specializzazione Tecnica Superiore spendibile nel mercato del lavoro italiano ed europeo, oppure sarà possibile iscriversi al percorso ITS, da anni operativo in molte aree del Paese, che ha una durata biennale e che offre una specializzazione ulteriore. Infatti i corsi ITS sono organizzati a livello regionale da Fondazioni che collaborano con imprese, Università, Centri di ricerca scientifica e tecnologica, Enti locali e con il sistema scolastico e formativo. Corsi che assicurano un forte legame con il mondo del lavoro così da rispondere alla domanda delle figure professionali più richieste e veramente necessarie alle imprese. Dove attivati, assicurano la piena occupazione almeno all’80% dei partecipanti. Di solito sono organizzati in quattro semestri con tirocini in Italia e all’estero, curati e seguiti da docenti provenienti dalle aziende di riferimento. Vi si accede con il diploma di scuola superiore o, come abbiamo visto, con il certificato IFTS. Ciascuna regione sceglie le aree di riferimento tra quelle riconosciute a livello nazionale mirando di fatto alle più impellenti esigenze economiche dei loro territori. Infine, con il nuovo decreto le Regioni e gli Uffici scolastici regionali possono stipulare accordi con ITS Academy, Università, istituzione AFAM (Alta Formazione Artistica, Musicale e coreutica) e altri soggetti pubblici e privati. Tali accordi possono prevedere l’istituzione di reti definite “campus” di cui possono far parte anche i percorsi IeFP e IFTS. A tali attività possono accedere anche studenti che hanno svolto la loro formazione nella IeFP quadriennale purché provengano da un percorso formativo a carattere tecnologico o il loro corso sia stato valutato positivamente dall’INVALSI attraverso sistemi e metodologie ancora da stabilire. Ma veniamo all’altra importante novità contenuta nel medesimo Decreto: l’attivazione, sempre dal prossimo anno, di percorsi quadriennali negli istituti tecnici e professionali. Una sperimentazione che, si dice ma sul testo del Decreto non vi è traccia, dovrebbe tuttavia interessare il 30% degli Istituti tecnici e professionali dell’intero Paese: vale a dire un numero di scuole comunque assai più numeroso rispetto alla sperimentazione del percorso quadriennale dei Licei che attiva oramai da sei anni coinvolge poco più di duecento scuole.
Il fatto che il Decreto non ponga per ora dei limiti numerici può far pensare, e sperare, che alla fine ciascuna scuola possa decidere di aderire alla sperimentazione in piena autonomia. Tutto ciò rappresenta un segnale evidente su quali siano le intenzioni del ministro a proposito di una generale riduzione dei percorsi di tutte le scuole medie di secondo grado a 4 anni. Su questa eventuale importantissima novità sarebbe opportuno che, nel mondo non solo scolastico, si aprisse finalmente un confronto serio e approfondito che guardasse anche alle esperienze della maggior parte degli altri paesi europei. Da parte mia c’è l’impegno a riprendere il tema nei prossimi mesi.
Il Decreto conferma naturalmente che gli studenti dei percorsi quadriennali devono alla fine del quarto anno dimostrare di aver acquisito le competenze richieste dal profilo educativo, culturale e professionale e acquisite negli altri istituti quinquennali. I percorsi quadriennali devono inoltre garantire altro e in particolare tutto ciò che è già previsto per il percorso quinquennale in merito alla possibilità per gli allievi del passaggio tra percorsi diversi, oppure, per le scuole, quella di mantenere autonomia in merito alla flessibilità didattica e organizzativa. Si insiste inoltre sulla necessità, da parte delle singole scuole, di stipulare contratti di prestazione d’opera con appartenenti al mondo del lavoro e delle professioni e sulla obbligatorietà di attivare una specifica certificazione delle competenze trasversali e tecniche per favorire l’inserimento lavorativo.
Le sperimentazioni prevedono anche la possibilità di attivare per le lingue straniere la metodologia CLIL con compresenza del conversatore della lingua straniera di riferimento, ricordando tuttavia che anche questa attività, come altre di cui sopra, sono lasciate a discrezione delle singole scuole; per esempio, contratti con docenti e operatori provenienti dal mondo del lavoro e delle professioni. Perciò, in mancanza di fondi, parte delle innovazioni auspicate rischiano appunto di rimanere semplicemente dei meri auspici. Oltre le attività di PCTO (già Alternanza scuola-lavoro), ampliate a 400 ore, si prevede la possibilità di poter stipulare contratti di apprendistato di primo livello. E a questo proposito occorrerebbe una maggiore chiarezza sul ruolo e sulla preparazione umana e didattica delle figure che i ragazzi incontreranno nel mondo del lavoro, così come non dovrebbe essere elusa una particolare attenzione ai diritti che i giovani devono vedersi rispettati una volta entrati nelle attività lavorative. Diritti frequentemente calpestati e anche per questo i nostri migliori studenti che escono dalle scuole professionali spesso preferiscono scegliere altri paesi europei dove andare a realizzarsi professionalmente e umanamente.
Queste, ovviamente, non sono le sole problematiche che la sperimentazione si porta dietro. Vi è quella, importantissima, del taglio delle ore delle discipline curriculari a favore dell’ampliamento di quelle dedicate alle attività scuola-lavoro, cioè del cosiddetto PCTO (percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento), e, fatto salvo il rafforzamento delle materie di base (italiano, matematica e quale altre?), nulla si dice sulla necessità di alleggerire soprattutto i percorsi professionali, a mio parere devastati dall’eccessiva quantità di materie che forse sono solo utili a togliere dalla disoccupazione decine di migliaia di docenti che invece potrebbero essere utili se riconvertiti in altre importanti funzioni che ad oggi sono carenti o del tutto assenti nel nostro sistema scolastico. Tanto per fare un esempio, personalizzazione degli apprendimenti, riconversione al sostegno, estensione del tutoraggio, compresenze, supplenze di breve durata. Sarebbe infine quanto mai urgente rivedere i cicli scolastici che precedono quello superiore di secondo grado, spesso carenti in particolare proprio nella trasmissione delle competenze di base, nell’orientamento e nelle attività laboratoriali.
Insomma, il decreto, insieme alle novità non difficili da individuare, vista la totale noncuranza da parte dei governi degli ultimi decenni nei confronti della formazione tecnica e professionale, dovrebbe nei prossimi mesi indicare altre opportune indicazioni, che peraltro non pare difficile scoprire. Basterebbe guardare alle esperienze molto positive in fatto di formazione tecnica e professionale di alcune nostre Regioni e a quanto di altrettanto positivo in questo settore accade in altri paesi europei. Infine mi preme fare presente che non è questa la sede per poter affrontare il secondo aspetto del decreto, cioè quello relativo alla revisione della disciplina in materia di valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti, anche se contiene temi che per la scuola, e non solo per questa, sono di straordinaria importanza.
Di sicuro, offrire ai ragazzi maggiori opportunità per realizzarsi e andare incontro ai loro interessi e alle loro inclinazioni senza doverli sottomettere a frustrazioni per aver scelto una scuola tutta quanta piegata alla trasmissione di un sapere astratto, servirà senz’altro a renderli maggiormente consapevoli e responsabili. Perché la scuola deve davvero fare di tutto per attutire e rimuovere le loro frustrazioni che, se vissute durante l’adolescenza, rischiano di rimanere vive per tutta la vita. Chi avrà la pazienza di recuperare il mio intervento al convegno del 5 novembre del 2009 non stia a perdere tempo nel leggere ciò che io scrissi e lessi, ma vada subito a vedere la citazione che feci a proposito di un articolo di Gramellini sull’orologiaio amico di Obama. Una vera scuola tecnica e professionale che, come da decreto, non è ancora del tutto quella auspicata, potrà essere determinante per aiutare i ragazzi a rintracciare il loro talento e anche perché, quando lo si incontra, arriva a smuovere, eccome, persino la loro consapevolezza civica.