Luca Baldassarre (1989) è docente di Filosofia e Storia nei licei. Laureato in Scienze Filosofiche presso l’Università degli Studi di Firenze con una tesi su Theodor W. Adorno, ha successivamente svolto attività di ricerca sulla Teoria critica della Scuola di Francoforte, con particolare interesse verso le varie declinazioni della critica dell’industria culturale. Fra le sue pubblicazioni: La Scuola di Francoforte. Una introduzione (Editrice Clinamen, Firenze 20213); Gli scrittori neri della borghesia. Theodor Adorno e il finale di partita (Clinamen, 2016); Gli uomini del cortocircuito. Per una critica dell’infantilismo ipermoderno (Clinamen, 2017).

Nei giorni scorsi ho ascoltato l’ennesima argomentazione a favore dell’introduzione dell’insegnamento della filosofia per temi, in sostituzione dell’insegnamento storico, come al solito all’insegna della stucchevole condanna dello storicismo neoidealistico di cui sarebbe pervaso il provincialismo della cultura italiana. L’obiettivo polemico non era esclusivamente l’insegnamento della storia della filosofia, ma era esteso anche alla storia della letteratura: pertanto, a venir condannato era l’insegnamento storico tout court.

L’argomentazione, che peraltro faceva leva sulle opinioni in merito espresse dagli stessi studenti, era la seguente: è deleterio insegnare a studenti digiuni di filosofia il pensiero presocratico, perché andrebbe contestualizzato nell’epoca in cui è sorto e quell’epoca è troppo lontana dalla nostra per poter essere compresa. Il discorso, come anticipavo, è poi stato ampliato, adattato all’insegnamento della letteratura e l’esempio è stato trasferito pari pari dai presocratici a Tasso.

Va bene: si insegni la filosofia per temi. Non parliamo più di storia della filosofia; parliamo di filosofia teoretica, di filosofia morale, di estetica, di filosofia politica, benché faccia fatica a comprendere come si possa parlare di estetica senza tener presente che, prima di Kant, un’estetica vera e propria non era mai stata sistematizzata. Va bene: si insegni la letteratura per generi. Non parliamo più di storia della letteratura; parliamo di saggi, di trattati, di romanzi, poi di romanzi storici, di gialli, di prosa e di poesia, sebbene faccia fatica a comprendere come si possa parlare di romanzo, senza tener presente che esso è forma narrativa peculiarmente moderna.

Ma se i motivi fondanti la critica sono questi – la difficoltà di comprendere un’epoca storica che non sia la nostra – allora perché non sostituire l’insegnamento storico della storia? Lo smantellamento dell’insegnamento storico diventa consequenziale: si insegni anche la storia per temi. Facciamo che possiamo parlare indistintamente del sistema feudale e di quello capitalistico, della democrazia ateniese e di quella liberale, del politeismo greco e del protestantesimo luterano. Poi ognuno sceglie quel che gli pare e quando suona la campanella ci si mette in fila alla cassa.

Per chi accusasse la posizione di chi scrive di esagerazione, come se fosse solo una boutade volta a scandalizzare al fine di difendere la propria tesi, obiettando che paventare simili rischi è pratica di catastrofismo, l’invito è di guardare alla Spagna.

Il 29 marzo 2022, in Spagna, il governo Sanchez ha approvato un progetto di riforma scolastica, per i percorsi fra i 12 e i 16 anni circa (l’ESO, scuola secondaria obbligatoria in Spagna, equivalente all’incirca al periodo che, in Italia, comprende gli ultimi due anni di scuola media e i primi due di scuola superiore), per sostituire l’insegnamento della filosofia con nuclei tematici (“ecofemminismo”, “memoria democratica”, “diritti LGBTIQ+”) e – peggio che andar di notte! – abolire l’insegnamento cronologico della storia.

Il tempo risparmiato tagliando su queste ore più “teoriche” – così nell’articolo del “Corriere della Sera” del 1° aprile 2022 (modificato online in data 05/04/2022, per chi sperasse in un pesce d’aprile)[1] – verrà devoluto a due nuovi insegnamenti più “pratici”: da un lato l’educazione digitale dal primo all’ultimo anno delle medie, dall’altro economia e imprenditorialità (quest’ultima materia sarà facoltativa al quarto anno). Il tutto sempre con l’intenzione di dotare la scuola dell’obbligo di un curriculum più versatile, meno mnemonico, che prepari meglio i ragazzi alle sfide del mondo globalizzato.

E anche in Italia vengono puntualmente stimolati progetti in questa direzione. È il caso del progetto PATHS (“A Philosophical Approach to Thinking Skills”). Intervistato il mese scorso dal giornale online “Orizzontescuola”, il ricercatore INDIRE e referente del progetto Samuele Calzone ha dichiarato:

Il progetto utilizza molte strategie tratte dalla letteratura scientifica per supportare gli studenti in un approccio critico. Ad esempio, viene insegnato il concetto di “illusione della conoscenza” e vengono utilizzate tecniche come la domanda e la riflessione critica [2].

La domanda e la riflessione critica sono ridotte a “tecniche”, incentivate perciò in quanto tali, private di quell’orizzonte storico da cui solo potrebbero trarre senso. E infatti l’invito è alla partecipazione al brainstorming, alla libera discussione su «parole come “amore”, “viaggio”, “libertà”», per incoraggiare «il lavoro di gruppo e la creatività, stimolando la riflessione critica sui temi proposti».

Non si comprende o si finge di non comprendere che questa impostazione lede alla radice l’impulso filosofico proprio quando all’apparenza lo esalta. Che la filosofia sia ridotta ad un insieme più o meno variegato di domande sulla propria esistenza, ovvero alla sua immediata utilità pratica, questa filosofia all’acqua di rose, è funzionale proprio a quel sistema che ha condotto all’attuale decadenza della filosofia e dell’insegnare a filosofare. La filosofia è certamente inscindibile dal suo elemento critico, altrimenti si riduce a chiacchiera. Il suo momento critico consiste, però, proprio nell’esercizio della filosofia in un continuo e serrato confronto con la storia. Non è possibile esercitare la critica nell’ignoranza dell’oggetto verso il quale la critica si muove, non è possibile contestare la tradizione senza conoscerla. Il problema dell’insegnamento all’italiana della filosofia non è il suo carattere storico, ma storicistico: il secondo non coincide col primo, anzi spesso, sebbene possa apparire paradossale, lo dissolve.

Così in Italia abbiamo prima Socrate, Platone e Aristotele, poi per caso arrivano gli stoici ed Epicuro, i neoplatonici e la filosofia romana, tutt’un tratto nell’Alto Medioevo la filosofia scompare per riapparire improvvisamente con gli arabi, continua con san Tommaso e poi con l’esplosione del Rinascimento, fino a quando Cartesio mette in dubbio tutto quanto, Pascal ci dice che siamo canne al vento e Spinoza che non siamo che manifestazioni di un’unica sostanza, ma poi arrivano gli empiristi che ci dicono che la conoscenza deriva dall’esperienza per poi sfociare tutto nell’illuminismo giù giù fino a Kant, del quale non ci si capisce nulla e così almeno fino a Hegel, dopo il quale finalmente arrivano Schopenhauer che ci ricorda quanto ci annoiamo, Kierkegaard quanto ci angosciamo e Nietzsche quanto sia bella e insieme dolorosa la vita.

Che siano autori e correnti uno dietro l’altro o temi disparati, nell’uno e nell’altro caso siamo di fronte ad accozzaglie. Ma la storia è un’altra cosa: al suo elemento diacronico va associato quello sincronico, è necessario cogliere i nessi tra i fenomeni. Per capire Platone bisogna conoscere la guerra del Peloponneso, la crisi della democrazia ateniese, la commedia di Aristofane; per comprendere il dubbio cartesiano bisogna studiare la Controriforma e la Compagnia di Gesù, le guerre di religione nella Francia del Cinquecento e poi la Guerra dei Trent’anni; per studiare Hegel occorre conoscere la rivoluzione francese e l’impero napoleonico; per comprendere il pensiero filosofico del Novecento analizzare successo e fallimento dei totalitarismi, le avanguardie artistiche, le trasformazione dei paradigmi scientifici.

Se è vero che l’insegnamento storico, nella sua banale accezione di successione di avvenimenti storici, è inutile se non dannoso, esso non va corretto nei termini di un vago orizzonte atemporale onnicomprensivo, ma nel senso esattamente opposto, ovvero di una accentuazione del carattere storico delle discipline di insegnamento. Non esiste la Storia, esistono le storie: la storia è sempre “storia di”, non è l’applicazione posticcia di un metodo ad oggetti differenti, ma è la natura stessa di quegli oggetti, è lo svolgersi e il dipanarsi degli oggetti stessi. Ma queste storie, a loro volta, si incrociano, dando vita a fenomeni, a modelli di vita, a paradigmi scientifici, a tradizioni e a civiltà che non possono essere compresi se posti su un unico piano, come se fossero le cartelle di un desktop. Se un intervento si rivela imprescindibile sotto il profilo didattico, allora occorre riconsiderare i binari delle varie discipline, cercare di sincronizzarle meglio laddove invece esse viaggiano, oggi, su corsie indipendenti, senza mai incrociarsi: in Italia, l’insegnamento della storia della filosofia, a partire dai suoi albori nel VII secolo a.C., prende tuttora avvio al terzo anno di scuola superiore, ossia quando l’insegnamento della storia è già giunto all’età medievale.

Sarebbe bene, allora, porre attenzione su questi parallelismi e incroci, predisporre l’apprendimento all’interdisciplinarietà. Occorre legare l’insegnamento della storia (ancora oggi purtroppo declinata meramente come historia rerum gestarum) alle altre discipline, non per indicare la direzione della Storia, ma proprio per dimostrare che le storie non procedono secondo percorsi precostituiti, non secondo tappe già tracciate, ma per balzi e fratture mai pienamente colmabili. Eterogenesi dei fini e critica allo storicismo sono salve solo proteggendo con disciplina l’insegnamento della storia. Sarebbe bene, ancora, allora, proporre nuove modalità del fare storico, più vicine, ad esempio, al magistero della «Annales», la rivista di Lucien Febvre e Marc Bloch che, nel secolo scorso, provò a far dialogare le discipline storiche con la sociologia, con la geografia e con l’indagine culturale, contro la riduzione della storia a histoire événementielle, a mero contenitore di eventi, e per uno studio delle strutture storiche di lunga durata, dei nuclei storici – altro che nuclei tematici! – anziché perder tempo fra le chiacchiere su astratte concezioni di libertà e felicità e su presunti ecofemminismi.

NOTE

[1] Addio scoperta dell’America, nelle scuole spagnole d’ora in poi si studierà ecofemminismo e imprenditorialità- Corriere.it, visualizzato in data 16/04/2023 h. 10:37.

[2] La filosofia a scuola per tutti, Calzone (Indire): “Così sviluppiamo il pensiero critico” [VIDEO INTERVISTA] – Orizzonte Scuola Notizie, visualizzato in data 16/04/2023 h. 10:38.

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