Jerónimo Molina Cano (1968) è giurista, polemologo e storico delle idee politiche e giuridiche, attività che affianca alla traduzione. È membro corrispondente dell'Accademia Reale di Scienze Morali e Politiche. Premio Luis Díez del Corral 2017 assegnato dal Centro di studi politici e costituzionali. Il suo interesse principale è il realismo politico, una mentalità politica che definisce come “immaginazione del disastro”. Specialista del polemologo francese Gaston Bouthoul, è autore di diversi libri su Julien Freund, Raymond Aron, Carl Schmitt e Wilhelm Röpke. Sin dalla sua fondazione , ha diretto la rivista «Empresas Políticas». Fondatore della Società di Studi Politici della Regione di Murcia (SEPREMU) e membro fondatore dell'Associazione Argentina di Diritto Politico. È membro del Consiglio tecnico consultivo della Regione di Murcia per la riforma della legge sulla presidenza della comunità autonoma, nonché membro della Carl-Schmitt-Gesellschaft (Berlino, ex Plettenberg) e dell'Instituto de Estudos Filosóficos dell'Università di Coimbra. Tra le sue numerose pubblicazioni: Julien Freund, lo político y la política(2000); La Tercera vía en Wilhelm Röpke (2001); Raymond Aron, realista político (2013); Contra el mito Carl Schmitt (2019); Gaston Bouthoul, inventor de la polemología. Demografía, guerra y complejos belígenos(2019); Los enemigos de España son mis enemigos. Bibliografía pranhispánica de Carl Schmitt (2022).
Dalmacio Negro Pavón nacque a Madrid il 23 dicembre 1931, due settimane dopo l’approvazione e l’entrata in vigore della Costituzione della Seconda Repubblica. Con la sua recente scomparsa, avvenuta alla fine del 2024, sempre il 23 dicembre, si chiude idealmente un periodo del pensiero politico spagnolo, iniziato nel 1935 con la pubblicazione di un libro di un giovane giurista, Francisco Javier Conde, che aveva letto la letteratura tedesca: El pensamiento político de Bodino.
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Il Signor Dalmacio, figlio di un avvocato che studiò nella classe di José Antonio Primo de Rivera, con idee repubblicane, ma non ideologizzato e senza alcuna ascrizione partitica, e di una maestra pioniera nell’educazione dei bambini sordomuti e ciechi, fu testimone, a soli 5 anni, del rapimento del padre da parte del Fronte Popolare, imprigionato e ucciso nelle “sacas”[1] dei prigionieri nell’autunno del 1936 a Madrid. Salvato dalla Croce Rossa inglese di Madrid, arrivò in Francia e da lì si recò in Galizia. Dopo la guerra tornò a Madrid.
Estraneo a qualsiasi forma di risentimento personale o politico, viene educato dalla madre in uno spirito di perdono e riconciliazione. Studiò Diritto e Scienze politiche ed economiche all’Università di Madrid, rimanendo folgorato sin dal primo anno dal verbo e dallo stile letterario del professor Conde. Fu proprio la lettura del suo libro Teoría y sistema de las formas políticas (1944), un esempio di concisione e chiarezza, a stimolare il suo interesse per il pensiero politico. Tuttavia, Dalmacio si riconoscerà soprattutto nell’insegnamento di Luis Díez del Corral, professore di una materia di impronta germanica e da lui stesso trapiantata con successo nell’università spagnola, almeno fino a quando i processi di cambiamento avviati negli anni Ottanta non trasformeranno le “cattedre” in “dipartimenti” universitari, con la “Storia delle forme politiche” che cadrà definitivamente nell’irrilevanza da un punto di vista amministrativo.
Il professor Negro Pavón, al di là dell’ambito universitario, dedito per tutta la sua carriera di docente a spiegare un vasto e formativo programma di “Storia delle idee e delle forme politiche” agli studenti, sempre del secondo anno della laurea in Scienze Politiche – prima all’Università di Madrid e dopo il suo pensionamento forzato all’Università CEU-San Pablo –, è stato, insieme a Gonzalo Fernández de la Mora, il più importante pensatore politico spagnolo dell’ultimo mezzo secolo. Ma né l’autore di opere come El crespúsculo de las ideologías (1965) o La partitocracia (1976) né Don Dalmacio sono intelligenze apparse in Spagna per generazione spontanea o per caso. In realtà, il loro pensiero si proietta retrospettivamente, esaltandolo, su un gruppo di pensatori politici della generazione precedente alla loro, che fa parte del gruppo più compatto e originale di giuristi e scrittori politici spagnoli dal Secolo d’Oro.
Animata dall’intelligenza dell’“antiformalismo giuridico” di Carl Schmitt e Hermann Heller, ma anche dalla “ragione vitale” di José Ortega y Gasset e, più tardi, dalla metafisica di Xavier Zubiri, un’intera generazione, quella dei “giuristi del ’27”, diede carattere a un quarto di secolo d’oro del pensiero politico in Spagna (1935-1969). Una generazione che sentiva ancora vicina la scomparsa dell’impero nel 1898 e che sperimentò sulla propria pelle, durante la guerra civile, l’immenso vuoto lasciato dal crollo dello “Stato” faticosamente costruito dalla Rivoluzione del 1868.
Il professor Negro Pavón è stato probabilmente lo scrittore politico che ha penetrato più acutamente l’“enigma storico” dello Stato in Spagna. La sua storiografia dello Stato come forma politica (in particolare la sua Historia de las formas del Estado. Una introducción [2010]) ci permette di comprendere la portata della sua tesi sul carattere para-statale della costituzione storica della Spagna, sviluppata nel suo saggio Sobre el Estado en España (2007). A suo avviso, l’espansione oltremare della Castiglia fece abortire il modello statale aragonese di Ferdinando il Cattolico, di influenza italiana. Il professor Negro Pavón ritiene che lo Statuto Reale del 1834 rappresenti di fatto la liquidazione giuridica e politica dell’impero. Da allora, il liberalismo spagnolo ha cercato di costruire uno Stato in Spagna. Ma poiché manca una chiara nozione di Stato, la sua impresa nazionale si esaurisce generalmente nella lotta per la costituzione. Il liberalismo spagnolo ignora, secondo Dalmacio, che la questione dello Stato è precedente a qualsiasi dibattito costituente nel senso del costituzionalismo del XIX secolo. A suo avviso, in Spagna lo Stato è stato costruito tardi, una fondazione condizionata, come nella Francia del XVI secolo, da una guerra civile. In questo senso, la dittatura del generale Franco è stata la realizzazione del progetto fallito di Stato della Seconda Repubblica – allo stesso modo in cui, forse per uno scherzo della storia, Napoleone è stato il perfezionatore della Rivoluzione francese.
L’interesse di don Dalmazio per ciò che non accade, per quella che Gianfranco Miglio ha chiamato “regolarità del politico”, è un filone essenziale del suo pensiero, condizionando di fatto il suo modo di accedere al politico, vicino alla tradizione del “realismo politico”. In questo senso, uno dei suoi contributi più originali alla filosofia politica – rectius metapolítica – è la distinzione tra governo e Stato. C’è sempre un governo, sottolinea Negro Pavón, ma non c’è sempre (o sempre stato) uno Stato, perché lo Stato è una forma storica e quindi transitoria del politico. Anzi, si potrebbe dire che si tratta di una “banalità superiore e dimenticata”, come altre del genere che Carl Schmitt (la distinzione tra il politico e lo Stato) e Julien Freund (la distinzione tra il politico e la politica) hanno messo in luce.
La storiografia dello Stato e l’inclinazione metapolitica entrano a far parte della sua traiettoria intellettuale nel 1995, anno in cui viene ammesso all’Accademia Reale di Scienze Morali e Politiche con un discorso di accettazione che, alla fine, verrà riconosciuto come la sua opera principale: La tradición liberal y el Estado. Nelle sue pagine, uno studio dettagliato che, partendo da un’antropologia politica realista, esamina la natura del liberalismo – inerente alla tradizione politica occidentale della libertà – e gli effetti della sua esposizione alle radiazioni statali. Ciò gli consente di distinguere tra un “liberalismo politico” e un “liberalismo realista”, che si discosta dal primo proprio per l’interferenza del razionalismo meccanicistico dello Stato. La tradizione liberale e lo Stato costituiscono allo stesso modo un serbatoio di concetti per aggirare l’impulso antipolitico del liberalismo, in quegli anni sottoposto all’influenza economistica neoliberista.
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Il professor Dalmacio Negro lascia molti studi e traduzioni dei classici della politica (Hobbes, Hegel, Comte, Stuart Mill, Marx, Tocqueville e molti altri) all’interno di una vasta bibliografia e migliaia di pagine. Il “Professore”, come i suoi allievi e discepoli chiamano lo scrittore politico che non si è mai dato importanza, continuerà a dialogare – uno delle sue grandi passioni – con una nuova classe di studiosi di politica. Per loro, come per noi in passato, continueranno a essere tappe fondamentali della loro formazione Liberalismo e socialismo. Il bivio intellettuale di Stuart Mill (1975), la sua tesi di dottorato, Comte, il positivismo e la rivoluzione (1985), Governo e Stato (2002) – tradotto in italiano: Il dio mortale. Il mito dello Stato tra crisi europea e crisi della politica (2014), Lo que Europa debe al cristianismo (2004), El mito del hombre nuevo (2009), La ley de hierro de las oligargías (2015) – tradotto in francese: La loi de fer de l’oligarchie. Pourquoi le gouvernement du peuple, par le peuple, pour le peuple et un leurre (2019), Liberalismo, iliberalismo. Artículos políticos (1989-2013) e El fin de la normalidad y otros ensayos (2021).
Nel 2022, in occasione del suo novantesimo compleanno, i suoi amici, studenti e discepoli gli offrirono un denso volume, concepito come un liber amicorum dedicato esclusivamente allo studio della sua opera e del suo pensiero (Pensar el Estado: Dalmacio Negro. La política de los hechos y la política de la libertad).
[1] In questo caso si fa riferimento all’estrazione di alcuni prigionieri politici da parte dei miliziani dellel forze repubblicane per essere giustiziati sommariamente fuori dal carcere.
[traduzione dallo spagnolo di Juan M. de Lara Vázquez]