Luca Baldassarre (1989) è docente di Filosofia e Storia nei licei. Laureato in Scienze Filosofiche presso l’Università degli Studi di Firenze con una tesi su Theodor W. Adorno, ha successivamente svolto attività di ricerca sulla Teoria critica della Scuola di Francoforte, con particolare interesse verso le varie declinazioni della critica dell’industria culturale. Fra le sue pubblicazioni: La Scuola di Francoforte. Una introduzione (Editrice Clinamen, Firenze 20213); Gli scrittori neri della borghesia. Theodor Adorno e il finale di partita (Clinamen, 2016); Gli uomini del cortocircuito. Per una critica dell’infantilismo ipermoderno (Clinamen, 2017).
I mutamenti sociali, culturali, economici che accompagnano l’epoca attuale, con moto progressivamente accelerato negli ultimi anni, rendono urgente affrontare la questione delle cosiddette “famiglie arcobaleno”. Onde evitare fraintendimenti, è bene sottolineare che utilizzo questa formula lato sensu: non in riferimento alle sole coppie omogenitoriali, ma a tutte le formazioni familiari che, in linea con le trasformazioni della civiltà occidentale e con lo sviluppo della società fluida, rivendicano la propria differenza rispetto al modello tradizionale della famiglia nucleare borghese.
La precisazione non è superflua, perché segue gli sviluppi dei movimenti di protesta legati agli studi di genere, che precedono (e sono, pertanto, indipendenti da) qualsiasi considerazione sull’orientamento sessuale. In questa accezione, anche una famiglia composta da genitori di sesso differente può appartenere a questa macrocategoria, la quale – estendendo alla coppia ciò che definisce, secondo gli studi di genere, l’identità di genere dell’individuo – si fonda, prima ancora che su valutazioni oggettive, sull’autopercezione degli individui stessi che la compongono.
Ciò che contesto della retorica della famiglia arcobaleno non è soltanto la riduzione del biologico al culturale, in virtù della quale padre e madre non sarebbero che ruoli, appunto, culturali, privi di fondamento biologico. D’altro canto, anche la retorica della famiglia naturale, pur forte dell’argomento biologico, non è priva di criticità: la storia ci tramanda modelli familiari molto diversi fra loro e strettamente legati alle dinamiche dello sviluppo socio-economico. La geografia europea della famiglia, nell’Ancien Régime, fu ad esempio tutt’altro che omogenea: gli studi di demografia storica hanno dimostrato come al modello della famiglia nucleare si sovrapponessero famiglie multiple, caratterizzate dalla presenza di più nuclei coniugali, e famiglie estese, caratterizzate dalla presenza, accanto al nucleo coniugale, di parenti di uno o dell’altro membro della coppia.
Ciò che contesto è piuttosto il sottotesto di quella retorica: la riduzione della figura genitoriale a ruolo (quello che viene definito grottescamente “genitore1-genitore2”) non è, infatti, neutra. La distinzione tra padre e madre non trapassa sic et simpliciter dal biologico al culturale – trapasso che condurrebbe alla dicotomia tra funzione (o ruolo) paterna e funzione (o ruolo) materna.
Quel passaggio esprime invece a sua volta una trasformazione culturale che pretende di superare il tanto vituperato fallocentrismo (fondamento teorico del sistema patriarcale) nella direzione della realizzazione del regno terreno dell’Amore. Anziché sviluppare il conflitto padre-madre in senso dialettico, lo si combatte nella sua manifestazione dicotomica padre/madre, laddove il primo elemento rappresenta l’autorità genitoriale e il secondo l’immediatezza dell’amore. Aut-aut: per contrastare il patriarcato occorrerebbe abolire del tutto l’autorità.
La retorica arcobaleno pretende di poter fare a meno dell’elemento paterno, vale a dire dell’autorità, per realizzare in terra l’immediatezza dell’amore universale, di cui le nuove famiglie sarebbero l’espressione sociale elementare.
Da questa analisi credo occorra partire per prendere posizione sul tema – e credo, d’altronde, che gli ideologi arcobaleno non farebbero fatica ad accettare le suddette premesse: a ergersi, cioè, a soldati dell’amore, contro ogni autorità. Anzi, accoglierebbero di buon grado quelle premesse, le quali, lungi dal rappresentare un non detto, sono invece dichiarate apertamente, seppur in forme diverse, dai movimenti arcobaleno.
Al contrario, ritengo che i due poli non possano mai essere assolutizzati e che questa assolutizzazione, se in passato ha condotto a pratiche autoritarie, oggi ci sta portando viceversa dritti dritti verso generazioni adultescenti: all’incapacità di dire di no ai propri figli, alla tendenza ad accontentarli in ogni capriccio, al ribaltamento di ruolo tra genitori e figli.
È qui, in ultima istanza, che risiede il punto critico dell’ideologia arcobaleno: non nella relazione tra genitori, ma nella relazione tra genitori e figli. Ma come è possibile l’educazione se viene meno uno dei due poli? Com’è possibile educare se educazione significa punire? Com’è possibile educare se educazione significa assecondare?
Privando i due poli della loro natura dialettica, essi perdono al contempo la propria natura positiva, contraddicono la loro stessa definizione e il loro stesso scopo. L’autorità, priva di amore, non potrà mai raggiungere il proprio obiettivo, se non nelle sue manifestazioni esteriori: come l’alunno che, per paura di un cattivo voto, impara la lezione a memoria, così il figlio obbedisce agli ordini del padre, odiandolo in segreto.
L’amore privo di autorità, che vuole soddisfare sistematicamente l’arbitrio altrui, in questo modo gli arreca un danno, ergendo l’altro ad autorità: è così che, nel ribaltamento dei ruoli, il bambino accontentato ha sempre ragione e ad esso, alla sua autorità indiscussa, deve prostrarsi il genitore servile. L’amore senza autorità conduce, vittima di una dialettica del rovesciamento, ad una autorità senza amore.
Se davvero si vuol contestare il principio autoritario della nostra civiltà, il fondamento del patriarcato, allora occorre farlo proprio: assumere su di sé la responsabilità dell’autorità per limitarla e, in tal modo, contrastarla, rivolgendola verso quegli obiettivi che l’amore, da solo, non potrà mai raggiungere.