Annamaria Amato è Ricercatore a tempo indeterminato di Storia delle Istituzioni politiche (SPS/03) all’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Dipartimento di Architettura.

Recensione a: G. Arfè, Discorsi parlamentari, a cura di A. Becherucci, Milano, Biblion Edizioni 2022, pp. 214, € 20,00.

Pur avendo occupato un importante ruolo sia all’interno del Psi che in generale nell’ampio universo socialista, l’alto profilo storico-politico di Gaetano Arfè appare a tutt’oggi assai poco indagato dalla storiografia. Storico di professione (ha insegnato Storia del Risorgimento, Storia dei partiti politici e Storia contemporanea) con una iniziale, ma intensa e fondamentale formazione da archivista, a lungo condirettore di «Mondo Operaio» (1959-1971) e direttore dell’“Avanti!” (1966-1976), è stato eletto la prima volta al Senato nella sesta legislatura (1972-1976), alla Camera dei deputati nella settima (1976-1979), al Parlamento Europeo nel 1979 (quando il Parlamento europeo fu eletto per la prima volta democraticamente da tutti i cittadini degli stati membri della allora Comunità europea) ed un’ultima volta al Senato nella X legislatura (1987-1992). Un ventennio, dunque, di impegno costante in tre diversi organi rappresentativi nei quali diede contributi significativi che sono raccolti ora nel volume che qui segnaliamo curato da Andrea Becherucci. La raccolta rappresenta un utile punto di partenza per cominciare a riflettere sulla figura del politico Arfè, il quale dimostra attraverso i suoi interventi, una poliedricità di interessi e di sensibilità che prescindevano dalla militanza politica, ma che piuttosto rispecchiavano un percorso culturale ed intellettuale fuori dagli schemi.

Arfè (1925-2007), in effetti, era approdato alla militanza socialista già nel 1945 prendendo la tessera del ricostituito Psiup, dopo un iniziale “apprendistato” culturale fatto nell’ambiente crociano napoletano che continuò anche dopo la sua iscrizione al partito, frequentando Francesco Compagna, Renato Giordano, Vittorio de Caprariis, quel gruppo, insomma che nel 1954 avrebbe fondato la prestigiosa rivista «Nord e Sud» di area cosiddetta “terzaforzista”, che andava dai liberali ai repubblicani e ai socialdemocratici e che poi, dopo la rottura del patto di unità d’azione fra Partito socialista e comunisti (maggio 1947), includeva almeno parzialmente anche i socialisti. Fu grazie ai consigli di un liberale del calibro di de Caprariis, per esempio, che Arfè frequentò poi l’Istituto di Studi Storici che Croce aveva fondato nel 1946, affidandolo a Federico Chabod.

Al tempo stesso, Arfè, nella sua fase iniziale di formazione politica nella Napoli dell’immediato dopoguerra, per un verso frequentava il “Gruppo Gramsci”, nato intorno a Gerardo Marotta (futuro fondatore dell’Istituto italiano per gli studi filosofici), più schierato con il Pci, per un altro era membro attivo della corrente di “Iniziativa democratica” della Fgs (Federazione giovani socialisti), ispirata all’autonomismo e all’europeismo di Eugenio Colorni; quella corrente, insomma, che condivideva le posizioni assunte da Saragat e che quindi, coerentemente, passò al Partito socialista dei lavoratori italiani (Psli), fondato proprio dal futuro presidente della Repubblica nel gennaio del 1947. Al Psli passò anche Arfè per circa un anno, per poi rientrare nel Partito socialista. Agli inizi degli anni ’50 si trasferì a Firenze dove entrò in contatto con un’ampia cerchia di intellettuali comunisti e socialisti e anche con Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini, con il quale iniziò una proficua collaborazione che lo portò a curare la famosa antologia salveminiana, Scritti sulla questione meridionale (1896-1955), uscita per Einaudi nel 1955. Intanto il clima politico stava per cambiare e la definitiva scelta autonomista del Psi nel ’56, vide Arfè suo attivo sostenitore attraverso un forte impegno nell’attività politica che tuttavia non sostituiva mai l’impegno anche nella ricerca storica e nella diffusione della cultura socialista. Furono infatti quelli gli anni della pubblicazione della bella Storia dell’Avanti!, e poi dell’inizio della direzione di «Mondoperaio» e dello stesso quotidiano del partito che lo impegnò per dieci anni. In qualità di direttore dell’“Avanti!”, agli inizi degli anni ’70, aveva sempre mantenuto una linea editoriale profondamente antifascista e particolarmente attenta nell’indagare le “piste nere” presenti nel terrorismo di quegli anni e proprio per questo fu vittima di un attentato che fece esplodere la sua casa romana nell’aprile del ’75 durante il suo primo mandato parlamentare.

Fu poi a lungo craxiano, fino a prendere radicalmente le distanze dal leader del Psi nel 1987, attraverso un saggio, Riqualificare la sinistra, contenuto nel libro La questione socialista. Per una possibile reinvenzione della sinistra (a cura di A. Giolitti e V. Foa, Torino 1987, pp. 3-23). Coerentemente quindi con tale presa di distanza dal leader del Psi, in occasione delle elezioni politiche del giugno di quello stesso anno, si candidò come indipendente di Sinistra nelle liste del Pci al Senato, risultando eletto nel collegio di Rimini. Arfè così concludeva il proprio impegno politico con la fine della X legislatura, quando l’inizio di “Tangentopoli” e la imminente fine della prima Repubblica, lo indussero ad allontanarsi definitivamente dalla vita pubblica, per dedicarsi al suo impegno universitario all’Università di Napoli (Facoltà di Scienze Politiche), dove ebbe termine il suo ruolo di professore di Storia Contemporanea e dove trascorse gli ultimi anni della sua vita.

Tornando al suo percorso nelle istituzioni rappresentative, è possibile rintracciare nei suoi discorsi una sensibilità a temi e questioni che rispecchiano il suo background culturale che a grandi linee abbiamo cercato di delimitare. Dall’attenzione ai problemi della transizione dall’università di élite all’università di massa (quale effetto della benemerita riforma della scuola attuata dal primo centrosinistra), alla sentita necessità di istituire il finanziamento pubblico ai partiti per «garantire all’esercizio dell’attività politica il massimo possibile di autonomia, liberandola, nell’interesse preminente della collettività, dal più grave e insidioso dei suoi molteplici condizionamenti, quello finanziario» (p. 83). Dalla coerente posizione di radicale condanna contro le trame terroristiche all’indomani dell’attentato al treno Italicus, auspicando che il Governo provvedesse a fronteggiare il dilagante fenomeno anche attraverso strumenti normativi emergenziali, alla dichiarazione di approvazione della legge Reale, che, da più parti, nell’area di sinistra, era osteggiata e tacciata di essere una “legge fascista”. Molto interessante è poi l’intervento del 1° dicembre 1976 sulla riforma del Concordato, rispetto all’inserimento del quale in Costituzione, come è noto, vi era stata una profonda frattura nell’Assemblea Costituente tra il Pci (favorevole) e il Psi (contrario).

Di riforma del Concordato si parlava già dalla fine degli anni Sessanta, ma il risultato del referendum sul divorzio aveva imposto una accelerazione. La società civile, infatti, attraverso quello storico risultato aveva di fatto imposto al Parlamento la necessità di un percorso di secolarizzazione che sembrava improcrastinabile e passava anche per la revisione del Concordato. In tale contesto, dunque, nasce l’intervento di Arfè (in rappresentanza del gruppo socialista) in occasione della discussione alla Camera della “bozza Andreotti”. Egli nel suo discorso vestì prima gli abiti dello storico (analizzando sinteticamente i complessi rapporti tra Stato e Chiesa) e poi quelli del politico (motivando la scelta riformista, piuttosto che quella abrogazionista e suggerendo i punti nodali sui quali intervenire per via parlamentare, primo tra tutti, il matrimonio), dichiarando così che, a certe condizioni, i socialisti erano aperti ad una cauta revisione del Concordato.

A partire dal 1979, poi, fu la volta dell’esperienza al Parlamento europeo, a coronamento di una convinzione profonda e radicata del progetto federalista europeo, rimasta in verità sino ad allora piuttosto sottotraccia ma che pure partiva da lontano e che Arfè aveva condiviso a suo tempo con Eugenio Colorni e successivamente con Altiero Spinelli. In quel contesto, egli fece parte della Commissione per la gioventù, la cultura, l’educazione, l’informazione e lo sport e della Delegazione al comitato misto Parlamento europeo/Assemblea della Repubblica del Portogallo, intervenendo soprattutto sui temi dell’istruzione europea, sulle minoranze etniche e linguistiche. Ultimo intervento di cruciale importanza fu quello relativo alla creazione di un programma televisivo europeo per veicolare una corretta informazione delle politiche e delle attività comunitarie.

Come accennato più sopra, nel 1987 Arfè aveva preso le distanze da Craxi e dal partito, denunciando sia l’eccessivo abbandono del marxismo in favore di Proudhon e il conseguente allontanamento dal classismo e dall’operaismo, in un’ottica esclusivamente riformista, sia la gestione del partito, a suo avviso, eccessivamente verticistica e totalmente antidemocratica. Su tali premesse si avvicinò al Pci, raccogliendo la proposta della sinistra indipendente di presentarsi al Senato passando così all’opposizione (sono quelli gli anni ancora del pentapartito), eccetto che sulle questioni relative all’impegno europeistico dell’Italia. Molto belli i due discorsi (20 dicembre 1988 e 30 marzo 1989) tenuti in occasione della discussione parlamentare sul disegno di legge costituzionale per l’indizione di un referendum sul conferimento al Parlamento Europeo di un mandato costituente che fosse in grado di costruire quella impalcatura politico-istituzionale capace di completare il progetto di unificazione, integrando così la scelta funzionalista che aveva caratterizzato le premesse strutturali della Comunità Economica Europea. Un auspicio, insomma, quello di Arfè a riprendere il visionario progetto proposto da Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, nel manifesto di Ventotene e che, proprio Spinelli, fino a poco prima parlamentare europeo (era morto nel 1986), aveva proposto e perseguito con tenacia e perseveranza.

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