Elio Paoloni (1951) è autore di:Sostanze (Manni, 2001), Piramidi (Sironi, 2002), Abbronzati a sinistra (Melville edizioni, 2019), La coppia inattuale (Tau Editrice, 2019). Ha pubblicato racconti e articoli su “Nuovi Argomenti”, “Il Domenicale”, “Maltese narrazioni”, “Stilos”, “Fernandel”, “Corriere della Sera – dorso Puglia”, “Il Quotidiano”, “Gazzetta del Mezzogiorno”, “l’Immaginazione”, “Cambio”, “Tratti”, “Via Po”, “Alceo”, “Quaderni di didattica della scrittura”. È presente nelle antologie: In fin di lira(Oèdipus), Resistenza 60(Fernandel), Dentro Fuori (Unicopli), Salentu (Manni), Vertigine (Luca Pensa), Dizionario affettivo della lingua italiana (Fandango). Su “Fernandel” ha curato la rubricaRecensiamo i recensori. Suoi contributi in rete su www.nazioneindiana.com, www.pordenone legge.it, www.zibaldoni.it, www.markelo.net, lapoesiaelospirito.it.

Recensione a: L.V. Petrosillo, Un nuovo romanticismo per il nuovo secolo, Edizioni Progetto Cultura, Roma 2024, pp. 171, € 15,00.

Anni fa Antonio Spadaro, in seguito per diversi anni direttore de «La Civiltà Cattolica», dedicò diversi articoli, sul gruppo on line Sud Creativo, alle insospettabili conversioni in fin vita di autori notoriamente lontani dalla fede. Pezzi che si prestavano all’ironia ma in effetti gli uomini, in particolare pensatori e scrittori, passano comunemente da una fase giovanile disordinata, ribelle, sprezzante (anarchia, ateismo, nichilismo, orgoglio luciferino, disinteresse verso la spiritualità) a una fase riflessiva, raccolta, conservatrice, che sfocia spesso in una conversione o in un forte riavvicinamento alla fede.

Solo Nietzsche ha compiuto una parabola inversa. Scopre tardi, alla fine del suo percorso il disprezzo per il Cristianesimo, per la moderazione, per la mitezza, per l’ordine, per la classicità. Da questa tardiva svolta, da questo scellerato tradimento, parte Lorenzo Vittorio Petrosillo per questo suo manifesto: Un nuovo romanticismo per il nuovo secolo vuole la riscossa per un modo di sentire che il nichilismo intendeva seppellire, un modo che va riscoperto ricercandone una nuova declinazione.

Ma perché occuparci oggi del Superomismo, questo tema ingiallito, condannato dalla storia e dalla “democrazia”? Perché rivangare un termine che richiama immediatamente alla memoria D’Annunzio, i futuristi, i fascisti, mere macchiette ormai, buone per strappare un sorriso?

Perché, come ogni polo del pensiero, questo prometeismo riappare di continuo, oggi sotto le vesti del transumanesimo. I suoi araldi, a parole fieri avversari di futuristi e dannuanziani, non citano Nietzsche, forse non lo conoscono, non sanno che il filosofo divenne scientista, ma provano il suo stesso fastidio per l’uomo com’è, come è sempre stato. Non può bastar loro. E siccome non riescono a pensare un futuro luminoso per queste monadi che hanno coltivato, inizialmente elevate a ombelico del mondo, ad artefici del proprio destino ma poi collettivamente diminuite sotto ogni aspetto, equiparate – anzi considerate inferiori – agli animali, le si vuole migliorare con protesi digitali fino al momento di cancellarle definitivamente e soppiantarle con più affidabili automi, quelli sì davvero oltre l’umano. Divini.

Petrosillo ci ricorda che l’epilogo di questi liberi pensatori è il medesimo del traditore eccelso: nel nome della libertà dall’aspra profondità del trascendente si schiavizzano in una vita che si vuole consapevolmente vissuta, ma che invece è solo inganno, allucinazione, meschina finitezza.

Ma da cosa nasceva quella svolta nicciana? La hybris, sempre nuova e sempre vecchissima, putrescente, striscia tra noi dai tempi di Babele ma Nietzsche ci cade perché riscopre i Lumi (portare avanti di nuovo la bandiera dell’Illuminismo). Ed è contro i Lumi – personificati dal filosofo teutonico – che Petrosillo erge il baluardo del Romanticismo. Ecco che ci scontriamo di nuovo con qualcosa di così superato. Cosa ha da dirci il Romanticismo oggi, dopo che abbiamo avuto a che fare con la fenomenologia, il pensiero debole, lo strutturalismo, il poststrutturalismo, il decostruzionismo?

Romanticismo vuol dire molte cose, specie all’estero. In Italia solo gli specialisti sanno che non si tratta di una vaga declinazione del sentimentalismo, dei parti di sognatori scollati dalla realtà, del fremito nevrotico tipico delle donnicciole annoiate.

A ricordarci il vigore, il valore perenne, spesso sotterraneo ma inscalfibile del Romanticismo giunge ora il libro di Petrosillo. La contrapposizione, qui, non è quella scontata tra Romanticismo e Classicismo, anzi Petrosillo si fa promotore di “una inedita sintesi antropologica tra tipo ‘classico’ e tipo ‘romantico’”. Teme infatti il femmineo sentimentalismo, la garbata accidia dell’elegia romantica quando si congeda dalla ruvidezza degli istinti ancestrali divenendo antipolitica e confermando lo stigma nicciano. Se invece si comprende che l’apollineo, sia pur speculare, è composto della medesima sostanza della malattia romantica: “grandezza, tensione al soprannaturale, nostalgia delle origini” allora si può tentare di armonizzare la dolcezza poetica di Novalis con la follia metafisica del giovane Nietzsche per inserirsi nel grande affresco di un rinnovato cristianesimo.

Il nemico, dunque, è l’Illuminismo. Ogni deriva è illuministica: materialismo, positivismo, scientismo; ogni soffocante, infernale gabbia. Si potrebbe pensare perciò a un testo manicheo: i buoni romantici contro i cattivi illuministi. Ma Petrosillo non è così rozzo, sa che ogni uomo si accorge “quando sa scrutarsi a fondo e attentamente, della propria irriducibile antinomia, fatta di limpidezza illuministica e di selvaggio, brutale romanticismo”. Difficile però, per l’uomo comune, riconoscere e accogliere questa contrapposizione; è più comodo adagiarsi in uno o nell’altro schema. La più ingannevole delle schematizzazioni, tuttavia, è quella illuministica, poiché la luce tanto vagheggiata, non potendo essere remota, estranea all’uomo, si finisce per trovarla dentro di sé, in una fantomatica illuminazione interiore. Il romantico sa invece che la trascendenza è oscura, inconoscibile, che il Mistero non cesserà di essere incomprensibile, per definizione. E’ spesso preda della notte oscura, ma la riconosce, la fa propria. La visione tragica della vita gli permette di scorgere, sotto la pellicola di meschinità dell’animo umano, una voragine di pulsioni esaltanti che si proiettano sulla volta celeste.

Il romantico ha un compito. Deve tratteggiare il disegno di una civiltà antagonista, distruggere il raziocinio illuminista. Ma non si pensi che questo abbia a che fare con l’utopismo. Il cristiano non può, costituzionalmente, essere utopico: egli sa che il legno storto non si raddrizza, ma sa che anche poche esplosioni di vita vera, di Verità, sono importanti. Vanno cercate, anche se i secoli le sommergeranno nuovamente di filisteismo.

Come accingersi all’impresa? Con “una prosa vigorosa, aitante e virile”. Occorre “uno strumento acuminato quale una prosa che, più che scintillante e briosa, dev’essere solenne, grave, intrisa di serietà ed entusiasmante”. Ma questo libro è soprattutto una battaglia condotta con le armi del nemico, Nietzsche, l’ingannatore superlativo: niente sistematica, nessun apparato di note, niente bibliografia; questo testo, anomalo e prezioso, “non appartiene al discorso accademico, né alla divulgazione filosofica: si colloca piuttosto nella tradizione della scrittura visionaria e sapienziale, quella che unisce Pascal e Kierkegaard, Simone Weil e Cristina Campo” come scrive Susanna Musetti. Brevi, irruenti, intensi capitoli. Aforismi, invettive, un vero pamphlet, caustico e immaginifico. Un testo raro, importante.

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