Enrico Orsenigo (1992), psicologo iscritto all’Ordine degli Psicologi del Veneto, è Ph.D. Student in Learning Sciences and Digital Technologies all'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Nei suoi articoli si occupa di psicologia clinica, psicologia dello sviluppo, psichiatria fenomenologica e filosofia della tecnica.

Recensione a: P. Legrenzi, C. Umiltà, Il sapere come mestiere. La fiducia nei risultati e nella scienza, il Mulino, Bologna 2023, pp. 159, € 16,00.

«Dobbiamo fronteggiare una forza sconvolgente che ha invaso la scienza, l’ultimo bastione aveva finora resistito nel variegato mondo della comunicazione commerciale. Si tratta della competizione che una volta c’era in altri mestieri, ma non così forte come in quello accademico». Inizia così Il sapere come mestiere, l’ultimo libro di Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà. Competizione che, ci avvisano gli autori e ne sono ben consci i gruppi di ricerca che continuano ad operare con rigore e senso critico, ha portato molto rapidamente ad esperimenti mal fatti e a elaborazioni statistiche frettolose. Sinteticamente, siamo entrati in una vera e propria crisi della riproducibilità.

Legrenzi e Umiltà, a più riprese, precisano la differenza tra riproducibilità e replicabilità: la prima, dal verbo “riprodurre”, si riferisce all’avere ottenuto gli stessi risultati dell’esperimento originale; la seconda, dal verbo “replicare”, si riferisce all’intenzione di ricreare esattamente le condizioni sperimentali di un esperimento precedente.

Evidentemente, questa crisi assume una portata molto più grande di quanto non si potesse immaginare solo un decennio fa, poiché, di recente, hanno fatto la loro comparsa nella scena i sistemi artificiali intelligenti, generativi, come Chatgpt. Questi sistemi vengono già utilizzati da molti gruppi di ricerca, ed è necessario conoscerne le modalità di funzionamento per non incorrere in valutazioni superficiali dei contenuti generati da queste tecnologie. Di fatto, questi sistemi, sono un ottimo supporto grazie alla loro capacità di processare rapidamente molte informazioni; tuttavia, ci si accorge ben presto che viene privilegiata la scorrevolezza della conversazione rispetto alla correttezza (almeno fino alle versioni attuali). In questo senso, i problemi non sono unicamente della scienza in sé, ma delle modalità in cui il sapere viene e verrà diffuso.

In generale, il sapere come mestiere solleva una serie di criticità nelle comunicazioni, sempre più a distanza, tra chi fa ricerca. Infatti, sempre più digitalizzate e mediate da mezzi di messaggistica istantanea, le comunicazioni tra ricercatori si fanno sì più veloci e continuative (ci si sente più volte al giorno, tutti i giorni), ma allo stesso tempo meno pregnanti e precise e, in questo senso, esiste la possibilità affatto rara di perdere pezzi per strada, dovendo ritornare più volte sui medesimi passaggi. Da qui, nel tempo, un drastico abbassamento della qualità anche delle riviste, le quali oltre ad essersi moltiplicate, si differenziano in riviste per i lettori e riviste per gli autori. Distinzione significativa su cui gli autori dedicano diverse pagine. Legrenzi e Umiltà raccontano che attorno alla seconda metà degli anni sessanta, la rivista Perceptual and Motor Skills, inizia la transizione da rivista per i lettori a rivista per gli autori, registrando un abbassamento notevole e rapido del rejection rate. In sostanza, la nascita di questa divisione parte da molto lontano, e sin dai primi tempi incontriamo riviste che esplicitano le loro intenzioni: «archiviare i risultati di ricerche che non avevano il compito di aumentare le conoscenze, a tutto vantaggio del lettore, bensì di rendere un servizio all’autore, attestando le sue competenze nell’ideare, pianificare ed eseguire ricerche».

L’aumento costante, da sessant’anni a questa parte, di questa ultima tipologia di pubblicazione, segnala conseguentemente l’aumento di articoli che non apportano un effettivo beneficio e quindi una evoluzione della conoscenza per la scienza e per la società. Al massimo, il beneficio, si sedimenta nella carriera del ricercatore o nella diffusione dei lavori di un certo gruppo di ricerca, sollevando talora notevolmente (ma meccanicamente) gli indici citazionali così fondamentali proprio al fine della carriera stessa. Ma in questo modo, con l’avvio della crisi della ripetizione replicazione riproduzione, non è più possibile garantire il mantenimento, entro delle soglie minime, dell’imprevedibilità e dell’incontrollabilità di certi fenomeni. In altre parole, non si riesce a veicolare nella società nuovi significati capaci di stringere raccordi tra scienza e popolazione, tra laboratori e comunità.

Oggi più che mai chi si occupa della produzione della conoscenza, indipendentemente dall’ambito disciplinare, deve prendersi cura del passato, ossia deve confrontarsi con i lavori che sono stati fondamentali in altri decenni, e che segnano il punto da cui cominciare verso nuove direzioni. Si tratta della stessa idea del riciclo e della conservazione, come valore. Per evidenziare questo punto, gli autori, nel paragrafo Perché la ripetizione è all’inizio di tutto, nell’ultima parte del testo, in accordo con Michael Tomasello affermano che «i primi organismi sul pianeta Terra non erano agenti psicologici. Non avevano bisogno di esserlo: erano venuti al mondo nuotando letteralmente nel cibo, erano organismi unicellulari che si limitavano a girovagare con la “bocca aperta” […]. Gli obiettivi di mangiare cose nutritive e di evitare cose velenose appartenevano, per così dire, alla Natura, non all’individuo». Studiosi come Tomasello immaginano un primo ambiente Terra come un sistema in ripetizione uniforme per gli organismi viventi. Con la comparsa di una creatura chiamata C. Elegans, essere vermiforme con 302 neuroni, si assiste alle prime creature capaci di spezzare temporaneamente la regolarità della assimilazione indiscriminata in certe zone, potendosi dirigere verso altre. Successivamente, a seguito dell’aumento della complessità, non si fa i conti solo con la possibilità di scelta delle zone ma anche e soprattutto con la necessità di difendersi dall’attacco dei predatori.

I nostri antenati vivevano una quotidianità decisamente più imprevedibile e che ha sostenuto numerosi tentativi di convivenza in gruppo, per imparare a proteggersi in maniera migliore, ma allo stesso tempo questo sviluppo sociale ha contribuito alla nascita dei fenomeni di ingroup e outgroup; la diversificazione delle formazioni sociali ha portato ad un’ulteriore aumento dell’imprevedibilità e di conseguenza all’aumento anche delle tecniche di controllo, per la gestione dell’incertezza negli ambienti di vita.

Le capacità di azione di un organismo determinano il suo mondo esperienziale; ogni specie, dai vermi ai polpi, dall’uomo alle spugne, interagisce con l’ambiente in modo esclusivo, entro la propria nicchia ecologica. La storia dell’evoluzione su Terra, in questo senso, può essere descritta come un costante adattamento delle specie agli ambienti, nel tentativo di apprendere il funzionamento delle regolarità e variabilità, della processualità naturale.

Ripetizione, replicabilità, riproducibilità, riguardano sia la biologia e l’evoluzione delle specie, sia le modalità con cui la nostra specie può, attraverso lo studio, l’osservazione, i metodi sperimentali, conoscere la natura animata e inanimata. Nondimeno riguardano la possibilità di scoprire nuovi modi per vivere e cooperare, nella stessa società e tra società diverse. Senza ricerca seria non può esserci fiducia reciproca, tra ricercatori e cittadini.

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