Ziaur Rahman (1997) è PhD student in Global Studies & Innovation presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT), sotto la supervisione della Prof.ssa Stefania Cerrito. Suoi principali ambiti di studio e di ricerca sono la lingua e la (socio)linguistica francese. Il titolo del suo progetto di ricerca è  «South Asian communities in French-speaking contexts: the cases of Paris and Brussels». Da settembre 2024 a febbraio 2025 svolgerà una ricerca sul campo a Parigi presso il Centre d'études en sciences sociales sur les mondes africains, américains et asiatiques (CESSMA – Maison de la recherche de l’Inalco), sotto la supervisione della professoressa Marie-Caroline Saglio-Yatzimirsky. Tra l’altro, ha collaborato all’organizzazione della Journée de la Francophonie à l’UNINT negli ultimi due anni.

Il Bangladesh può essere definito come un nuovo Stato, nato nel 1971, di una vecchia nazione dalla storia secolare. Si tratta dell’ottavo Paese più popoloso del pianeta con più di 170 milioni di abitanti, quarto Stato musulmano al mondo dopo l’Indonesia, il Pakistan e l’India, nonché l’economia asiatica che negli ultimi dieci anni è cresciuta di più e con più costanza, più della Cina e dell’India che sono i due giganti economici della regione. Oggi in Italia vivono regolarmente più di 160 000 persone provenienti dal Bangladesh, rappresentando la seconda comunità in Europa dopo il Regno Unito.

Il Paese confina su tre lati – est, nord e ovest – con l’India, ad eccezione di un piccolo tratto – nell’estremo sud-est – in cui confina con la Birmania, nota anche come Myanmar. A sud invece è bagnato dal golfo del Bengala. Insieme allo Stato indiano del Bengala Occidentale, il Bangladesh forma la regione etnico-linguistica dei bengalesi. Incastonato nella fertilissima pianura del delta di Gange e Brahmaputra, il Paese è soggetto alle inondazioni periodiche dei monsoni e dei cicloni. Il Bangladesh è famoso per i suoi numerosi fiumi, nella maggior parte dei casi transfrontalieri con l’India. Il terreno alluvionale depositato da questi ha creato alcune delle più fertili pianure del mondo. La maggior parte del territorio del Bangladesh si trova a meno di 12 metri sopra il livello del mare, il che lo rende una sorta di Paesi Bassi dell’Asia. Secondo le stime, circa la metà della superficie sarebbe inondata qualora il livello del mare salisse di un solo metro e i conseguenti danni sarebbero incalcolabili, in considerazione soprattutto dell’elevata densità della popolazione.

Una parte importante del litorale, a sud-ovest del Paese, comprende una giungla paludosa: la Sundarban. Si tratta della più grande foresta di mangrovie del mondo e la patria di diverse specie di vita sia animale sia vegetale, compresa la famosa tigre del Bengala, uno dei simboli del Paese. La parte opposta, a sud-est, vede invece la presenza di Cox’s Bazar, la spiaggia marina naturale ininterrotta più lunga del mondo che si estende per oltre 120 chilometri. Nel Golfo del Bengala, nell’estremo sud-est, si trova infine l’Isola di San Martino. È in queste due località che si concentra prevalentemente il turismo del Paese.

Il nome Bangladesh in bengali significa letteralmente “il Paese del Bangla” o “Paese del Bengala”, in riferimento rispettivamente alla lingua nazionale e ufficiale del Paese, nonché alla regione che lo ospita. Su una superficie che è poco meno della metà dell’Italia, il Paese ospita una popolazione che è circa il triplo di quella italiana, con una densità superiore ai 1 000 abitanti per km2. Dacca è la capitale e la città più popolosa. Ad eccezione di pochissime città-Stato come Singapore e il Principato di Monaco, il Bangladesh ha la più alta densità di popolazione al mondo. Il Paese ha registrato livelli di crescita della popolazione tra i più elevati del pianeta negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Solo con la promozione del controllo delle nascite – attraverso campagne di sensibilizzazione e slogan come “Non più di due figli, se è uno, è meglio” – il tasso è rallentato negli anni a venire. La Banca Mondiale sottolinea che il Bangladesh ha compiuto progressi significativi nello sviluppo umano, nel tasso di alfabetizzazione, nella parità di scolarizzazione e nella riduzione della crescita demografica.

Rivolgendo uno sguardo alla storia del Bangladesh, alla fine del lungo dominio dell’Impero britannico, la regione viene divisa nel 1947. Così facendo il Bengala viene spezzato in due lungo un confine religioso, con la parte occidentale – a maggioranza induista – rimasta sotto il governo dell’India e la parte orientale – a maggioranza musulmana – congiunta al Pakistan come provincia chiamata Bengala Orientale e poi ribattezzata come Pakistan Orientale. La divisione del Bengala dà origine a uno degli esodi numericamente più importanti della storia. Milioni di induisti migrano dal Pakistan Orientale verso l’India, mentre migliaia di musulmani vi si trasferiscono. Nel 1947 nascono dunque gli Stati-nazione di India e Pakistan, con il Bengala Occidentale che fa parte dell’India e il Bengala Orientale del Pakistan, governato da Islamabad e distanti geograficamente quanto lo sono l’Italia e l’Estonia. I punti in comune tra il Pakistan Orientale e quello Occidentale si limitano alla religione predominante che è l’Islam e al vissuto coloniale. Oltre alle diverse influenze storico-culturali, la prima differenza sostanziale è la lingua: in Pakistan Orientale la lingua nazionale è il bengali, mentre in Pakistan Occidentale è l’urdu.

In questo contesto è opportuno aprire una breve parentesi relativa al Movimento della lingua bengali del 1952 – il primo segno di attrito tangibile tra i due Pakistan – e la Giornata internazionale della lingua madre. Quest’ultima è una celebrazione indetta dall’UNESCO per il 21 febbraio di ogni anno per promuovere la madrelingua, la diversità linguistica e culturale, nonché il multilinguismo. Questa data è stata appositamente scelta per ricordare il 21 febbraio del 1952 quando diversi studenti bengalesi dell’Università di Dacca vengono uccisi dalle forze di polizia del Pakistan nel corso delle loro proteste – duramente represse dal governo – per il riconoscimento del bengali come lingua ufficiale. La festa rende pertanto omaggio al Movimento della lingua bengali e ai suoi martiri. Essa è altresì un’occasione in cui si tengono seminari e dibattiti per la promozione del bengali come lingua nazionale.

Chiusa questa breve parentesi e ritornando all’excursus storico, vi è da sottolineare che mentre il Pakistan diventa sempre più musulmano – in particolare nelle sue istituzioni – in Bangladesh vigeva e vige tuttora la laicità e l’identità culturale. Al colonialismo britannico, segue in un certo senso quello pakistano con pochissimi investimenti che fanno sì che il divario tra Pakistan Orientale e quello Occidentale sia imponente. Dopo due dittature militari che annientano la democrazia, alle elezioni del 1970 il primo partito alle urne è a sorpresa un partito bengalese: la Lega Awami di Sheikh Mujibur Rahman. Sua figlia, Sheikh Hasina, è stata al potere fino al 5 agosto 2024, data in cui è stata costretta a presentare le dimissioni e lasciare il Paese – recandosi nella vicina India – in seguito alle sanguinose proteste studentesche contro il controverso sistema di quote di assunzione nella funzione pubblica, accompagnate da un malcontento generalizzato dovuto a un quarto mandato consecutivo iniziato a gennaio 2024, mentre l’inizio del primo mandato risale al 2009.

In Bengala Orientale vince dunque Sheikh Mujibur e può formare di diritto un governo. Il Pakistan People’s Party (PPP) della famiglia Bhutto arriva secondo e propone invece di formare un governo con due primi ministri, uno nel Pakistan Orientale e l’altro in quello Occidentale. Sheikh Mujibur non accetta questa discutibile proposta e il 7 marzo 1971 tiene a Dacca un famoso comizio dove indice uno sciopero generale contro il Pakistan. Le parole che vi pronuncia sono passate alla storia: “Questa volta la lotta sarà per la nostra liberazione, sarà per la nostra indipendenza”, a cui aggiungerà “Poiché abbiamo già versato del sangue, continueremo a farlo”. Il presidente pakistano Yahya Khan decide di attaccare il Pakistan Orientale – senza preavviso alcuno – imponendo la legge marziale, massacrando i civili bengalesi e avviando così una delle guerre più sanguinose dell’Asia meridionale. Il 26 marzo 1971, il Pakistan Orientale dichiara la propria indipendenza: è il primo passo verso la nascita di un nuovo Stato di nome Bangladesh. Questa data segna l’inizio della guerra che durerà quasi nove mesi. Presto vengono a formarsi due fazioni ben distinte: il Pakistan Occidentale e partiti islamici bengalesi da una parte e la resistenza bangladese dall’altra. Il Pakistan può contare sull’appoggio degli Stati Uniti di Richard Nixon in chiave anticomunista, con l’invito rivolto agli altri Paesi a non intervenire. Il Bangladesh ha invece l’appoggio dell’India di Indira Gandhi che deve affrontare le forti immigrazioni di profughi verso il Bengala Occidentale.

La prima ministra indiana deve fare un’ardua scelta: accogliere tutti i profughi – soprattutto induisti – o mettersi contro gli Stati Uniti. A dicembre del 1971 l’aviazione pakistana colpisce le basi militari indiane per scoraggiarli. Solo a quel punto l’esercito indiano entra in Bangladesh e neutralizza il Paese in sole due settimane. Gli Stati Uniti, che avevano promesso di aiutare il Pakistan, non intervengono e il 16 dicembre 1971 l’esercito pakistano si arrende, mettendo fine alla guerra che ha causato circa 3 milioni di morti su 70 milioni di abitanti di allora. Il 16 dicembre è oggi festa nazionale in Bangladesh e viene celebrata la Giornata della Vittoria. Nel neonato Bangladesh, il primo ministro è Sheikh Mujibur Rahman. Alla fine della guerra, il Paese si ritrova in una situazione catastrofica, con l’assenza totale di un tessuto produttivo. Nel 1974 una carestia uccide un ulteriore milione e mezzo di persone. L’anno seguente ha inizio una dittatura socialista che comporta la statalizzazione di industrie strategiche e l’instaurazione del monopartitismo. Nell’agosto del 1975 Sheikh Mujibur viene tradito da una parte del suo partito e dall’esercito che organizzano un colpo di Stato. Il 15 agosto un commando si presenta a casa sua a Dacca e lo uccide, insieme a tutti i membri della famiglia. Si salvano solamente la già citata Sheikh Hasina, cinque volte prima ministra del Bangladesh di cui quattro volte consecutive, e la sorella Sheikh Rehena che si trovavano in Europa.

Dopo tre anni di regime militare, il governo viene affidato a un generale dell’esercito: Ziaur Rahman, l’uomo che traghetterà il Paese verso la democrazia alla fine degli anni Settanta. Egli fa esattamente l’opposto di Sheikh Mujibur, privatizzando le società pubbliche e reinstaurando il multipartitismo. Inoltre, fonda il Bangladesh National Party (BNP) e indice libere elezioni nel 1979, vincendole. Ziaur Rahman governerà per due anni, fino al 1981, quando un altro golpe militare lo ucciderà. Gli anni Ottanta saranno caratterizzati da un vero e proprio caos politico con un ulteriore colpo di stato e un governo democratico. La vedova di Ziaur Rahman, Khaleda Zia, prende le redini del BNP, portandolo alla vittoria alle elezioni generali del 1991 e diventa la prima donna prima ministra nella storia del Bangladesh, dopo soli vent’anni dall’indipendenza. Tuttavia, la Lega Awami – guidata da Sheikh Hasina – ottiene il potere nel 1996, per perderlo in favore del BNP nel 2001. Quest’ultimo rimane al governo fino al 2006. Dal 2006 al 2008 il Paese è sotto il controllo di un primo governo ad interim, seguito nuovamente dalla Lega Awami che detiene il potere per quattro mandati consecutivi, di cui l’ultimo viene interrotto dopo circa sette mesi. Khaleda Zia è stata dunque la leader dell’opposizione durante gli ultimi quindici anni. Attualmente il Paese è governato da un secondo governo ad interim guidato dal celebre economista, nonché premio Nobel per la pace, Muhammad Yunus.

Malgrado le varie crisi politiche, il Bangladesh ha continuato a crescere, trainato dall’industria tessile. Da quando Sheikh Hasina è salita al potere nel 2009, il Paese ha subito un forte arretramento democratico, ma ha conosciuto un’importante crescita economica. Già dagli anni Ottanta il tessile era al centro dei progetti di riduzione della povertà, promossi dal già citato economista Muhammad Yunus, l’inventore del microcredito. Egli scopre che prestando piccole somme di denaro a piccoli gruppi di lavoratori e in particolare a lavoratrici del Bangladesh rurale, si innesca un sistema virtuoso di autogestione di fondi e produzioni che permettono la restituzione del prestito stesso, nonché la creazione di attività da cui trarre profitto. Immaginiamo un gruppo di donne che prende in prestito del denaro per comprare una macchina da cucire. Nell’arco di pochi messi esse possono ripagare il debito alla banca e dividere i profitti equamente all’interno del gruppo di lavoro. Yunus sperimenta questo modello e nel 1983 apre la Grameen Bank, nota come la banca dei poveri, dedicata interamente al microcredito.

Decine di milioni di persone entrano nel mondo del lavoro con i prestiti della Grameen Bank che nel 96% dei casi vengono restituiti alla banca entro la scadenza stabilita. Questo modello viene replicato per la riduzione della povertà in tutto il mondo. Nel 2006 Muhammad Yunus e la sua Grameen Bank vincono congiuntamente il premio Nobel per la pace e il Bangladesh inizia a brillare come Paese modello da seguire tra i Paesi del sud del mondo. Ben presto diventa una delle mete preferite per le delocalizzazioni, per il settore tessile e per la cosiddetta fast fashion, soprattutto per i bassi costi della manodopera. Almeno quattro milioni di lavoratori sono impiegati in questo settore, soprattutto donne. Se apriamo i nostri armadi, è altamente probabile che una parte dei nostri vestiti siano made in Bangladesh. Infatti, dopo la Cina, il Bangladesh è il secondo esportatore mondiale di vestiario. Il tessile costituisce infatti uno dei tre pilastri dell’economia, insieme all’agricoltura e alle rimesse dall’estero: il denaro che i bangladesi inviano lavorando fuori dal Bangladesh, una somma di circa 25 miliardi di dollari all’anno.

Se da una parte il settore tessile consente ai lavoratori e soprattutto alle lavoratrici l’opportunità di autodeterminarsi da un punto di vista economico, vi è da precisare che i punti critici sono molteplici. È il caso, per esempio, dello sfruttamento e dell’assenza di sicurezza sul posto di lavoro di cui i sindacati parlano dal 2000 in poi. Un altro punto critico di questo settore lavorativo è la carenza di salari dignitosi. Il guadagno netto di un lavoratore è di circa 75 dollari al mese e i sindacati vorrebbero raggiungere l’obiettivo di 215 dollari mensili. Secondo alcune stime, quattro giorni sono sufficienti per permettere all’amministratore delegato di uno dei cinque principali marchi tessili mondiali di guadagnare quello che un lavoratore bangladese del tessile guadagnerebbe nell’arco della sua intera esistenza.

In conclusione, il Bangladesh è sempre più al centro dell’attenzione del mondo da un punto di vista geopolitico ed economico. La sua posizione geografica è senza ombra di dubbio un suo punto di forza. Negli ultimi anni, il governo bangladese ha intrattenuto relazioni diplomatiche con le varie potenze mondiali, sia orientali sia occidentali, iniziando dalle vicine India e Cina, arrivando agli Stati Uniti e alla Russia. Questa giovane nazione in via di sviluppo cela un passato secolare che riguarda una florida regione da una parte e un valoroso popolo dall’altra, difensore della propria madrelingua – insieme alla cultura e alle tradizioni di cui è portatrice – e della propria patria. A proposito della madrelingua, è interessante menzionare in questo contesto che il poeta bengalese Rabindranath Tagore vince il premio Nobel per la letteratura nel 1913 grazie proprio a una sua raccolta di poesie dal titolo Gitanjali scritta in bengali. Due canzoni dello stesso poeta, anch’esse scritte in bengali, diventeranno rispettivamente l’inno nazionale dell’India – nella sua versione tradotta in hindi – e del Bangladesh. È indubbio che l’orgoglio dei bangladesi è da ricercare in primis in questo passato che deve anche essere il faro per un futuro similmente glorioso e soprattutto pieno di speranze per le generazioni a venire.

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