Federico Leonardi (1973) ha svolto attività di ricerca e insegnamento a Milano, Firenze e Londra ed è docente ordinario di Filosofia e Storia nei Licei. Oltre a vari saggi in italiano e in inglese, ha scritto le seguenti monografie: Tragedia e Storia (Aracne, 2014); World History (con Luca Maggioni; Rubbettino, 2015), Aristotele: sapere storico e scienza politica, saggio introduttivo ad Aristotele, Scritti politici (Rubbettino, 2020), prima edizione italiana integrale degli scritti politici dello Stagirita, di cui è anche il curatore; Nel cuore dell'Eurasia. Storia di Russia e Ucraina (Aracne, 2022); Le pietre di Roma(Ensemble, 2024). Collabora con RAI Cultura-Filosofia.
In un’Europa dimentica di se stessa l’Ucraina e il suo conflitto costituiscono una sinistra sorpresa. Si dice che la guerra continui ormai da otto anni, mentre il dispiegamento dell’esercito russo e le risposte minacciose degli Usa levano la minaccia di allargarla a una guerra mondiale, che invece le diplomazie europee più importanti, Francia e Germania in testa, tentano di scongiurare. Ci sarà la terza guerra mondiale? È un interrogativo che si leva ormai da anni.
Tuttavia, analizzare la guerra senza capire i soggetti implicati e l’intreccio tra loro non servirà a molto. Dobbiamo invertire i fattori e partire ovviamente dai soggetti e allora anche le azioni che compiono sembreranno più logiche. La posizione, ovvero la geografia, e l’azione, ovvero la storia, gettano luce sui quei particolari soggetti dinamici che sono gli Stati.
L’Ucraina non può non essere in guerra perché è una terra di confine nel centro dell’Europa, perciò luogo di passaggio e di contese, prima tra Asia ed Europa quando quest’ultima era debole, poi tra Stati europei e Russia europea quando entrambi si erano rafforzati rispetto all’Asia.
L’Ucraina è sempre stata o dominata quando era debole, oppure in guerra quando tentava di esser forte, ma forte non ha mai potuto e forse mai potrà esserlo, data la sua posizione. Oggi che per la prima volta è diventata uno Stato, è stata subito colpita da guerre: prima del 1991 l’Ucraina mai è stata uno Stato, semmai un progetto agognato e sognato, mai realizzato davvero. Soltanto quando uno dei suoi vicini potenti si è trovato in declino ed è sfuggita dalla sua presa, l’Ucraina ha ottenuto l’indipendenza. Ma è stata formale, mai reale, soltanto per pochi anni: avere dei confini e un governo autonomo che porta il tuo nome, non significa essere liberi economicamente, come i figli che sembrano autonomi ma sono mantenuti dai genitori. Crollata l’Unione Sovietica, l’Ucraina si è prontamente staccata, svincolandosi dalla sua secolare presa, ma non appena la Russia si è ripresa da uno smembramento epocale ha riallungato i suoi tentacoli. L’aveva unita alla Crimea nel 1954, se l’è ripresa nel 2014; l’economia ucraina dipende dalla Russia, in gran parte.
Non basta il senso di appartenenza, una narrazione nazionale condivisa per fare uno Stato. Occorrono senso di comunità, economia solida, una classe dirigente forte. Assistiamo a un proliferare continuo di nuovi Stati, che però al di là di confini precisi, lingua e sovranità formale non vanno e finiscono per essere spazi di investimento per multinazionali e lobby straniere. Siamo di fronte a un progetto multinazionale che stenta mentre i problemi nazionali riesplodono. Ecco l’Ucraina ci mette di fronte a un nesso decisivo ovvero dove l’Europa finisce e comincia la Russia, che tuttavia è per metà ancora europea. E, senza sapere dove, in una certa area della Russia, forse i monti Urali, comincia l’Asia.
Insomma l’equivoco Ucraina è l’equivoco dell’Europa, perché è una terra russo-europea, che proprio in quanto passaggio e confine è impossibile in quanto Stato e che dovremmo pensare con altre categorie. Questa crisi ci mostra che le nostre categorie storiche sono consunte in teoria e dannose in pratica. O sappiamo pensare Stati non nazionali oppure ricadremo in imperi dominanti tra Stati deboli perché deboli e infiammabili. Dobbiamo ripensare il passato. Proviamo a farlo con l’Ucraina.
Nasce attorno a un fiume, si divide intorno a un fiume, il Dnepr, ma senza una vera prospettiva di durata, ma forse con le conoscenze storiche dell’epoca si poteva cullarla. Con quell’illusione nacque la coscienza nazionale di essere un popolo diverso da un altro e legato a un territorio, quello appunto attorno al fiume Dnepr. Il termine Ucraina, questo è notorio, significa “sul confine”, nasce nel Medioevo, si afferma in età moderna per diventare un progetto statale dall’Ottocento in poi. Può nascere uno Stato su un confine? No, e la sua storia lo dimostra. La sua debolezza di oggi è la stessa di ieri, le guerre odierne sono le stesse del passato, la storia ucraina è segnata da molte sofferenze e tragedie e il suo carattere è stato forgiato da esse, la capacità di soffrire, ma poi esaltato come guerriero, in una fantasiosa per quanto dotta linea che dagli antichi Sciti tramite i principati russi alto-medievali e poi i Cosacchi giunge agli Ucraini moderni. La storia ucraina è una storia di poche glorie e tanti disastri e feroci dominazioni: le cause giacciono nella posizione.
La geografia ci parla di una via di passaggio, un canale d’accesso delle instabili popolazioni eurasiatiche verso le ricchezze dell’impero romano e poi dei suoi successori europei. E il nome che la storia gli ha appiccicato sembra confermarlo. L’unica età in cui quell’area ha conosciuto un sistema statale stabile è stato difatti tra le due fasi, nel lungo vuoto politico tra il crollo della Roma d’Occidente e la nascita dei nuovi Stati in Europa, quando si stagliò la prima cellula di Russia (860-1240) nell’attuale area ucraina. E che l’Ucraina sia la prima Russia è determinante per la sua storia successiva di entrambe, come il fatto che l’Ucraina sia anche Europa centrale.
Prima della cosiddetta Russia di Kiev (per distinguerla da quella successiva che si svilupperà a Nord Est con capitale Mosca) una serie di popoli per circa duemila anni, ovvero dall’XI secolo fino all’anno mille circa: Cimmeri, Sciti, Sarmati, Slavi, Bulgari, Cazari, Magiari, Peceneghi, Cumani. La sapienza latina ci guida nel cogliere il senso di questi due millenni e poi, salvo le novità moderne, fino ai giorni nostri. Come sanno i primi a documentare la storia per loro barbara, Cesare e Tacito, il primo per esperienza diretta, il secondo indiretta, lo spazio dell’Europa Occidentale è stabile se quello centrale non è spazzato dalle incursioni di popoli che nel centro dell’Asia non possono trovare pace. Le civiltà nascono nel Sud dell’Eurasia perché clima temperato e caldo, fiumi e mari permettono agricoltura e commercio, nel Nord l’assenza delle stesse condizioni condanna i suoi abitanti a perpetuare il nomadismo e al dilemma se vivere di razzia dei ricchi insediamenti nel Sud oppure conquistarli e diventare stabili. Nei momenti di massimo movimento si vien a creare un effetto domino, come un’onda che dal centro si propaga da Oriente verso Occidente, dove l’onda necessariamente si ferma, non potendo più continuare. Quel centro oggi si chiama Turkmenistan e non è un caso: sono popolazioni di ceppo turco o turcico (tartari secondo il nome greco del Caucaso) che si spostano, insieme a slavi, che poi dividendosi tra loro danno vita a insediamenti separati nell’Europa centro-orientale dalla Polonia alla Russia fino ai Balcani, mentre i popoli iranici, grazie alle capacità dei persiani, saranno fondatori di imperi.
Ora, il Nord del Mar del Nero, cioè l’area dell’attuale Ucraina, si colloca precisamente nel punto di passaggio. In epoca storica i primi due regni a nascere, successivamente, a Nord del Mar Nero sono quello dei Cimmeri che lasceranno la loro impronta nel nome della Crimea, seguito poi dagli Sciti, poi inglobati nell’impero persiano, portatore di una certa stabilità in epoca classica. È Erodoto a descrivere il loro carattere come indomito, libero e guerriero, che poi gli storici successivi in epoca nazionalistica ritroveranno negli occupanti successivi, specialmente nei Cosacchi.
Non potendo impedire un flusso di spinte l’una sull’altra, i Romani imparano sul campo a dividerli e metterli l’uno contro l’altro, fino a che le ultime spinte non distruggono la parte occidentale dell’impero, cioè quando prima i Goti poi gli Unni, non spingono gli Slavi in Europa che, a loro volta, imprimono la scossa decisiva ai Germani, che si stanziano dentro l’impero, frammentandolo.
Dopo secoli ecco nascere un’altra entità statuale solida nel canale a Nord del Mar Nero, la Russia, per gli storici, come dicevamo, la Russia di Kiev. Ma non lasciamo sedurre da orgogli nazionalistici: quel regno fu una più una pedina che un manovratore. Da una parte riuscì a sorgere perché aggregò varie tribù slave attorno al progetto di sfruttare due fattori, ovvero la posizione intermedia tra l’impero romano d’Oriente, ancora possessore di immense ricchezze, e i primi regni normanni, ancora poveri e la presenza di un collegamento naturale, il fiume Dnepr, che quasi collega il Mar Nero, allora bizantino, con il Mar Baltico, allora in prevalenza normanno. Un altro elemento di normalizzazione e integrazione fu l’accoglienza della religione cristiana ortodossa. Così la Russia di Kiev diventava una pedina bizantina, che difatti Costantinopoli usò per i suoi scopi, scagliandola contro un altro regno ancor più fastidioso per se stessa, ovvero l’impero bulgaro. Intorno all’anno Mille i bizantini irretirono i russi in un’alleanza contro altri slavi, i potenti bulgari loro confinanti e rivali: risultato fu che una potenziale grande area slava, che qualche probabilità avrebbe avuto di reggere alle invasioni eurasiatiche, non vide la luce mentre i vecchi poteri in una zona più protetta a Sud sopravvissero.
La miopia russa fu testimoniata da altri due fatti chiave. Dopo essersi gloriato della propria grandezza nazionale lo Stato russo di Kiev si divise in vari principati per poi essere travolto, ormai disunito, dall’ennesima ondata, questa volta rappresentata dai mongoli o tartari. Fu una novità vera, perché unici nella Storia, riuscirono nell’impossibile impresa di fondare un impero nel centro dell’Asia: infatti finì presto diviso in khanati.
Mentre i Mongoli rendevano i vari principati russi loro vassalli, uno spiccava, ancora oggi considerato la culla vera dell’Ucraina, il principato di Prejaslav (nell’area vicina a Kiev), che essendo zona di confine con i Mongoli fu appunto chiamato Ucraina, “sul confine”. Riuscì a trattare con Bisanzio e col papato di Roma per mantenere una certa indipendenza e ruolo internazionale, in chiave anti-mongola, senza dimenticare l’importanza di proteggere i commerci lungo il Dnepr. Per cercar riparo, i popoli russi cominciarono a spostarsi verso Nord in aree più tranquille e meno esposte a invasioni. Ormai avevano capito che la vita da quelle parti era impossibile e con loro, grazie a qualche leader visionario, il nome Russia, nato tra il Dnepr e il Mar Nero, si spostò verso Nord, nella Moscovia che poi sarà la Russia moderna e contemporanea, regno e poi impero. Il nome Ucraina comincia a essere usato per un principato invece che nei secoli successivi sarà travolto e conquistato. I russi attestano il loro potere imperiale e internazionale in quanto stabilizzatori dell’area del centro e Nord dell’Eurasia, rendendo un servizio epocale tanto all’Europa quanto a Cina e India. Dopo aver costruito un regno nell’area baltica e verso il Nord inospitale che nessuno voleva abitare costruirono il loro orgoglio nella “terra di nessuno” delle steppe e foreste del Nord asiatico, dominando sui popoli del Centro dell’Eurasia. Gli Ucraini rimasero stritolati tra loro e gli altri Stati slavi che nascevano a Occidente: mentre per secoli erano nomadi a crear problemi, ora sono Stati tra loro in guerra per l’egemonia, in cerca di uno sbocco sul Mar Nero. La coscienza nazionale ucraina si vien cementando come comunità costantemente sotto attacco e perciò orgogliosamente guerriera.