Alfonso Lanzieri (1985) è dottore di ricerca in filosofia dal 2017. Attualmente insegna filosofia presso la Facoltà Teologica di Napoli e l’ISSR “Duns Scoto” di Nola-Acerra. Si interessa principalmente di filosofia della conoscenza e filosofia della mente. Ha pubblicato saggi, articoli e monografie, tra cui Pensiero e realtà. Un'introduzione al "realismo critico" di Bernard Lonergan(Mimesis, 2017); Il corpo nell'anima. Henri Bergson e la filosofia della mente (Mimesis, 2022).

Quando non gli si dà ragione inizia a muoversi nervosamente, sbuffa, e puntualmente erutta l’iconico: “Sono trent’anni che lo dico!”. Parliamo ovviamente di Massimo Cacciari, filosofo italiano ed ex sindaco di Venezia, ospite fisso dei talk show italiani. Da brillante allievo di Hegel qual è, sa bene che la filosofia, come la Nottola di Minerva, arriva sempre al tramonto di un’epoca e tenta di spiegare l’intrinseca razionalità della sua parabola. Lui, invece, arriva prima di cena e spiega come si sarebbe dovuto fare, che se solo avessimo studiato i libri che dice lui lo avremmo pre-visto (il trattino è per imitarne lo stile di scrittura).

E così, con la solita albagia spirituale, liquida come “puttanate” le parole Mattarella su Russia e Terzo Reich, rimembrando il sacrificio dei soldati sovietici per liberarci dai nazisti. E pazienza se il Presidente della Repubblica non ha mai paragonato direttamente la Russia di oggi alla Germania nazista, ma ha detto correttamente che le guerre di conquista hanno sempre una natura simile, dinanzi alla quale ogni tentativo di “appeasement”, cioè di ingenuo “accomodamento pacificatorio”, rischia di essere inefficace e controproducente. Cacciari è dotato di una forza speculativa di prim’ordine connessa a una cultura vastissima, e non lo si può certo associare alla brigata dell’antiamericanismo rozzo e del nostalgismo sovietico. Eppure anche lui, sull’Ucraina, abita più o meno la medesima narrazione della “complessità”, che inserisce l’invasione di Putin in un telaio dell’antagonismo tra imperi talmente intricato da far perdere le tracce delle responsabilità.

Chi ha cominciato le ostilità non è importante, perché la geopolitica, la Nato, gli espansionismi, il Male ontologico e, più pericolosa ancora di quest’ultimo, l’America. A tutti costoro – e a Cacciari incluso – il grigio professore di filosofia quale sono risponde con sincera deferenza, ma anche fermezza: un po’ di empirismo, altrimenti soffoco. Nessun realismo ingenuo, d’accordo, ma neppure la complessità artificiale in cui le precomprensioni ideali riscrivono quel che gli occhi hanno visto e le orecchie hanno sentito.

Tra l’altro, in tema di analogie storiche, ricordo il tandem Cacciari-Agamben paragonare durante la pandemia il greenpass al passaporto interno che per ogni spostamento dovevano esibire alle autorità i cittadini dell’Unione Sovietica. Per fortuna sono serviti assai meno di trent’anni per capire quanto spericolato fosse quel paragone, checché se ne pensi di quel provvedimento.

Ovviamente, sul negoziato Trump-Putin, che rischia di essere una spartizione dell’Ucraina, Cacciari rivendica di averci visto più lungo di tutti e si aggrega al velavevodettismo pacifista. Trump farà l’accordo perché l’Europa, debolissima politicamente, non ha saputo prendere l’iniziativa: “doveva costringere Russia e Ucraina a fare la pace”. Ovviamente non spiega bene come, non ricorda i numerosi tentativi di interlocuzione con Mosca. Se questi non sono riusciti è ovviamente colpa dell’Europa infingarda e bellicista. Ci sarebbe la volontà di potenza russa ma non essendo elemento integrabile nel sistema, lo si tiene sullo sfondo. Perché, del resto, complicarsi la vita coi dettagli?

Il me stesso ventenne avrebbe faticato a capire perché chi ha offerto al pensiero contemporaneo opere di innegabile spessore (anche se scritte con una prosa che evidentemente considera la chiarezza un attributo fascista), vada poi a impelagarsi in certi stagni. La risposta, oggi, la trovo in quella stessa filosofia cui sono sentitamente grato per ciò che mi ha dato, ma dalla quale oggi molte cose mi dividono (come filosofo forse sono una mezza tacca ma almeno un po’ d’autonomia critica ho provato a farmela). Quella filosofia in cui, puntualmente, “la ragione occidentale vuole dominare l’ente” (è mai esistita una sola tribù che non volesse organizzare un minimo il mondo in modo da ridurre gli imprevisti?). Quella filosofia per la quale tutto ciò che è “estensione” – commercio, mercato, transnazionalità, pubblicità – è subito “dispersione”, inautenticità, mancanza di profondità, dimenticanza dell’Essere. A questa dimensione si contrapporrebbe, come il Bene al Male, quella della “verticalità”, dell’alto e del basso, dei molti che si lasciano raccogliere nell’Uno misticamente attinto. Non a caso “indicibile” – di fronte al mistero si tace – è forse il termine che più risuona nelle conferenze e negli scritti cacciariani.

Si tratta di un pensiero  ̶ anzi meglio, direi un’attitudine emotiva  ̶  che tiene insieme più interpreti della filosofia italiana, i quali si aggirano come tanti Naphta per ricordare la putrefazione nascosta del mondo borghese, capitalista e internazionalista. Quando il filosofo veneziano rimprovera all’Europa tutto e di più, quando le dice che si merita le proprie sventure, anche se fa riferimento al piano politico, in realtà la critica per aver esagerato con l’“estensione” (che veste la bandiera a stelle e strisce) a discapito della “verticalità”, per la troppa ingegneria e la poca metafisica, per essersi venduta l’anima spirituale insomma. Che tali discorsi trovino una consonanza – certamente non voluta – in alcune uscite dei reazionari religiosi, con manie antiscientifiche, che formano il sinedrio della presidenza Trump, o nelle trattazioni pseudo-filosofiche di Alexandr Dugin, uno dei teorici del multipolarismo in salsa putiniana, dovrebbe suscitare qualche riflessione in chi resta un indubitabile maestro, un uomo dall’impegno civile disinteressato, ma al cui declinismo patrizio non posso aderire.

Non perché io creda di vivere nel migliore dei mondi possibili, ma perché se c’è una cosa che la filosofia mi ha insegnato, è che pensare non è tanto questione di ingredienti – che bene o male sono sempre quelli – ma di dosi. Preferisco non abbondare con l’autolesionismo.

[articolo originariamente pubblicato il 1° marzo 2025 sul quotidiano “l’Altravoce – il Quotidiano nazionale”. Si ringrazia per la gentile concessione]

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