Enrico Orsenigo (1992), psicologo iscritto all’Ordine degli Psicologi del Veneto, è Ph.D. Student in Learning Sciences and Digital Technologies all'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Nei suoi articoli si occupa di psicologia clinica, psicologia dello sviluppo, psichiatria fenomenologica e filosofia della tecnica.

Qual è il rapporto tra irrimediabilità e creatività? È grazie all’esistenza del sentimento d’assenza di un rimedio che nasce l’attesa di qualcuno capace di accostare a tale sentimento una possibilità? Gli eventi, in una certa misura, presentano come loro innesco il sentimento dell’irrimediabile; tale innesco della potenzialità di un rimedio parla di me e di qualcuno che non è me ma che potrebbe conoscere l’azione di avviamento verso la rimediabilità.

Ogni evento irrimediabile non è generalizzabile all’intera popolazione; sentire la mancanza di rimedio in rapporto ad un evento specifico presenta dunque due qualità, entrambe vive e operative nelle catene di pensiero: l’irrimediabilità come qualità positiva dell’evento, che determina una chiusura di definizione e una intransigenza per quanto riguarda il modo in cui l’evento stesso va depositandosi nel ricordo, nel conscio dell’inconscio o nella massa del dimenticato[1]; la seconda qualità, ovvero l’irrimediabilità come qualità negativa dell’evento, qualità in cui vive una propulsione all’avvenire, che diventa operativa attraverso la richiesta di aiuto come richiesta di un rimedio, a qualcuno che non è me. Non si tratta di scegliere soggettivamente un approccio, un versante: entrambi i poli dell’evento vivono e contribuiscono a fornire il significato nel momento dell’accadere dell’evento, rendono possibile il suo depositarsi nel luogo del ricordato.

Nel primo caso, la qualità è detta positiva perché sembra agire con una trazione esterna al soggetto, che si trova contratto, curvato e impossibilitato dall’evento, evento che si propaga con forza autonoma e tale propagazione viene vissuta come un soverchiamento. Nel secondo caso, la qualità è detta negativa perché l’assenza di un rimedio opera come una resistenza razionale del soggetto: la trazione viene sempre percepita come esterna al soggetto, ma quest’ultimo sente la potenziale capacità di interposizione. Si tratta del senso dell’irrimediabile percepito come forza di interposizione: non concentrato in se stesso, ma operativo nella sua forza centrifuga, come enigma in cerca di continuità.

Il sentimento di assenza di rimedio, sia nella sua qualità positiva che negativa, è un sentimento impossibile che rende la persona impossibilitata. Preso nella sua positività, la trazione dell’evento agisce come un trauma; depotenzia la consistenza del soggetto come soggetto di strategia e organizzatore di risoluzioni. Qui, il soggetto, è soggetto che ospita l’impossibile e non può scegliere, perché la scelta, in questo caso, ne risente della trazione che è del tutto esteriore. Per cui, l’impossibilità, si fa largo ‘allagando’ il soggetto. Tuttavia la risposta si articola con una molteplicità che va ben oltre la reazione del soccombere. All’interno della configurazione positiva dell’irrimediabilità, rientrano le non azioni, con la loro costituzionale espressività manuale o automatica: la sopportazione; la canalizzazione del sentimento nell’intelligenza distribuita (l’assenza di rimedio viene intesa come fenomeno dell’esistenza che in maniera estesa accomuna più esseri viventi; in questo senso, attraverso l’intelligenza distribuita, il soggetto non agisce nell’irrimediabilità dell’evento ma lo integra all’interno del destino comune); più drammatica, sia manuale che automatica, la scelta di soccombere e porre fine al sentimento dell’irrimediabile attraverso il suicidio – tentativo manuale, in questo caso, poiché la forza dell’evento rimane intatta, autonoma, non spartita con il soggetto. La forza dell’evento viene percepita come impossibile da imbrigliare in una grammatica comprensiva e dialogica. Il suicidio, come suddetto, potrebbe anche rientrare nelle qualità negative dell’irrimediabilità, sempre nei sotto-aspetti manuali (di seguito verrà approfondito). Potrebbe rientrare nella categoria il sogno, poiché attraverso la traslazione simbolica dei contenuti dell’evento irrimediabile esso va arricchendosi nella sua configurazione immaginativa (non necessariamente con una presa di consapevolezza di nuovi significati); il trauma come evento che investe il corpo intero, la persona nei suoi campi di azione (una parte o tutti i campi della vita). Il trauma segna l’inizio di un vivere nel mondo in maniera differente. Una forzatura del soggetto in questa differenza, che evidentemente il soggetto stesso non ha scelto, né nelle tempistiche né nelle modalità percettive traumatiche. Le costellazioni del trauma si diversificano per intesità, chiarezza, vivacità: nondimeno, il trauma può essere nell’ordine del disagio e nell’ordine più straziante della psicopatologia. Non è netta la linea che divide le condizioni; l’intuizione: la natura naturale, attraverso la sua forza autonoma, si attiva contro la natura umana, forzandone l’espressività. Per questo, il seguito del sentimento dell’irrimediabile, non potrà che essere un seguito di intuizioni immaginali, non volute e non necessariamente traslabili in parole e poi frasi. Le intuizioni che vanno dischiudendosi potrebbero mostrarsi come immagini, pezzi di ricordi che si intersecano in maniera originale ad altri ricordi, sonorità che forniscono inaspettate colorazioni agli scenari immaginali dischiusi dall’irrimediabilità dell’evento di natura naturale.

All’interno, invece, della configurazione negativa dell’irrimediabilità, rientrano i potenti diversivi[2] che l’essere umano è capace di mettere in atto per operare una contro-resistenza al mancato rimedio, nello specifico: l’opera artistica, ad ampio raggio, e in questo senso si intende non tanto l’arte per come è stata intesa e organizzata dalla storia, ma l’arte nella sua configurazione presente nella specifica società, e ancora, come viene intesa dal soggetto che si decide a utilizzare il diversivo artistico. Certo, questo significa che la partenza di ogni diversivo artistico è senza dubbio una delle sette forme d’arte consolidate, purtuttavia mantenendosi in una propulsione all’avvenire nelle possibilità di interscare le medesime forme d’arte o di aprire a una di queste il percorso verso nuove arti non riconosciute (esistono forme d’arte riconosciute in uno stato ma non in un altro, un esempio l’ikebana in Giappone, che non rientra nelle principali forme d’arte delle società europee; tuttavia potrebbe comunque venire scelto come diversivo da qualche soggetto che vive proprio in queste società, e che attraverso questa pratica artistica non consolidata nel luogo in cui vive riesce a trovare il suo modo per legare la pulsione che va trasformandosi e propagandosi a partire dal senso di irrimediabilità); l’intossicazione, e cioè il distacco da sé e dalla realtà, la sottrazione cosciente di adesione al principio di realtà; la partecipazione a un gruppo di ragionamento sul tema che ha innescato  il senso dell’irrimediabilità: il gruppo, proprio grazie alla presenza di un numero considerevole di persone, può essere d’aiuto al singolo nell’esplorazione razionale dei nessi che facilitano l’imbrigliare il vuoto scavato dall’evento in questione – un imbrigliare, evidentemente, mai definitivo; il viaggio, come momento sia centrifugo (verso la meta da raggiungere) che centripeto (nelle nuove catene di pensiero che vanno sviluppandosi soggiornando in un nuovo ambiente). Il viaggio presuppone il mettersi nella posizione di chi va verso il rischio dell’incontro con la differenza, dell’incontro con il senso dell’irrimediabile. Anche se, nello specifico, chi viaggia è già stato colto dall’irrimediabile, perché se si tratta di viaggio e non di turismo, il soggetto è già stato colpito una prima volta dalla forza autonoma del reale come evento enigmatico. Si tratterebbe dunque di un secondo incontro, perché il primo è già avvenuto e non era prevedibile, e forse nemmeno desiderato. Il viaggio, nondimeno, come presa di conoscenza della forza autonoma che ha la natura naturale e la natura umana che non è me: natura umana, altrimenti chiamata la cultura incorporata da un gruppo che non è noi (e che vive in un ambiente nel divenire-ambiente-altro).

L’irrimediabile è una qualità del presente, e in una certa misura si potrebbe affermare che il presente stesso è irrimediabile. L’atto che va a costruire questeo tempo diventa senza rimedio perché il tempo in cui si configura è senza rimedio. Il presente è il tempo in cui accade l’atto, con una trazione dalla forza autonoma. Solo lo sprazzo di tempo in cui l’atto accade è irrimediabile, ma la concatenazione qualitatitva di cui l’atto stesso è permeato non presenta mai una irrimediabilità processuale. In altri termini, l’assenza di rimedio non sarebbe un fenomeno della concatenazione per intero ma permea frammenti che la costituiscono. Ogni atto, nel presente, è senza rimedio, che significa che ogni atto ha un potenziale di mancanza di soluzione e, per questo, evidentemente apre al suo esatto rovescio ovvero, il dischiudersi di una soluzione. L’irrimediabile come qualità del presente permea l’atto nel suo accadere, colora l’evento di tragicità, allarga la fondazione emozionale del soggetto. Viceversa, considerare permanente il cambiamento, anche in materia mentale, considerare ogni atto degno di essere lasciato passare, senza l’interferenza dell’attenzione, percepire dunque l’atto come scivolamento la cui soluzione risulta sempre possibile e disponibile, depotenzia la tragicità dell’evento e di conseguenza lascia all’evaporazione il contatto tra soggetto e la sua fondazione emozionale.

Come in una metafora, il soggetto lascia il movimento di cabotaggio vicino alla riva emozionale per portarsi in mare aperto, nel costante movimento di un mancato scopo. La durata, l’intensità, la chiarezza dei tempi che non sono il presente, o almeno la chiarezza nella consapevolEzza dell’esistenza di tempi che non sono il presente, sono fenomeno di percezione a cui il soggetto viene educato e si educa nel momento in cui vive l’ambivalenza tra rimedio e assenza di rimedio, riparazione e impossibilità di riparazione. Se tutto risulta sempre possibile, nulla vale la pena di essere indagato; ogni cosa è disponibile in ogni tempo, e si fa indagare, ma proprio il considerare il tempo ogni tempo determina l’allontanamento del soggetto dal tempo storico.

Note:

[1] Cfr.  E. Minkowski, Le temps vécu. Études phénoménologique et psycopatologiques, Editions d’Artrey, Paris 1933 (trad. it. G. Terzian, intr. a cura di E. Paci, Il tempo vissuto. Fenomenologia e psicopatologia, Einaudi, Torino 1968).

[2] S. Freud, Das Unbehagen in der Kultur, Internationaler Psychoanalytischer Verlag, Wien 1930 (trad. it. E. Ganni, Il disagio nella civiltà, Einaudi, Torino 2010).

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