Flavio Ferraro è nato a Roma nel 1984. Poeta, saggista e traduttore, collabora con diverse riviste italiane e inglesi. Tra i suoi libri di poesia: Sulla soglia oscura (La Camera Verde, Roma 2010); Da un estremo margine(La Camera Verde, Roma 2012); La direzione del tramonto (Oèdipus, Salerno 2013); La luce immutabile(La Camera Verde, Roma 2019). Tutta la sua produzione poetica è ora raccolta nel volume Il silenzio degli oracoli(L’Arcolaio, Forlimpopoli 2021). Sempre nel 2021 è uscita la sua traduzione delle Odi di John Keats (Delta 3, Grottaminarda 2021). Per la saggistica ricordiamo La malvagità del bene. Il progressismo e la parodia della Tradizione (Irfan, San Demetrio Corone 2019). Sue poesie e traduzioni (da Keats, Shelley, T. S. Eliot e Dylan Thomas) sono apparse su numerose riviste online e cartacee; le sue poesie sono state pubblicate sulle più importanti riviste del Regno Unito, tra cui Magma, Acumen e La Piccioletta Barca.

Non è semplice parlare di un film complesso e simbolicamente stratificato come Nosferatu di Robert Eggers: esoterismo, occultismo, antropologia, psicanalisi, storia dell’arte, letteratura, si intrecciano a innervare l’opera del regista di The Witch, arricchendola di infiniti echi e rimandi, in un sapiente gioco di specchi. Innanzitutto sarebbe impossibile, oltre che dannoso per una lettura profonda del film, sottrarsi al paragone con gli illustri predecessori, ovvero con i capolavori di Murnau e Herzog (la versione di Coppola, per quanto memorabile, è un adattamento troppo infedele del romanzo di Bram Stoker per rientrare in questo filone). È chiaro che il regista statunitense ha dovuto tenere in considerazione una tradizione tanto gloriosa quanto ingombrante, ma ci sembra che il dialogo più fecondo sia quello con Murnau, non solo a livello tematico, ma anche per quanto riguarda alcune soluzioni stilistiche. Nel Nosferatu di Eggers, infatti, non è difficile riconoscere sottili citazioni – come ad esempio l’utilizzo del chiaroscuro – del grande regista tedesco, il quale proprio attraverso l’uso delle ombre e del controluce riusciva a circonfondere di un’aura soprannaturale la figura del conte Orlok. I riferimenti all’esoterismo e alle scienze occulte, del resto, rendono più stretto questo legame; è utile ricordare, a questo proposito, che il film di Murnau fu prodotto da Albin Grau, singolare figura di occultista nonché seguace di Aleister Crowley. Tornando all’elemento visivo, la fotografia è senza dubbio uno degli aspetti più riusciti del film di Eggers, e certe inquadrature, finemente cesellate, ricordano le atmosfere che emanano i dipinti di Caspar David Friedrich (ma come non pensare alla böckliniana Isola dei morti e, per molti aspetti, all’universo perturbante di Kubin?). I personaggi del film si muovono sospesi in una luce crepuscolare, in una foschia perenne che sembra sfumare e rendere impalpabili i corpi; così Ellen ci appare una figura eterea – e intossicata dall’etere somministratole dall’improvvido dottor Sievers – una di quelle creature febbrili e immateriali, più simili a silfidi che donne, eternate da Poe; ma al tempo stesso tormentata da una tensione lacerante, che diviene insostenibile nei suoi contatti con Nosferatu, ai quali si abbandona in quelli che sono veri e propri orgasmi. La stessa figura del conte Orlok, possente e al contempo putrescente, diviene inafferrabile, tanto da rendere quasi impossibile riconoscere in esso le sembianze dell’attore Bill Skarsgård; e proprio questa particolare raffigurazione del personaggio di Nosferatu (forse memore del Macbeth di Orson Welles?) – rozza e insieme aristocratica, a metà tra uno zingaro e un principe – ci sembra uno degli aspetti più originali del film. L’intera vicenda si svolge sotto la spinta di forze oscure e incontrollabili, quelle forze che il professor von Franz, studioso di Paracelso e Cornelio Agrippa, conosce bene; ma ad attraversare tutto il film, come una corrente tellurica, è anche il simbolo della notte, quel simbolo che riveste un ruolo centrale nella riflessione dei romantici tedeschi, da Novalis fino a Büchner (anche i personaggi büchneriani, scissi tra il regno diurno e notturno della coscienza, agiscono come sonnambuli alla maniera di Ellen). Come si può notare da questi brevi accenni, gli spunti che si possono trarre dalla visione del film sono innumerevoli, ma c’è una scena che sembra riassumerli tutti, ovvero quella finale: il sacrificio compiuto da Ellen per uccidere l’Ombra. Cos’altro è Nosferatu, infatti, se non l’aspetto oscuro insito in ognuno di noi, quel principio che definiamo “male” solo nel vano tentativo di esorcizzarlo, riconducendolo a una prospettiva dualistica? Quel male irrazionale, inconcepibile e assurdo, che irrompe con violenza a distruggere le fragili certezze della società moderna, la cui ottusità e grettezza sono incarnate dal personaggio di Friedrich Harding, chiuso nel suo cieco materialismo e incredulo di fronte alle forze che sfuggono alla ragione. Il sacrificio di Ellen è il centro verso cui convergono e si risolvono tutte le forze e le tensioni del film. Ora, da un punto di vista metafisico il sacrificio è benefico, per sé e per gli altri, solo a una condizione: che la vittima scelga volontariamente di immolarsi. Così è nel Sacrificio vedico, così in quello cristiano: la Vittima che accetta il proprio destino è priva di ogni passività, è anzi l’essere più compiuto, l’essere perfettamente in atto, che ha esaurito tutte le possibilità perché tutte le sintetizza in sé. È difficile dire fino a che punto Eggers abbia adoperato un materiale così incandescente in maniera consapevole, o se, come sempre accade nelle creazioni di valore, l’opera si sia spinta ben al di là delle intenzioni coscienti del suo autore. Resta il fatto che nella conclusione del film viene espresso, in maniera suggestiva, un concetto fondamentale della Sophia Perennis: la lotta dell’Eroe solare (non per nulla il film si conclude con l’immagine dell’alba), il quale riconoscendo la propria Ombra, e unendosi ad essa in un amplesso estatico, infine la domina. Solo allora, dopo questa integrazione che è al tempo stesso una rigenerazione, vediamo chiaramente il volto di Nosferatu; quel volto che per gran parte del film non riuscivamo a scorgere per intero, ma che adesso viene illuminato dai raggi del sole, dalla coscienza di Ellen finalmente pronta a riconoscere la sua parte oscura, a congiungersi nelle nozze sacre con l’Ombra.

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