Ivo Stefano Germano è docente di Media digitali e Strategie della comunicazione politica e istituzionale presso l'Università degli Studi del Molise. È autore di numerosi saggi e articoli scientifici, nonché monografie, tra cui: Barbie. Il fascino irresistibile di una bambola leggendaria (2003); La società sportiva. Significati e pratiche della sociologia sportiva(2012); New Gold Dream. E altre storie degli anni Ottanta (con Danilo Masotti, 2013); Aside Story. La fatica delle vacanze (con Sabina Borgatti, 2017); Sociologie del mutamento(et al.; 2017); #Quartierinogauchecaviar. Sneackers rosse eppur bisogna andar (2018); Sociologie. Teorie, strutture, processi (con Michela Felicetti, 2021).

Ci fu un tempo in cui, durante l’intervallo, di un campionato spezzatino non s’interrogavano i “mercati” per parlare di banali scommesse sul secondo tempo di “Atalanta-Napoli”. Un tempo popolare, popolano, semplice, trasfigurato in appuntamento televisivo non più concepito per un pubblico calmo e placido da televisione pubblica, da programmazione di appuntamenti istituzionali, ma ad uso e consumo della neo-televisione, cioè audience e spot pubblicitari.

Il calciomercato non era ancora uno specifico televisivo trasversale e onnipresente, le parole continuavano ad essere prerogativa della carta stampata, della radio-televisione, sino a quando a TeleAltomilanese, una delle tante tv locali che tratteggiavano l’aftermath, anche casereccio, della trasfigurazione catodica dell’Italia fra i fine anni Settanta e i primi anni del decennio successivo, da ospite fisso de L’ora di Mazzola, condotta da Elio Corno (recentemente scomparso) e Sandro Mazzola, Maurizio Mosca, giornalista della “Gazzetta dello Sport”, inizia a prendere le misure con ciò che sarà la panoplia di “bombe di mercato”, pendolini, odi a Del Piero, la macchina della verità, i pronostici sballati.

Da Ed è subito polemica su Telemilano2, il  profeticissimo Forza Italia sul circuito Odeon Tv, Zitti e Mosca con Marino Bartoletti, CasaMosca assieme a Paolo Pirovano, Il processo del lunedì, L’appello del Martedì, A tutto calcio. Tappe della disinibizione e dell’ironia, ma anche della presa d’atto vero lo sport-spettacolo, il calcio-spettacolo, lo show-business, cioè l’autentico controcanto e contropelo televisivo, per quanto potesse sembrare estemporaneo, a Gianni Brera, al Brerismo (non a caso difficilissimo e impervio se collocato in uno studio televisivo).
Possibile che in piena e matura “Netflix culture” non vi sia stato nessun pool autoriale che abbia pensato ad una docuserie su Maurizio Mosca, solo ed unico protagonista. Da spaccare, dividere, far tribolare l’arena pop. Quando la vita, il reale calcistico erano “in differita”, Maurizio Mosca aizzante i cori sovrapposti, le contraddizioni in termine, gli anacoluti in tuta. “Roba da servi, pizzaioli, gelatai”, avrebbe denunziato Carmelo Bene, vero e proprio antagonista di Maurizio Mosca sotto gli occhi golosi e satolli di Maurizio Biscardi ne Il processo del lunedì. Sciarpa, sottogiacca giallo, giacca e cravatta anche ad Agosto.

Being Maurizio Mosca: il documentario che manca. L’esegesi pop definitiva, il graffio punk sullo schermo televisivo. A quindici anni dalla sua morte il 3 aprile 2010. Nel più crudele dei mesi. In un paese profondo e perenne, dove spaccare, dividere, a partire da se stessi, dalla parte degli impresentabili, dei fuori lista, dei fuori ruolo. Una comunicazione televisiva sudata, a fior di pelle, magniloquente, iperreale, come Jean Baudrillard definirà il codice fondamentale della televisione.

Di fronte al nulla contemporaneo, al flusso di conversazioni noiosissime attorno al totem “allenatorista”, al taboo della “varistizzazione” del calcio globale, a terze maglie orrende, non resta che evocare e ringraziare la “punk-television” di Maurizio Mosca.

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